Vita agra dei cinquantenni tra disoccupazione ed espulsione dal ciclo produttivo

 

Chi oggi ha una età compresa tra i 70 e i 90 anni molto probabilmente è andato in pensione prima dei 60 anni di età o sicuramente prima dei 65. La sua pensione , calcolata con il sistema retributivo , consente a questa generazione di vivere con grande dignità e di aiutare figli e nipoti.

Non è casuale che i detrattori dei gloriosi 30 anni si siano presi una rivincita nei pietosi 30 anni successivi (quelli che partono dalla crisi petrolifera degli anni settanta), gli anni nei quali si sono susseguiti attacchi al welfare, al reddito da lavoro dipendente, alle conquiste del movimento operaio con restringimento delle libertà collettive ed individuali. Gli anni pietosi sono quelli del trionfo del capitale sul lavoro e della debacle del movimento operaio e sindacale.

Se guardiamo agli effetti dell’euro la situazione diventa ancora piu’ chiara, evidente è l’effetto trascinamento del cambio lira-euro (anno 2002) tasso di cambio fissato a 1.936,27 lire ad euro (invece di un tasso più equo, per esempio 1.300 lire max per 1 euro), effetto con ripercussioni negative sulle famiglie italiane che hanno perso mediamente 1.100 euro all’anno solo nell’ultimo decennio.

La perdita di potere di acquisto ha determinato anche la riduzione dei consumi, basti ricordare che nel 2013 l’Italia era considerato, dopo la Grecia e il Portogallo il paese in maggiore difficoltà.

Perdita di potere di contrattazione sindacale, perdita di potere di acquisto dei salari, calcolo delle pensioni secondo il sistema retributivo che penalizzerà soprattutto le generazioni che oggi hanno età inferiore ai 50 anni, smantellamento del welfare, costi aggiuntivi per sanità e istruzione hanno colpito non solo la classe operaia ma il ceto medio, l’anomalia italiana si è persa per strada, ceto medio colpito anche dal blocco dei contratti pubblici e per il quale far studiare i figli all’università sta diventando un costo insostenibile .

La crisi ha colpito tutti\e, ma in particolare chi oggi ha tra i 35 e 50 anni consapevole di avere domani una bassa pensione (che sarà ancora piu’ misera per le generazioni successive) , di lavorare molto piu’ dei loro padri (come minimo 7\8 anni in piu’ fino alla soglia dei 70 anni di età) e soprattutto augurarsi di non essere espulso prima dal mercato del lavoro, di conservarsi in buona salute per scongiurare demansionamenti e licenziamenti.

Non è casuale che anche in seno al Governo e all’Inps abbiano iniziato a ragionare su un assegno minimo di garanzia ad integrare l’assegno previdenziale che domani sarà decisamente troppo basso, salvo poi non avere alcuna copertura per finanziare questa spesa, a meno di non farla pagare ai lavoratori sotto forma di mancati aumenti salariali e riduzione del welfare.

A 50 anni si è troppo giovani per la pensione ma spesso anche troppo vecchi per lavorare in aziende che cercano sempre manodopera da spremere e con contratti sfavorevoli, contratti accompagnati da sgravi fiscali per le imprese.

Il sindacato tende poi a far passare come grande conquista l’ accordo intergenerazionale, i vecchi accettano di passare al part time negli ultimi anni di lavoro per favorire nuova occupazione, peccato che questo scambio non sia indolore ma determini un assegno previdenziale ancora piu’ basso. E in alternativa, all’operaio sessantenne non resterà che barattare il suo posto di lavoro con una assunzione (con contratti precari e il ricatto del jobs act) per un figlio, un espediente non nuovo ma periodicamente rilanciato come tutela (si fa per dire) delle giovani generazioni.

Sono questi i motivi per i quali aumentano i cosiddetti disoccupati “senior”, gli over 50, sempre piu’ numerosi, silenziosi e depressi, in fila ai centri per l’impiego, basti pensare che in dieci anni il numero dei disoccupati tra i 50 e i 60 anni di età è piu’ che raddoppiato.

A pagare il salato conto salato della crisi occupazionale sono innazitutto i giovani , del resto i giovani precari di oggi saranno pensionati ridotti alla fame tra 30\40 anni se non interverranno politiche economiche e sociali keynesiane.

Ma nessuno volge lo sguardo ai non giovani forse perchè sarebbe piu’ difficile vendere luoghi comuni.

Le statistiche confermano quanto già sappiamo, ossia che tra i 50 e i 60 anni ci sono scarse possibilità di trovare un impiego e se viene espulso dal mercato del lavoro hai ben poche possibilità di rientrarci se non con lavori occasionali e malpagati. E attenzione a non credere che la crisi colpisca solo le fasce sociali piu’ basse, i lavoratori poco formati e scolarizzati.

Su oltre tre milioni di disoccupati in Italia, quelli over 50 sono ormai 1,2 milioni se includiamo in questi numeri i lavoratori ormai da tempo inattivi e quanti sono ormai cosi’ scoraggiati che hanno rinunciato da tempo a cercarsi un impiego.

A portare volantini pubblicitari , tanto per dirne una, sono soprattutto loro, gli over 50, disposti anche a riciclarsi nel ruolo di badanti (un tempo impieghi svolti per lo piu’ da migranti) per strappare un reddito.

Sono scenari drammatici nei quali rivendicare diritti appare un nonsense perchè quei diritti erano esigibili in contesti sociali ed economici assai diversi da quelli attuali. Rivendicare lavoro e reddito sembra sia diventato un lusso incompatibile con gli affari del capitale speculativo. A pagare il maggiore scotto negli ultimi anni, e nell’immediato futuro, saranno gli over 50 con minore istruzione provenienti da settori nei quali il costo del lavoro, tra delocalizzazioni e frammentazioni aziendali, è crollato ai minimi termini, oppure ex facchini , edili, operai generici.

La situazione italiana è , tanto per cambiare, tra le piu’ gravi d’Europa, la disoccupazione ha colpito anche altrove ma nella fascia di età che va dai 50 ai 60 anni siamo tra i primi paesi a non offrire uno stralcio di lavoro, anzi tra le nazioni big ci supera solo la Spagna che in dieci anni ha visto crescere del 340% i senza lavoro in questa fascia di età.

E se in alcune attività il ricorso ai cinquantenni viene caldeggiato in virtu’ della esperienza e del fatto che per almeno un quindicennio il neo assunto dovrà restare operativo (si allungano i requsiiti per la pensione ), complessivamente chi perde lavoro attorno ai 50 ha sempre meno possibilità di trovarne uno nuovo.

Non sarà del resto un caso che da qualche anno il tasso di occupazione dei più anziani ha superato quello dei giovani .

Federico Giusti

5/3/2017 www.controlacrisi.org

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