Vogliono Carta-bia(nca)

Le leggi organiche vengono elaborate dagli amici dell’ordinee tutte queste libertà sono regolate in modo che il potere ne possa godere senza trovare alcun impedimento; quando se ne permette il godimento a condizioni tali che sono altrettanti tranelli di polizia questo avviene sempre nell’interesse della “sicurezza pubblica” che è poi la sicurezza del governo.
                                                                   Karl Marx, il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, II

In questi giorni è in scena un vero e proprio rivolgimento dei ruoli tradizionali; la destra neofascista all’opposizione e la destra sovranista al governo sventolano insieme la bandiera della giustizia, contro le angherie della magistratura, inquirente e giudicante, in difesa dei diritti dell’imputato. I protagonisti di questa straordinaria riforma democratica del processo penale sono Marta Cartabia e Mario Draghi. La prima è legata ai cattolici integralisti di Comunione e Liberazione, contraria al divorzio, all’aborto, ai matrimoni fra persone del medesimo sesso; certamente evitando un linguaggio da crociata, ma altrettanto certamente ostile, e in forma aperta, a simili provvedimenti legislativi. Il secondo è un funzionario esperto che rappresenta il moderno capitalismo, finanziario e globale, unico italiano membro (senior) del Gruppo dei Trenta, con la piena fiducia dell’apparato di comando del sistema bancario, di un sistema dunque per sua natura dispotico. Nella formazione pentastellata, come di consueto, regna la confusione più totale; verdi e L&U ancora non hanno capito quale sia l’oggetto del contendere e tacciono non sapendo bene che pesci pigliare. Nel Partito Democratico i moderati, con Renzi & Calenda, sostengono l’accelerazione imposta da Draghi, i radical-popolari esitano per non mettere in pericolo l’alleanza giallorosa, ancora piuttosto fragile in verità, evitando accuratamente ogni precisa, comprensibile, presa di posizione. Difficile districarsi in questa ragnatela diffusa di menzogne e di omissioni, difficile comprendere che cosa stia succedendo e ancor di più perché succeda.

Ad oggi ancora nessuna legge e nessuna riforma

Non è affatto vero che Marta Cartabia e il governo, in cui guida il ministero di giustizia, abbiano varato una riforma organica, e questo vale sia per il processo penale sia per il processo civile. Le cose stanno diversamente.

L’unico testo, per ora, è quello depositato dal precedente ministro, Bonafede, con il numero A.C. 2435, un disegno di legge per la delega al governo di procedere a mezzo di successivi decreti ad una futura riforma senza più necessità di approvazione delle camere. Un po’ come era accaduto per il Jobs Act; strappata l’autorizzazione con il voto di fiducia hanno poi eseguito gli ordini della BCE, quelli della celebre lettera segreta elaborata da Trichet e Draghi, entrambi membri del Gruppo dei Trenta.

Una legge delega, per sua natura, si limita ad indicare linee guida generali, lasciando poi libero l’esecutivo di scrivere le norme applicative dell’indirizzo, senza più alcun vincolo parlamentare. Rispetto ad una riforma c’è una bella differenza! Ma andiamo avanti.

Nel nostro caso il governo neppure ha presentato una legge delega propria in sostituzione di quella Bonafede, che risale al 13 marzo 2020. Ha invece predisposto una sequenza di emendamenti (di correzioni modificative) al disegno di legge delega di Bonafede così che la fiducia viene ora chiesta per l’approvazione (con modifiche) di quanto progettato proprio dal ministro rimosso e sostituito da Cartabia. Il testo di questi emendamenti governativi non è dato trovarlo, è una sorta di segreto di stato conosciuto solo dagli addetti ai lavori, e riassunto per sommi capi nelle conferenze stampa che il primo ministro bonariamente concede ad una platea di giornalisti tutti scandalosamente amici e conniventi. Solo il 23 luglio questi misteriosi emendamenti sono diventati pubblici in Commissione, ma sempre in gran segreto sostanziale; soprattutto diventano disponibili quando già è in corso una trattativa per modificarli. Tutto procede in forma sotterranea. Hanno anche inventato un surreale strumento tecnico, il subemendamento, ovvero la modifica di una modifica al testo; ma nessuno ha accesso all’emendamento o al subemendamento nella stesura definitiva e finale. Mario Draghi, mentre spiegava (si fa per dire) in diretta televisiva ai sudditi queste novità, non riusciva a trattenere il sorriso, probabilmente chiedendosi se la popolazione del nostro paese sia così ingenua da credergli. Il bracco ungherese sarà un po’ geloso nel constatare che gli italiani sono più fedeli di lui a Mario Draghi. Dopo aver lasciato dormire il disegno Bonafede per circa 15 mesi il 30 luglio la Camera dovrà ora votare la fiducia su un testo modificato, quale che esso sia, ancora coperto da segreto tre giorni prima del voto. Un esempio di democrazia costituzionale davvero di scuola, un programma di governo che lascia pochi dubbi sul metodo.

Il contenuto della legge delega Bonafede

In attesa di conoscere emendamenti e subemendamenti ancora secretati (e quelli che saranno portati in aula, diversi e ignoti) fino al 23 luglio erano consultabili i soli 18 articoli del disegno Bonafede, che rimettono ai successivi decreti (uno o più) l’attuazione di un sistema di notifiche telematico, dei c.d. riti alternativi (patteggiamenti e processi abbreviati), del giudizio e dell’appello. L’art. 8 in particolare apre la via all’estensione di una necessaria querela di parte ad una casistica poco chiara; per esempio i decreti potrebbero richiederla per le lesioni legate ai reati ambientali, che non di rado confinano con quelle connesse anche alle prestazioni lavorative. Pensiamo all’Ilva: le vittime sono a volte cittadini del territorio a volte dipendenti. Già è ambiguo il testo base della AC 2435; con quel che possono combinare emendamenti e subemendamenti protetti dalla fiducia si apre uno scenario inquietante. In passato ai democratici e ai pentastellati era sfuggita una piccola modifica, mediante emendamento, che abbatteva pesantemente i risarcimenti nelle malattie professionali e negli infortuni sul lavoro; solo la bravura di una avvocata torinese e l’immediata mobilitazione di varie associazioni consentì di riparare il danno.

La discussione riguarda gli articoli 12 e 13 del disegno Bonafede, sulla durata del processo e sulla prescrizione. Gli articoli successivi riguardano lo smaltimento dell’arretrato e la copertura finanziaria, ma il cuore del problema (compreso l’art. 7 che regola l’appello) sta nel testo di una (ampia e non revocabile) delega al governo mediante gli articoli 12 e 13. Lo schema Bonafede era più o meno il seguente: nessuna prescrizione dopo il primo grado, meccanismi di sollecitazione per la durata ma senza più la scure del tempo che decorre. Il venir meno di qualsiasi scadenza temporale successiva al primo grado e l’assenza di sanzioni a fronte di una durata indeterminabile imponevano comunque chiarimenti per evitare l’incostituzionalità, nonostante i rinvii ai successivi decreti. E su questo vizio d’origine si è inserito l’intervento più restauratore che innovatore degli emendamenti governativi (testo del 23 luglio in attesa di correzione).

L’anomalia italiana e il dispotismo europeo

In Francia re Luigi XVI fu ghigliottinato il 21 gennaio 1793; in Inghilterra al re Carlo I fu tagliata la testa il 9 febbraio 1649, data del calendario gregoriano. In entrambi i casi fu eseguita pubblicamente una sentenza di condanna a morte. In Italia invece Rachele, vedova del Duce, ottenne la pensione di reversibilità per le funzioni pubbliche svolte dal marito, grazie all’assistenza legale del presidente della repubblica, Giovanni Leone; e la fucilazione di Mussolini fu decisa quasi di soppiatto, mai rivendicata come atto giudiziario ufficiale del governo di liberazione nazionale.

Dopo il referendum istituzionale il primo presidente della repubblica, eletto per decisione trasversale concordata, fu un monarchico dichiarato e convinto, l’avvocato Enrico De Nicola. Perfino Licio Gelli è rimasto a Villa Wanda, indisturbato, fino alla morte nel 2015, e nel 2006 ebbe a donare l’archivio personale alla sua città, Pistoia, nel corso di una cerimonia in cui intervenne la dottoressa Linda Giuva, funzionaria di stato e moglie di Massimo D’Alema.

Qui da noi le cose vanno così e lo sa bene un funzionario di lungo corso come Mario Draghi. L’anomalia italiana non è per nulla in contraddizione con il dispotismo europeo, che anzi la utilizza per raggiungere i suoi scopi. Bisogna assicurare consenso, ci vuole ordine per accumulare.

Marta Cartabia e la Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale fu un parto lungo e difficile, solo il 15 dicembre 1955 (sette anni dopo la pubblicazione della Carta) i lavori ebbero inizio. Dopo una prima, breve, direzione del solito De Nicola la carica di presidente fu stabilmente assegnata a Gaetano Azzariti, dal 6 aprile 1957 fino alla morte. Magistrato e giurista, Azzariti (1881-1961) ebbe a sottoscrivere nel 1938 il manifesto della razza, poi dal 1939 al 1943, per l’intero periodo di attività, ricoprì il ruolo di presidente del tristemente noto Tribunale della Razza, una delle più infami istituzioni della dittatura fascista. Con procedura secretata il presidente Azzariti accolse 104 domande (su un totale di 153) di ebrei che si dichiaravano figli adulterini per essere cancellati dall’elenco dei discriminati; immagino a pagamento, come ritiene l’intero consesso di storiografi. Questo dichiarato e convinto antisemita collaborò fra il 1945 e il 1946 con il ministro comunista di giustizia Palmiro Togliatti, fu nominato giudice costituzionale dal democristiano Gronchi, e scelto per acclamazione a dirigere il più alto organo di garanzia! Il curriculum di Marta Cartabia, che in fondo è solo una cattolica fondamentalista, sembra quasi rassicurante rispetto a quello del suo autorevole predecessore.

La riforma penale e i referendum di Salvini

Pur essendo gli emendamenti un testo ancora semi-clandestino la discussione sulla loro approvazione infuria e scuote la compagine di governo. Ferma la prescrizione nel primo grado viene prospettata una sorta di tagliola, l’improcedibilità, ove il processo d’appello non si concluda in due anni (forse tre, ma non si sa a quali condizioni) e quello in cassazione in 12 mesi (forse 18, anche qui vedremo in che modo). Riferito in questo modo sembra quasi una proposta di buon senso. Ma ci sono una pioggia di ma.

Intendiamoci. Di certo non è una buona idea quella di proporre il giustizialismo democratico proprio mentre l’onda di destra sembra non arrestarsi. Risolvere i problemi sociali con la galera è tipico dei regimi dispotici, non certo caratteristica di un programma rivoluzionario democratico o libertario. Ogni volta che i movimenti sono caduti in questa trappola è finita sempre male; basti pensare ai comunisti iraniani, travolti dalle leggi repressive che avevano sostenuto contro i tentativi di restaurazione dello Scià. Tuttavia, quando la proposta di abbattere gli idoli viene avanzata dai sacerdoti, è bene essere quanto mai cauti e prudenti; un buon consiglio del latinista Concetto Marchesi nel 1956, mentre franava lo stalinismo.

Chi sostiene la riforma (che poi riforma non è) vuole semplicemente liberare dagli impicci industriali e funzionari in difficoltà giudiziaria, restaurare il potere, colpire i precari. Questo bisogna averlo chiaro.

Per condannare un pensionato fermato mentre nasconde nella borsa del cibo sottratto al supermercato due anni in appello bastano e avanzano; lo stesso vale per i ribelli della Val di Susa, per il picchetto del SI Cobas, per un piccolo spacciatore di periferia, in generale per i processi che hanno i poveri quali protagonisti. A maggior ragione basta un anno per confermare le condanne in cassazione, senza neppure la necessità di ricorrere alla proroga.

Ma per chiudere un procedimento complesso come quello delle morti causate da amianto, con difese potenti degli imputati e mezzi economici scarsi in dotazione alle vittime, allora l’improcedibilità è quasi certa. Le statistiche offerte dalla stampa sono come quelle del pollo, evitano di esaminare il decorso dei procedimenti complessi.

Con la vecchia prescrizione almeno rimanevano esecutive le statuizioni civili, i risarcimenti alle vittime. Con l’improcedibilità le statuizioni di primo grado muoiono e bisogna ricominciare in sede civile, dall’inizio e da capo. L’improcedibilità mira a levare dalle peste imputati eccellenti (il processo ormai a conclusione in appello per la trattativa, ad esempio, comunque vada è improbabile possa essere trattato in 12 mesi dalla Cassazione), industriali e politici, poliziotti e inquinatori ambientali. L’applicazione della prescrizione sottrae i responsabili alla pena, ma lascia in vita la condanna al risarcimento immediato; l’introduzione dell’improcedibilità cambia radicalmente il quadro, libera funzionari e società, le vittime perdono il ruolo di testimone, diviene assai più difficile conseguire un risarcimento. La scure dell’improcedibilità, senza alcuna sanzione prevista a carico di chi la provoca, si traduce di fatto in una quasi totale discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, ancora una volta raggiungendo il vero risultato di questa operazione tecnico-giuridica: codificare l’incertezza del risultato, assegnare alla struttura dispotica di comando la decisione discrezionale in ordine a condanne e proscioglimenti. Il presidente della Corte Costituzionale Azzariti, quando dirigeva il Tribunale della Razza, aveva il potere di trasformare gli ebrei in ariani, con procedura inappellabile e secretata; la presidente della Corte Costituzionale Cartabia, ora ministro di Giustizia, vuole introdurre mediante improcedibilità la trasformazione discrezionale, con uso oculato del tempo, del colpevole in innocente.

La norma che consente al governo di indicare alla magistratura le priorità nell’esercizio dell’azione penale è un esempio di umorismo sarcastico; con l’introduzione dell’improcedibilità il governo stabilisce quali processi possano procedere e quali invece possano fermarsi. Per i magistrati che non si adeguano alle direttive è pronto il referendum di Salvini.

Nessuno deve più essere certo di avere o non avere diritti; questa è l’essenza del dispotismo democratico capitalistico moderno e questa è la colonna della cosiddetta riforma, con testo ignoto, portata all’approvazione della Camera mediante fiducia il 30 luglio. Non è dato neppure sapere che succede nel caso, certo non infrequente, di accoglimento del ricorso in Cassazione; la legge prevede il rinvio, nuovamente, in appello per ripetere il processo, ma la sorridente coppia Draghi-Cartabia nulla dice in proposito, incrementando la codificazione dell’incertezza.

Si aggiungono i sei referendum elaborati da Salvini con il supporto dei radicali, pacifisti sempre lesti ad appoggiare le iniziative della destra violenta, in ogni occasione. Anche in questo caso il programma è quanto mai libertario e progressista; e anche in questo caso il movente è invece apertamente reazionario. Vogliono semplicemente evitare ai funzionari di stato e di partito l’estromissione dalle cariche pubbliche, separare la carriera inquirente da quella giudicante (il che è di costituzionalità assai dubbia in Italia), consentire azioni risarcitorie a carattere intimidatorio nei confronti di magistrati troppo solerti. Operazione complessiva che, come osserva giustamente Salvini, non si pone affatto in contrasto con la legge delega, piuttosto la integra e rafforza, o come arma di pressione durante la discussione o come ulteriore allargamento della sfera generale di incertezza, piegando una magistratura già disponibile alle esigenze del potere. Dietro la bandiera della libertà si cela il vecchio piano elaborato da Licio Gelli e mai davvero dismesso dalla destra fascista e clericale italiana, che al momento buono accantona le divergenze e marcia unita acquisendo pure consensi sul lato sinistro, grazie ad oculate concessioni personali. Anche questa è l’anomalia italiana.

Carta bianca e normalizzazione

Con ogni probabilità, il 30 luglio, la legge delega sarà approvata con il voto di fiducia al governo da parte della Camera, anche se ad oggi il testo non è conosciuto. Certamente i reati di terrorismo saranno esclusi dall’accetta dell’improcedibilità; certamente vi rientreranno quelli per inquinamento ambientale, per abuso d’ufficio, per corruzione, per evasione fiscale, per malattie professionali da amianto e simili. Forse (ma solo forse) a 5 Stelle e LEU sarà consentito di allargare ai reati di mafia una maggior durata del processo. Ma il compromesso possiamo darlo per certo, salvo sorprese clamorose; anche Salvini non può tirare la corda oltre il necessario, e per questo ha escogitato la tattica dei sei referendum. Nella trattativa e nel voto di fiducia sono presumibilmente comprese alcune garanzie di carattere personale, in particolare quella relativa alla posizione del suocero Verdini. Quel che conta per il governo è ottenere carta bianca, senza intoppi.

Per elaborare il testo è stato nominato da Marta Cartabia un comitato scientifico, con il decreto ministeriale 16 marzo 2001, e non è certo costituito da sprovveduti, come erroneamente pensa il pasdaran Travaglio. Anzi, sono cervelli fini rispettosi dell’autorità, poco inclini alla ribellione. Lo presiedono due magistrati molto abili, Giorgio Lattanzi (pure lui già presidente della Consulta) e Ernesto Lupo (nomen omen), formidabile conoscitore del processo penale, per alcuni anni presidente della Corte di Cassazione. Ebbe a presiedere le Sezioni Unite penali nel procedimento concluso con una importante sentenza, la n. 36.692 del 5 ottobre 2007: escludeva il reato nell’ipotesi di mancata esecuzione delle sentenze civili, principio utilizzato dalle imprese per non reintegrare i dipendenti che avevano ottenuto la revoca di un licenziamento illegittimo. Pare che il bracco ungherese di Draghi abbia questo Lupo in grande simpatia.

La normalizzazione del processo penale rassicura l’Europa perché assicura stabilità e rafforza il dispotismo del potere. La forbice fra ricchi e poveri si è ulteriormente allargata durante l’emergenza pandemica, la repressione delle proteste popolari in tema di retribuzione e ritmi lavorativi procede spedita rimuovendo gli ostacoli, inquinamento e sfruttamento del territorio non arretrano. I manovali della criminalità sono carne da macello e possono essere condannati; i colletti bianchi addetti al riciclaggio potranno cavarsela versando e trattando con lo stato. Per questo il processo della trattativa attualmente in fase d’appello, e prossimo ormai a conclusione, deve essere ad ogni costo disinnescato. Ladruncoli, manifestanti, oppositori, piccoli spacciatori, poveri in genere debbono subire condanne rapide, esemplari; va invece assicurata una possibile via di fuga ai soldati del governo, siano essi deputati o poliziotti, banchieri o inquinatori, dediti al peculato o mercanti di braccia. La scure dell’improcedibilità è una trovata perversa, a modo suo geniale per selezionare legalmente chi dannare e chi salvare.

Abbasso la libertà!

Sono i peggiori reazionari a sventolare la bandiera della libertà, in totale sintonia con il capitalismo moderno ormai avviato alla completa conquista del potere. Il dispotismo mette le esistenze a valore, o con una democrazia simulata o con strutture neofasciste, comunque esercitando controllo e criminalizzando qualsiasi opposizione.

La magistratura piemontese, che si crede progressista, pensa che la persecuzione contro i No Tav in Val di Susa sia necessaria per colpire inquinatori industriali, evasori e corruttori. Si sbaglia. Continueranno a massacrare i ribelli ecologico-politici e non potranno toccare gli assassini del territorio e dei lavoratori. I poliziotti torturatori di Genova hanno fatto carriera, i manifestanti continuano a pagare; e questo metodo uscirà rafforzato dai decreti governativi connessi alla legge delega.

Chi crede di poter cavalcare, da sinistra, i temi del referendum o della prescrizione è solo un ingenuo, forse pure un gonzo. Ognuno difende i suoi; il potere lo ha ben chiaro. L’interesse dei poveri e dei precari sta nell’eliminare – o almeno alleggerire – le condanne per proteste e picchetti, per occupazioni di case o per la varietà di  prelievi in danno dell’autorità; non è certo quello di salvare poliziotti e imprenditori dal carcere. Ma in questo dibattito parlamentare di salvare poveri e precari non si parla mai, il tema è anzi quello di bastonare più rapidi, con maggiore efficacia. La chiamano sicurezza pubblica, la chiamano stabilità. Invece è sicurezza del potere, invece è impunità.

Torna in mente il vecchio film di Luis Bunuel, Il fantasma della libertà (1974), con il grido dei condannati: Vivan las cadenas. In italiano fu tradotto con Abbasso la libertà ! A Mario Draghi e Marta Cartabia, se questa è la libertà che ci aspetta, possiamo solo gridare: abbasso la libertà.

Joe Vannelli

28/7/2021 http://effimera.org

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