La forza generatrice di Genova 2001

Le giornate di Genova 2001 non sono state né un Sessantotto durato poche ore, né una bruciante sconfitta che ha spinto un’intera generazione a ritirarsi nella dimensione privata, secondo un’interpretazione veicolata dai media in questo ventennale. Certamente Genova ha visto la morte di Carlo Giuliani, le manganellate ai manifestanti, la macelleria della scuola Diaz e le torture all’interno della caserma di Bolzaneto, ma la strategia del terrore ha perso. Non ha funzionato il tentativo di dividere il movimento dei movimenti, primo movimento davvero globale. Non ha funzionato la trappola architettata per costringere le componenti ambientaliste, pacifiste e del cattolicesimo sociale ad abbandonare le piazze e per spingere i settori più radicali entro una spirale di conflitto violento.

Lungi dal generare riflusso, le giornate di Genova hanno piuttosto determinato una valanga di partecipazione e di impegno mai vista, con Social forum nati in ogni angolo del Paese e un processo di politicizzazione di massa dove persino i boy-scout discutevano animatamente di Wto, Fmi o finanziarizzazione dell’economia. Ecco perché Genova non è stata l’apocalisse ma un’esperienza collettiva straordinaria, generatrice di processi che hanno attraversato i decenni successivi. Ed ecco perché i veri protagonisti di quelle giornate non sono state né la celere di Canterini né le cabine di regia di Fini, Berlusconi e Scajola, ma le centinaia di migliaia di persone che manifestavano per un altro mondo possibile. Quelle stesse persone che sono poi tornate sui territori e hanno continuato a far politica, insieme, nei più diversi ambiti, secondo il noto slogan del movimento “pensare globalmente, agire localmente”.

La potenza generatrice di Genova e del movimento che veniva dalla rivolta zapatista e dal controvertice di Seattle è stata immensa. È sulla spinta di quelle giornate che il Forum sociale europeo di Firenze del 2002 si trasformò nel più grande appuntamento politico mai visto nel continente, con oltre 60mila delegati provenienti da tutta Europa e una manifestazione conclusiva cui partecipò un milione di persone. È da Firenze che venne lanciata la più grande mobilitazione globale della storia, quella contro la guerra in Iraq del 2003, che portò contemporaneamente in piazza in tutto il pianeta decine di milioni di persone, al punto che il New York Times scrisse che era nata la «seconda superpotenza mondiale».

Sempre a Firenze nel 2003, nel primo Forum mondiale alternativo dell’acqua, nacque il percorso che successivamente ha condotto alla formazione del Forum  italiano dei movimenti per l’acqua e all’analoga rete europea e quindi alla straordinaria vittoria referendaria del 2011 per la ripubblicizzazione del servizio idrico e degli altri servizi pubblici locali. Un percorso che sarebbe poi continuato con la prima Iniziativa dei cittadini europei (Ice) in assoluto, arrivata sul tavolo della Commissione Ue a Bruxelles con quasi due milioni di firme in calce.

Anche il movimento per la giustizia climatica ha le proprie radici nel movimento altermondialista. All’interno delle assemblee e delle manifestazioni dei Klimaforum, ossia i primi controvertici di Copenaghen (Cop 15) e di Cancun (Cop 16), è possibile trovare non solo le medesime analisi ma anche, alla lettera, i medesimi slogan e parole d’ordine che oggi attraversano i Fridays for future, da «system change, not climate change» a «there’s no planet B». Analogamente, Occupy Wall Street e gli Indignados riprendono il filo della critica alla finanziarizzazione dell’economia avanzata dal movimento dei movimenti e persino lo slogan «noi il 99%, voi l’1%» richiama quello di Genova 2001: «Voi G8, noi 6 miliardi». Oggi in Italia la neonata rete della Società della cura, attraverso l’Ice per liberare i vaccini dai brevetti, dà seguito alla storica battaglia del movimento altermondialista per l’accesso universale ai farmaci e per la libera produzione degli inibitori della proteasi che, in piena emergenza Aids nel continente africano, impegnò il movimento a fianco di Nelson Mandela e contro Big pharma. Sono forse meno diretti i legami fra Genova 2001 e nuovi movimenti come Non una di meno o Black lives matter ma la componente femminista è stata madre del movimento dei movimenti, così come le rivendicazioni di Black lives matter sono sovrapponibili a quelle del corteo genovese dei migranti del 19 luglio 2001.

Persino alcuni progetti politici innovativi come Podemos e Syriza hanno radici nel movimento altermondialista e nella successiva mobilitazione contro le politiche di austerità, e non solo per le biografie di Pablo Iglesias, Alexis Tsipras o Yannis Varoufakis. Ma ciò meriterebbe un capitolo a sé, così come questione a parte è quella relativa al nostro Paese, dove l’occasione dell’innovazione sul terreno dell’organizzazione politica è stata persa proprio negli anni immediatamente successivi a Genova e dove importanti parole d’ordine del movimento sono state “rubate” dal M5s, dall’acqua pubblica alla giustizia ambientale, e poi depotenziate.

Il movimento inizialmente si era sviluppato nel corso degli appuntamenti globali di contestazione di organismi come il G8 di Genova, o del Wto, del Fmi, della Banca mondiale, ossia istituzioni economico finanziarie prive di legittimazione democratica diretta le cui decisioni hanno un impatto sulla vita di tutti gli abitanti del pianeta. Ma immediatamente è riuscito anche a creare spazi autonomi di elaborazione e proposta, come il Forum continentale di Firenze, riunendo mondi diversi attorno a obiettivi comuni senza la pretesa che qualcuno di questi potesse sussumere e assorbire gli altri. Nessun obiettivo e nessun conflitto poteva essere gerarchicamente sovraordinato, che si trattasse della questione ambientale o del conflitto capitale-lavoro, della questione di genere o di quella migrante, dei diritti civili o della pace e dell’antimilitarismo. Tutti questi tasselli del mosaico dovevano comporsi armonicamente e insieme rappresentare l’alternativa. A ciò corrispondeva un’analoga rottura delle gerarchie fra attori sociali: se nel corso del Novecento i lavoratori salariati erano considerati l’unico soggetto della trasformazione, il movimento altermondialista mette insieme le lotte dei precari e quelle dei contadini spossessati persino dell’uso dei semi, le rivendicazioni dei migranti e quelle delle donne, le rivolte degli indigeni privati dell’accesso all’acqua o alle foreste e le vertenze degli utenti dei servizi pubblici privatizzati, coloro che si battono per la giustizia climatica e ambientale e coloro che si prendono cura dei beni comuni. Questa inedita unione è stata così ampia da connettere i Sem terra brasiliani e i lavoratori dell’immateriale delle grandi metropoli del Nord, fondendo la campagna contro la brevettazione del vivente e quella contro la privatizzazione delle conoscenze, saldando alleanze fra il movimento per il software libero e le reti per l’agricoltura contadina e la filiera corta.

Oggi ci troviamo immersi in una crisi pluridimensionale di grandezza planetaria: sociale, ambientale, sanitaria ed economica allo stesso tempo. Molti strumenti per costruire un’alternativa sono rintracciabili nell’elaborazione dei movimenti degli ultimi venti anni, quel che manca è il conflitto e la capacità di riorganizzare, in forme nuove e inedite, alleanze sociali su scala locale e globale, dando vita a nuovi processi collettivi di massa. E però la storia non è finita e la potenza generatrice dei movimenti può riservare sorprese. Intanto il miglior modo per celebrare questo ventennale è continuare a scavare, come vecchie talpe.


Tommaso Fattori, già consigliere regionale per Sì Toscana a Sinistra, è stato portavoce del Social forum di Firenze e organizzatore del primo Forum sociale europeo del 2002

16/7/2021 https://left.it

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