Conseguenze economiche e finanziarie della guerra in Ucraina

Questo articolo non vuole coprire tutte le tematiche economico-finanziarie legate alla guerra in Ucraina e alle sanzioni occidentali, ma guardare soltanto ad alcuni dei temi relativi, con particolare riferimento al ruolo della Cina nella crisi e, in misura minore, alle possibili conseguenze del tutto per il quadro europeo. Parte delle note che seguono, vista anche la situazione di grande confusione in atto e l’urgenza di informare, saranno dunque soggette a imprecisioni ed incertezze. 

E’ ben noto che con le guerre c’è sempre chi ci guadagna, anche molto e nel nostro caso faranno certamente salti di gioia i produttori di armi (anche noi ne abbiamo qualcuno; così, mentre la Borsa italiana crollava, il titolo Leonardo guadagnava il 15%). Macron ha già dichiarato che i 50 miliardi di euro stanziati in bilancio dalla Francia per il 2022 non bastano più, mentre, il cancelliere Scholz ha annunciato la creazione di un fondo di 100 miliardi di euro per il settore della difesa; attendiamo con impazienza un qualche annuncio italiano in proposito. Intanto partono dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti grandi carichi militari per l’Ucraina. Non mancheranno certo di arricchirsi anche i trader di prodotti energetici e agricoli, nonché di qualche minerale, oltre che, come sempre, gli speculatori di Borsa.

Un difficile equilibrio

Anche se le opinioni in merito divergono molto, la Cina per alcuni aspetti potrebbe essere danneggiata dagli avvenimenti, mentre per altri forse risulterà avvantaggiata. Il bilanciamento tra i due punti dipenderà molto da come si metteranno le cose in futuro.     

Il paese asiatico si trova in una situazione molto complessa e delicata. E’ noto come Pechino sia molto amica di Mosca, mentre meno noto è che essa intrattiene rapporti cordiali anche con l’Ucraina, essendo, tra l’altro, il primo paese importatore ed esportatore del paese europeo ora invaso, che ha anche aderito al progetto di nuova Via della Seta. Sullo sfondo c’è anche il rapporto con gli Stati Uniti, che minacciano sanzioni se la Cina aiuterà la Russia.

Il governo cinese ha dichiarato a più riprese di essere favorevole ad un meccanismo di sicurezza europeo “equilibrato”, sottolineando come appaia necessario rispettare le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti i paesi (compresa quindi, è sottinteso, la Russia), ma nello stesso tempo ha sottolineato come bisogna anche rispettare l’integrità territoriale di tutti i paesi (compresa quindi l’Ucraina). Ricordiamo che la Cina non si intromette in generale negli affari interni di altri paesi, accusando invece i paesi occidentali di farlo continuamente. 

Quindi la Cina cerca di sostenere un ruolo di moderatore, è per una soluzione negoziale del conflitto (la stessa Ucraina le ha chiesto di provare ad aiutare il processo) e cercherà di spingere i due contendenti a trovare un’intesa, mentre ancora non è chiaro quale sia alla fine il suo reale potere negoziale. In ogni caso Pechino si trova, come al solito e ormai da tempo, al centro della scena suo malgrado e lo sarà presumibilmente ancora di più in un prossimo futuro.

 Russia-Cina: un matrimonio di convenienza e le analogie con il caso iraniano

Le apparentemente dure sanzioni Usa ed europee spingono necessariamente la Russia, come è già stato scritto, nelle braccia della Cina, anche se non è assolutamente chiaro, viste anche le minacce statunitensi e i tentativi di equilibrismo dello stesso paese asiatico, dove tale alleanza potrà arrivare operativamente e quanto la Cina vorrà e potrà fare.

Intanto le sanzioni incideranno certamente sul livello del Pil del paese. L’Iran, sottoposto a suo tempo alle sanzioni di Trump, in un primo tempo – nel 2018 e 2019 – ha visto il suo Pil pro-capite scendere del 15%, il che non è poco per un paese non sviluppatissimo, mentre l’inflazione è andata alle stelle. Poi l’economia non è collassata e si è stabilizzata ad un nuovo livello. Teheran ha continuato, tra l’altro, a esportare ogni giorno 1 milione di barili di petrolio grazie alla Cina e ad altri paesi. Un destino in qualche modo simile si potrebbe configurare per il caso russo. Qualcuno prevede per quest’anno e per la Russia una caduta del Pil in qualche modo inferiore a quella dell’Iran e che si dovrebbe aggirare intorno al 7-9%, mentre il livello di inflazione potrebbe raggiungere, secondo alcune agenzie economiche, il 17%. 

Quello tra la Russia e la Cina appare in ogni caso un matrimonio di convenienza (i due paesi non si amavano troppo, tradizionalmente), un legame nel quale i rapporti di forza sono comunque tutti a favore del secondo attore citato, che possiede una forza economica dieci volte più grande di quella russa e un livello tecnologico e finanziario almeno altrettanto superiore, anche se in alcuni settori le tecnologie russe non sono certo trascurabili. Per altro verso si tratta però di due economie complementari.

La situazione nei vari comparti    

Sul piano finanziario l’esclusione sia pure parziale dalla rete swift, considerata “l’arma nucleare” dal punto di vista finanziario, non può che portare la Russia a inserirsi nella rete autonoma cinese, la Cips, che stentava a decollare e che potrebbe ora trovare nuova linfa. La crisi potrebbe anche contribuire ad aumentare gli sforzi cinesi di rendersi sempre più autonomi dal dollaro, attivando tra l’altro ancora più velocemente il renmimbi virtuale. Ma si tratta di uno sforzo di lunga lena, che necessita tempo per essere portato a compimento. Intanto la moneta cinese continua in questi giorni a rivalutarsi contro tutte le aspettative, mentre ovviamente aumenta il suo ruolo.

Ricordiamo che l’UE è il principale partner commerciale della Russia, con quest’ultima che esporta quasi tre volte tanto verso la UE che verso la Cina, anche se gli accordi tra i due paesi mirano a portare presto l’interscambio a 250 miliardi di dollari all’anno contro i 147 miliardi del 2021. 

L’Ue è oggi il principale acquirente del gas russo, anche se proprio in queste settimane Cina e Russia si sono messe d’accordo per la costruzione di un nuovo gasdotto che porterà il gas in Cina dagli stessi giacimenti da cui esso parte oggi per l’Europa.  

Come la Russia se la potrebbe cavare con l’aiuto della Cina

Le entrate derivanti dalla vendita del gas in Occidente non sono certo trascurabili, ma la Russia continuerà a vendere il suo gas e il suo petrolio anche in molti altri paesi del mondo. Di fatto, nonostante diverse dichiarazioni contrarie, tra cui anche quelle della sempre meno credibile Ursula von der Leyen, l’UE non può fare a meno del gas russo, se non in un’ottica di medio termine e gli Stati Uniti non sono in grado di sostituirlo. 

Ricordiamo incidentalmente che l’Occidente non è il mondo e che molti Stati in Asia, Africa, America Latina non hanno condannato l’invasione dell’Ucraina, o lo hanno fatto in modo blando. Per quanto riguarda direttamente la Cina, essa può assorbire, volendo e potendo (ricordiamo sempre le minacce Usa), grandi quantità di prodotti energetici. 

La Russia possiede inoltre, tramite la sua banca centrale e una banca di sviluppo, circa 140 miliardi di dollari in obbligazioni del paese asiatico, circa un quarto delle sue riserve valutarie, denaro che può utilizzare per far fronte alle sue necessità. I giornali raccontano che presso le filiali moscovite delle banche cinesi già centinaia di imprese russe sono arrivate chiedendo di aprire dei conti in yuan, mentre diverse imprese dello stesso paese cominciano ad accettare pagamenti nella stessa valuta. Si racconta di una fabbrica di cioccolato russa che ha esaurito le sue scorte grazie all’acquisto on-line da parte di cinesi che simpatizzano per la causa del paese amico. E ora anche un’impresa ucraina di cioccolato sta cercando di fare lo stesso tipo di operazione, ma i giornali non dicono se e con quale successo.

In questi giorni gli scambi commerciali procedono abbastanza regolarmente nei due sensi, con qualche eccezione: alcune imprese cinesi che hanno incorporato nei loro prodotti componenti statunitensi, si stanno ritirando dalla Russia (vedi il caso Lenovo).

Va segnalato che molti investitori cinesi si stanno precipitando ad acquistare titoli azionari di una decina di imprese del loro paese che hanno rapporti d’affari rilevanti con la Russia, nell’aspettativa di un aumento delle attività tra Mosca e Pechino. Una scelta azzardata? Il valore di tali titoli per il momento sta salendo fortemente. 

Va poi registrato che la grande banca AIIB, formata a suo tempo su iniziativa di Pechino per fornire finanziamenti a progetti nei paesi emergenti, della quale i tre principali azionisti sono Cina, India e Russia, con la Russia che dunque in teoria giocherebbe in casa (anche l’India è un paese amico), ha sospeso per il momento le operazioni per quanto riguarda i finanziamenti a Russia e Bielorussia, ma non all’Ucraina. La mossa, giustificata ufficialmente con l’aumento del rischio di credito, non ha alcun effetto pratico, perché in questo momento non c’è nella sostanza in ballo nessun progetto importante, ma segnala una certa attenzione e un certo messaggio del paese del dragone. La notizia potrebbe servire alla Cina per rimarcare come ci sia un’autonomia della banca rispetto al paese asiatico e sempre della Cina rispetto alla Russia.

Aspetti della situazione economica dell’Europa dopo lo scoppio della guerra

Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’UE ha mancato sul piano politico l’ennesima occasione per mostrare una sua voce autonoma rispetto a quella degli Stati Uniti, anzi ha indicato a tratti un volto persino più oltranzista,nonostante a Bruxelles ci sia un clima di grande preoccupazione per le forniture di gas e di petrolio.Le centrali a carbone europee hanno ancora oggi un ruolo chiave per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti del continente. Nel breve termine non si saprebbe come sostituire il carbone russo con quello proveniente da altre fonti. Intanto le fabbriche di auto europee, soprattutto quelle tedesche, si devono fermare perché mancano i cavi elettrici, prodotti in Ucraina. Di queste imprese, la più importante impiegava 7.000 persone. Tale difficoltà si aggiunge alla chiusura delle fabbriche di auto europee in Russia, mentre continua la carenza di semiconduttori. 

Per quanto riguarda i minerali, segnaliamo in particolare il caso del palladio, di cui la Russia produce il 40% del totale mondiale e i cui prezzi sono aumentati di quasi il 50% da gennaio ad oggi (il metallo è utilizzato anche in Europa nella produzione dei catalizzatori delle marmitte delle auto a benzina, nonché in quella dei semiconduttori). I due paesi sono produttori importanti anche di altri minerali e gas importanti, utilizzati nella produzione di chip, smartphone e veicoli elettrici. L’Ucraina vende in particolare circa il 90% del gas neon usato in particolare negli Stati Uniti per la produzione di semiconduttori. Sempre l’Ucraina produce il 40% del kripton, altro gas raro. Anche i prezzi di alluminio e nickel, di cui la Russia è un importante produttore, appaiono sotto tensione. 

La Russia e l’Ucraina sono poi grandi produttori ed esportatori di cereali. C’è da ricordare che, con i processi di riscaldamento climatico, la Russia in un paio d’anni ha sviluppato prodigiosamente i suoi raccolti e oggi è il primo produttore ed esportatore mondiale di grano, mentre l’Ucraina non è da meno. I due paesi rappresentano oggi il 30% degli scambi mondiali e da quando è scoppiata la guerra i prezzi, che erano già prima in rilevante salita, sono aumentati  intorno al 40%, anche perché le esportazioni dai due paesi in guerra verso l’Europa e verso anche gli altri continenti appaiono bloccate.  Anche ammesso che il mercato possa reggere il colpo grazie alle riserve, la riduzione delle consegne da parte dei due paesi belligeranti sta portando i prezzi dei cereali alle stelle. I francesi si preoccupano già per la loro sacra baguette, mentre si scopre che l’Italia importa ogni anno il 50% del suo consumo di grano tenero e il 40% di quello duro (una volta almeno, la pasta si faceva nel nostro paese con il grano dell’Est). Incidentalmente si può segnalare infine il fatto che l’Ucraina è anche il più grande mercato nero di armi in Europa.

A parte ciò, il Vecchio continente è destinato in ogni caso a perdere parecchio in questa crisi.

Appendice

Note su inflazione e recessione

Le conseguenze della crisi ucraina sull’economia globale potrebbero ovviamente essere molto rilevanti.

I primi mesi del 2022 non segnano un raffreddamento del tasso di inflazione in Occidente, ma anzi registrano una sua crescita ulteriore, anche se va comunque sottolineato che le ragioni dell’aumento dei prezzi sono in parte diverse tra Stati Uniti e UE. In febbraio nella UE essa ha raggiunto il 5,8% e si pensa che essa potrebbe superare il 7% da qui alla fine dell’anno se il conflitto dovesse durare. In particolare, come abbiamo già sottolineato, i problemi toccano i prodotti energetici, le altre materie prime e i cereali, cui si aggiungono ovviamente il panico e la speculazione, oltre forse all’ulteriore aggravamento delle questioni logistiche.

 In questi giorni il prezzo del gas ha così raggiunto i 200 dollari per megavattora, mentre il petrolio è ormai oltre i 110 dollari sempre al barile e mentre i prezzi del carbone sono aumentati in poco tempo del 42% e quelli del grano del 38,6% in una sola settimana. Tra l’altro si vanno fermando in Europa fonderie, acciaierie ed altre imprese in settori energivori. Ricordiamo poi, come aggravante, che l’euro si va indebolendo contro il dollaro e che quindi i prezzi, che sono normalmente espressi in dollari, risulteranno alla fine nei paesi dell’euro ulteriormente in salita.

I prossimi aumenti dei tassi di interesse negli Stati Uniti dovrebbero avere presumibilmente l’effetto di portare ad un calo nelle quotazioni delle Borse, alimentate a suo tempo dal denaro facile. Ma si teme e a ragione soprattutto per quelle europee, che hanno peraltro già preso una china pericolosa, mentre in tale situazione quanto potrà resistere la BCE nel tenere i tassi di interesse fermi? Ad un certo punto, come afferma qualcuno, le banche centrali potrebbero preferire causare una recessione piuttosto che perdere la battaglia contro l’inflazione. 

Ci si può così chiedere comunque se seguirà anche una forte caduta dell’economia. Molto dipenderà dalla durata della guerra e dai risvolti economici e politici della stessa. In ogni caso per il 2022 si può prevedere come minimo una forte riduzione dei tassi di crescita se non una vera e propria recessione in Occidente, in particolare in Europa, recessione che appare comunque sempre più probabile man mano che passano i giorni e i complessi fili che legano tra di loro tutte le economie si dipanano. In ogni caso gli Stati Uniti sembrano più protetti con il loro isolamento geografico, l’abbondanza delle risorse energetiche, il relativamente basso livello di scambi commerciali con il resto del mondo. Molto più gravi i problemi in Europa.

Cosa succederà ai salari? Nel 2021 in tutti i paesi del G-7 essi sono rimasti, ed anche di molto, indietro rispetto all’inflazione, mentre molti “esperti” economici, a cominciare dal governatore della Banca d’Inghilterra, chiedono moderazione ai sindacati, mentre non fanno lo stesso con le imprese.  

Una situazione molto complicata e dagli esiti imprevedibili. 

Vincenzo Comito

7/3/2022 https://sbilanciamoci.info

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