Cosa ci raccontano i dati sui detenuti stranieri in Italia

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In Italia è in corso un processo di riforma del sistema penitenziario che dovrà necessariamente riguardare anche il tema della detenzione degli stranieri. I dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria offrono un quadro complesso di questa particolare componente della popolazione carceraria, e possono sfatare alcuni luoghi comuni.

I cittadini non italiani, pur essendo soltanto il 9 per cento circa della popolazione libera in Italia, rappresentano il 34 per cento del totale dei detenuti. Dieci anni fa erano di più, il 37 per cento, ma si tratta sempre di una proporzione considerevole. La crescita della popolazione straniera detenuta negli ultimi quattro anni, invece, riguarda più i numeri assoluti, legata com’è a un trend in risalita di tutti i numeri della popolazione reclusa, compresa quella italiana. Una crescita che nulla ha a che fare con gli indici generali di delittuosità, tutti in calo secondo le rilevazioni del Ministero degli Interni.

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Quella straniera è, dunque, una componente significativa nel panorama carcerario italiano, e i dati forniti dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) ci mostrano una realtà complessa che richiederebbe maggiore attenzione per evitare una sottostima dei bisogni individuali e scongiurare discriminazioni. Quelli che esaminiamo sono i dati del Dap aggiornati al 30 giugno 2017 (disponibili online qui) e alcuni quadri aggiuntivi ottenuti dall’associazione Antigone, aggiornati al 30 settembre 2017.

La presenza di stranieri nelle carceri

La sovrarappresentazione degli stranieri nel nostro sistema carcerario non si può imputare a una loro presunta maggiore propensione al crimine, ma è invece influenzata da fattori normativi e sociali, specialmente per chi è in Italia come irregolare. Secondo gli esperti della materia, infatti, l’insieme dei dati sociali e criminali relativi alla popolazione detenuta immigrata dimostra senza equivoci che il sistema della giustizia penale è al servizio di un’idea fortemente selettiva su base etnica e sociale. Il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, sottolinea che il “tasso di fiducia penitenziario”  – misurato calcolando il rapporto fra il totale delle persone in esecuzione penale e quelle che sono in misura alternativa, e drasticamente diverso per italiani e stranieri – è misura eloquente di un sistema penale selettivo, che ripropone meccanismi discriminatori già presenti nella società libera.

Si correrebbe inoltre il rischio di generalizzare se si considerassero i detenuti stranieri come se fossero un unicum. Non è così. Si tratta di poco meno di 20.000 persone: tutte non italiane, ma con ben poco in comune oltre al fatto di essere straniere e recluse in Italia.

Nel nostro sistema carcerario si contano provenienze da più di cento paesi. I più rappresentati sono, in ordine decrescente, il Marocco (18,6 per cento dei detenuti stranieri), la Romania (13,7 per cento), l’Albania (12,8 per cento), la Tunisia (10,5 per cento), la Nigeria (5,6 per cento) e l’Egitto (3,4 per cento). Numerose altre comunità straniere, rappresentando meno dell’1 per cento del totale dei detenuti stranieri, contribuiscono sì all’eterogeneità del sistema, ma sono poco rappresentative dal punto di vista statistico. In un contesto così, non è possibile parlare di “detenuto straniero”, ma è necessario tenere in considerazione le diverse identità e i bisogni specifici che discendono anche da ogni singola nazionalità.

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Le donne straniere detenute

La percentuale delle donne straniere sul totale dei detenuti stranieri è il 4,7 per cento, un valore di pochissimo superiore a quello delle donne detenute in generale (che è il 4,3 per cento, un dato generale che evidenzia come le donne siano meno coinvolte degli uomini in attività illecite). Tuttavia è interessante, se si guarda solo alla componente femminile, come cambia l’ordine delle nazionalità straniere più rappresentate nelle carceri italiane: si tratta in primo luogo di donne provenienti dalla Romania (228 detenute) e dalla Nigeria (164); i gruppi più rappresentati sono poi in ordine decrescente quelli provenienti da Bosnia-Erzegovina (55) e Marocco (46), ma in questi casi i numeri sono già di molto inferiori.

Guardando alle imputazioni, poi, si nota come il 40 per cento circa del totale di quelle riferite a donne rumene riguardino reati contro il patrimonio, il 28 per cento circa reati contro la persona e solo il 5 per cento la prostituzione e il 3,8 per cento le leggi sugli stupefacenti; per quanto riguarda le imputazioni a carico delle donne nigeriane, invece, il 5,6 per cento riguardano reati contro il patrimonio, il 25,7 per cento reati contro la persona, il 25,3 per cento violazioni del Testo Unico sugli Stupefacenti (T.U.) e il 14,5 per cento la prostituzione. È evidente come già questi dati non permettano di fare un discorso in generale sulle straniere detenute; un’eventuale azione di prevenzione criminale non potrebbe prescindere da un’analisi delle ragioni di queste disparità.

La posizione giuridica dei detenuti stranieri

Un primo aspetto che andrebbe esaminato è quello della posizione giuridica di chi è detenuto. Se i detenuti italiani in carcere senza una condanna definitiva rappresentano circa il 32 per cento del totale dei detenuti italiani, le percentuali salgono notevolmente tra i non italiani. Se si considera l’intero gruppo di detenuti stranieri, coloro che si trovano ristretti in assenza di una condanna definitiva sono il 42,4 per cento. Considerando poi i singoli paesi di origine e concentrandosi sulle comunità straniere più rappresentate, per le quali dunque il dato è più significativo, si supera di molto la percentuale italiana di detenuti non ancora condannati con sentenza passata in giudicato.

In particolare, non hanno ricevuto una condanna definitiva più della metà dei detenuti nigeriani (61 per cento), gambiani (66 per cento) e pakistani (57 per cento), e questa è la condizione anche di circa la metà dei detenuti provenienti da Egitto, Ucraina e Senegal e del 40,8 per cento dei detenuti di origini albanesi e marocchine. Dunque gli stranieri, più degli italiani, sono destinatari di misure cautelari di custodia in carcere, e questo si potrebbe spiegare, almeno in parte, con la difficoltà da parte dell’indagato e imputato straniero ad accedere a una tutela legale qualificata. Un altro elemento da tenere in considerazione nell’analisi di questi numeri è il fatto che per chi viene da un altro paese è più difficile contare su legami stabili con il mondo esterno. Il paese di origine (così come anche la presenza regolare o irregolare sul territorio italiano), sembra influire non solo sui frequenti trasferimenti degli stranieri da un istituto di pena all’altro, ma anche sulla valutazione del rischio di fuga (e quindi sul “tasso di fiducia” di cui parlavamo prima, che porta a un più facile ingresso in carcere e a una più difficile uscita tramite accesso alle misure alternative).

Il tipo di reati commessi dai detenuti stranieri

Altro capitolo che andrebbe tenuto in considerazione nello studio della riforma è quello sul tipo di reati commessi dagli stranieri e sulle pene loro inflitte. I numeri ci mostrano una situazione che non giustifica gli allarmismi diffusi nell’opinione pubblica. La retorica dell’invasione degli stranieri pericolosi che vengono nel nostro paese per delinquere non è supportata dai dati reali che provengono dalle nostre carceri.

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Questo risulta evidente da un’analisi dei dati sulle pene inflitte agli stranieri e sulle tipologie di reati a costoro imputati. Si deve evidenziare, infatti, come al crescere della gravità del reato diminuisca l’incidenza della componente straniera. All’aumentare della pena inflitta (e dunque della gravità del fatto commesso) corrisponde una diminuzione della percentuale degli stranieri in generale sulla popolazione carceraria totale; questi passano infatti dall’essere circa il 46 per cento dei detenuti condannati a meno di un anno a circa il 6 per cento del totale di quelli condannati all’ergastolo. Osservando i dati riferiti alle nazionalità straniere con più di 200 detenuti condannati (ossia, in ordine decrescente, Marocco, Romania, Albania, Tunisia e poi Nigeria, Egitto, Algeria e Senegal), le percentuali non differiscono molto tra le singole comunità, e confermano che gli stranieri sono quasi assenti tra i condannati a pene dai 20 anni di reclusione in su, e che per la maggior parte gli stranieri risultano condannati a una pena inferiore ai 5 anni: sono il 60 per cento dei detenuti stranieri, mentre sono il 40 per cento nel caso dei dei detenuti condannati italiani. Questa differenza tra pene inflitte a detenuti italiani e pene inflitte agli stranieri è meno cospicua per i detenuti di provenienza albanese, la cui percentuale di condannati a meno di 5 anni è il 46 per cento.

Anche per quanto riguarda il tipo di reati commessi, gli stranieri detenuti sono più rappresentati quanto minore è la gravità del reato. Il numero di detenuti stranieri è fondamentalmente trascurabile, ad esempio, per reati riconducibili alla criminalità organizzata, e in percentuale gli stranieri detenuti hanno commesso meno reati violenti rispetto agli italiani: solo il 31 per cento circa dei reati contro la persona e il 28 per cento dei reati contro il patrimonio sono imputati a soggetti stranieri. Ancora più impressionante il dato relativo ai reati di associazione di stampo mafioso: qui gli italiani sono quasi il 99% (6993 italiani e 90 stranieri su un totale di 7083 detenuti).

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Analizzando per nazionalità i dati sui tipi di reati commessi, si nota che i reati contro il patrimonio imputati agli stranieri sono commessi per la maggior parte da cittadini di Romania (20,5 per cento), Marocco (19,65 per cento), Albania (11,29 per cento) e Tunisia (9,74 per cento).

Tra le imputazioni di reati contro la persona commessi da stranieri troviamo percentuali simili: il 18,4 per cento circa si riferisce a cittadini della Romania, il 18,4 per cento a cittadini del Marocco, l’11,7 a persone albanesi, il 10,3 a tunisini.

Inoltre, anche se quella rumena è la seconda nazionalità straniera più rappresentata tra i detenuti in Italia, ai detenuti romeni si riferiscono solo l’1,35 per cento delle imputazioni per violazioni del T.U. sugli stupefacenti. Per quanto riguarda le altre nazionalità, i dati su questo tipo di imputazioni fanno emergere sempre Marocco, Albania e Tunisia come paesi più rappresentati, con l’aggiunta della Nigeria, i cui cittadini contano per l’8 per cento di queste imputazioni fra gli stranieri.

I dati riferiti alle violazioni della legge sull’immigrazione, invece, mostrano un quadro più eterogeneo, anche se si osserva una maggiore presenza di cittadini egiziani, ai quali si riferiscono circa il 16 per cento di queste imputazioni. Guardando ai dati riferiti alle sei nazionalità straniere più rappresentate, circa il 15 per cento delle imputazioni riferite a cittadini egiziani riguardano violazioni della legge sull’immigrazione, mentre per le cinque altre nazionalità le percentuali sono molto più basse e non arrivano nemmeno al 5 per cento.

Guardando i dati riferiti alle sei nazionalità straniere più rappresentative considerate singolarmente si può anche tentare un confronto con i dati relativi ai cittadini italiani. Ad esempio, solo il 23 per cento delle imputazioni riguardanti cittadini rumeni si riferisce a reati contro il patrimonio, una percentuale persino leggermente più bassa di quella relativa agli italiani (25 per cento). Questo significa che allarmismi e stereotipi diffusi presso l’opinione pubblica sui rumeni “dediti ai furti” sono privi di una base statistica (confermandoci che sulla cosiddetta “questione criminale romena” ci sono soprattutto tanti pregiudizi).

Altrettanto interessante è l’estrema marginalità di detenuti rumeni per i reati che riguardano gli stupefacenti, visto che solo l’1,25 per cento delle imputazioni a loro carico si riferisce a violazioni di questo tipo. Allo stesso modo anche gli egiziani risultano poco coinvolti nel traffico di droga, dato che le imputazioni riferite a violazioni del suddetto T.U. rappresentano solo l’8 per cento di quelle totali a loro carico; al contrario invece di quanto avviene per i cittadini marocchini, per il quali il coinvolgimento in questo tipo di reati è maggiore, circa il 20 per cento, e superando di molto anche la percentuale degli italiani, che è del 13 per cento circa.

Infine, un dato interessante riguarda la percentuale di imputazioni per reati contro la persona, che per tutte le nazionalità menzionate è inferiore al dato dei detenuti italiani, che è il 16,7 per cento; fanno eccezione i cittadini rumeni, per il quali la percentuale è simile a quella italiana (16,5 per cento).

da Openmigration.org

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