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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione — Agosto 17, 2017 6:32 pm

Un Reddito di cittadinanza sottoposto al principio della condizionalità svolge infatti al contempo una funzione di integrazione salariale in favore delle imprese, e di controllo e di ricatto sui lavoratori. Ignorando le cause da cui origina l’emarginazione, la condizionalità impone oneri e sanzioni che si riflettono sui familiari, spingendo ad accettare lavori precari, con l’effetto perverso di riprodurre una popolazione fluttuante di lavoratori doppiamente ricattabili, dallo Stato e dai datori di lavoro, come dimostrano emblematicamente i casi della Germania e del Regno Unito.

Flessicurezza e lavoro coatto nel Reddito di cittadinanza del M5S

Pubblicato da franco.cilenti

 

Il Reddito di cittadinanza è, nelle enunciazioni, una misura volta a dare dignità a milioni di persone, che il M5S ha posto all’ordine del giorno. Ma gli strumenti previsti dal suo disegno di legge sono contestabili: dall’obbligo per i beneficiari di documentare una ricerca attiva di lavoro non inferiore a due ore giornaliere, a quello di accettare qualsiasi lavoro se dopo un anno non hanno trovato un’occupazione. Dignità lesa e sconquasso del mercato del lavoro. È già successo. In Gran Bretagna i poveri sono costretti al lavoro coatto gratuito, altrimenti perdono il sussidio; in Germania devono accettare, per lavori che vengono loro imposti, salari miserevoli a cui viene aggiunto il sussidio.
Un capitolo del libro Reddito di cittadinanza: emancipazione dal lavoro o lavoro coatto? (Asterios, giugno 2017) analizza ciascuna di queste due situazioni, perché alle loro normative hanno fatto riferimento gli estensori della proposta del M5S. L’obiettivo del libro è di indurre coloro che valutano positivamente il messaggio del M5S a rendersi conto delle contraddizioni e della pericolosità insite nel disegno di legge, e, altresì, a sollecitare il M5S e la sinistra dormiente ad operare in maniera diversa in questo spazio politico. A fronte di un aumento, anno dopo anno, della povertà, si stanno diffondendo le iniziative per imporre un intervento: “mille piazze per il reddito di dignità” contesta esplicitamente in campo cattolico l’acquiescenza al governo dell’Alleanza contro la povertà che riunisce ACLI e sindacati confederali; Eurostop preme per un Reddito Sociale Minimo per disoccupati e precari per garantire una condizione di vita dignitosa per tutti. Si tratta di individuare strade alternative capaci di valorizzare – pur con una attenzione prevalente al lavoro – la molteplicità di percorsi di vita nell’uscita dalle condizioni di povertà relativa che il Reddito di cittadinanza dovrebbe consentire.
L’articolazione del disegno di legge del M5S va perciò conosciuta, discussa e contestata. Il testo si apre con dichiarazioni di principio sulla necessità di muoversi nella direzione della liberazione dal lavoro. “Dobbiamo rivedere il concetto stesso di lavoro”. “Lavoriamo non per far crescere l’indice di produttività, ma per far crescere il benessere, per vivere una vita dignitosa e felice”. “Ogni cittadino deve poter contare su un reddito minimo indispensabile per vivere dignitosamente, sul diritto alla casa, al riscaldamento, al cibo, all’istruzione, all’informazione: un reddito minimo utile ad ottenere un lavoro congruo, nel rispetto della formazione scolastica e delle competenze professionali acquisite”. “Altra esigenza, non meno importante delle precedenti, è quella di abbattere la condizione di schiavi moderni, cioè la condizione nella quale si trovano tanti individui, laureati e non, costretti ad accettare qualsiasi lavoro, sottopagato, precario, senza possibilità di crescita o, addirittura, senza un adeguato contratto”.
Su questo orizzonte di emancipazione il disegno di legge del M5S erige, contraddittoriamente, il sistema di erogazione del Reddito di cittadinanza. Fa capo ai Centri per l’impiego per “dare alla proposta un peculiare orientamento verso il lavoro”.
“Chi aspira al reddito di cittadinanza, in età non pensionabile superiore a 18 anni, è tenuto a iscriversi al Centro per l’impiego (…), ad accettare espressamente di essere avviato a corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ad un progetto individuale di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro; a seguire il percorso di bilancio delle competenze previsto, nonché redigere, con il supporto dell’operatore addetto, il piano di azione individuale funzionale all’inserimento lavorativo”. “Deve intraprendere, entro sette giorni dall’iscrizione, percorsi di inserimento lavorativo; svolgere con continuità un’azione di ricerca attiva del lavoro (…), con la registrazione delle azioni intraprese anche attraverso l’utilizzo della pagina web personale”. Finché non trova lavoro, “l’azione documentata di ricerca attiva del lavoro non può essere inferiore a due ore giornaliere”. Sono previste esenzioni soltanto per chi si occupa di figli fino a 3 anni o di invalidi.
Il lavoro che il Centro per l’impiego assegna deve essere ‘congruo’, attinente alle competenze segnalate dal beneficiario, avere una retribuzione oraria uguale o superiore all’80 per cento rispetto alle mansioni di provenienza o a quanto previsto dai contratti nazionali. Tuttavia chi riceve il reddito e dopo un anno non ha ancora trovato occupazione è tenuto ad accettare un lavoro qualsiasi per non perdere il sussidio. Così si sconquassa il mercato del lavoro, anche se fosse realizzato il salario minimo garantito previsto dallo stesso disegno di legge. Si apre quella strada che in Germania costringe milioni di persone a sottostare al ricatto del famigerato Hartz IV.
Nella riforma ordoliberale dei sistemi di welfare, l’abbassamento del costo del lavoro e la mobilità dei fattori sono posti come condizioni necessarie per sostenere la posizione competitiva degli Stati. La piena occupazione cui si fa riferimento nei documenti europei è da intendersi nel senso di garantire agli individui l’occupabilità per il corso della loro vita, prescindendo dai livelli salariali e dagli orientamenti soggettivi. Compito del welfare europeo è di mettere tutti in condizione di avere le conoscenze e le qualifiche richieste dal mercato del lavoro, in competizione gli uni con gli altri. Le politiche sociali devono fornire alle imprese lavoratori adatti alle loro esigenze. Cultura imprenditoriale, personalizzazione dei percorsi, logiche di progetto, enfasi sull’auto-attivazione nel lavoro e nella sua ricerca sono parte integrante di un ordine del discorso e di una logica di intervento che mirano a far interiorizzare a individui, gruppi e popolazioni, la normalità della precarietà lavorativa. Chi non riesce a dimostrare tali capacità non è semplicemente disoccupato, ma è inoccupabile, quindi inadatto alla società. Fino al paradosso, in una situazione di disoccupazione diffusa, di obbligare chi ha bisogno del sussidio a dedicare la propria vita alla ricerca di una occupazione, e di registrarne sistematicamente i fallimenti, come è previsto anche dal disegno di legge del M5S.
Ma in una situazione di diffusa disoccupazione lo stesso Parlamento europeo, pur nel contesto della flessicurezza, nel 2009 e nel 2010 aveva posto con urgenza il problema dell’estensione del reddito minimo, sgombrando il terreno dalla condizionalità intesa come coazione al lavoro. Aveva invitato la Commissione e gli Stati membri “a esaminare in che modo i diversi modelli di reddito di base non condizionali e preclusivi della povertà per tutti possano contribuire all’inclusione sociale, culturale e politica, tenuto conto in particolare del loro carattere non stigmatizzante e della loro capacità di prevenire casi di povertà nascosta”.
Se si intende realizzare in Italia il Reddito di cittadinanza è necessario spostare il baricentro dalla coazione al lavoro alla predisposizione di strumenti idonei a incentivare e valorizzare l’autonomia delle scelte di vita anche alternative a quella del lavoro con l’impegno in tante altre attività: sociali, culturali, politiche, sportive, che possono alimentare le capacità personali e sociali di fuoruscita dalle condizioni di povertà.
L’assunzione di responsabilità a fronte del reddito deve sostituire la condizionalità soprattutto nella prospettiva del lavoro. Un Reddito di cittadinanza sottoposto al principio della condizionalità svolge infatti al contempo una funzione di integrazione salariale in favore delle imprese, e di controllo e di ricatto sui lavoratori. Ignorando le cause da cui origina l’emarginazione, la condizionalità impone oneri e sanzioni che si riflettono sui familiari, spingendo ad accettare lavori precari, con l’effetto perverso di riprodurre una popolazione fluttuante di lavoratori doppiamente ricattabili, dallo Stato e dai datori di lavoro, come dimostrano emblematicamente i casi della Germania e del Regno Unito. La sua erogazione a fronte di lavori la cui “congruità” non è imposta ma è soggettivamente definita sottrae ai ricatti delle imprese. Contribuisce a rafforzare i lavoratori sul piano salariale con conseguenze distributive che abbracciano l’intera società sia in termini di reddito sia di tempi di lavoro, consentendo di rivendicare su questo specifico terreno una loro riduzione generalizzata a parità di salario.
Anche la “cittadinanza” come condizione di accesso al reddito deve essere oggetto di attenzione e definita in termini di “residenza”. Lo status di cittadino è, altrimenti, generatore di emarginazione, e condanna gli immigrati ad una condizione di miseria e clandestinità, al di sotto dello standard di vita prevalente nel paese: un esercito di disperati che viene usato per disciplinare i lavoratori tutti.
Un Reddito di cittadinanza deve dunque trovare posto oltre quei confini culturali che, attribuendo preminenza all’economico, emarginano il sociale, come avviene in Europa nel quadro dell’economia sociale di mercato, e del neoliberismo nel mondo. Per oltrepassare tali confini, occorre, nello specifico, smettere di recepire acriticamente il principio della condizionalità e quindi del welfare to work, ma coglierne la dinamica espropriativa e disciplinante. Occorre anche emanciparsi da quell’attitudine storicamente lavorista, diffusa a sinistra, che, nel porre il lavoro salariato come motore della storia, finisce per credere, contro ogni evidenza, che esso sia eternamente riproducibile. Per dirla con André Gorz, è necessario “liberare il pensiero e l’immaginazione dai luoghi comuni ideologici in cui si incatena il discorso sociale dominante; e, quindi, pensare, fino al loro termine logico, esperienze esemplari che esplorano effettivamente altri modi di cooperazione produttiva, di scambio, di solidarietà, di vita (…). Si tratta di far percepire l’attuale società in via di disintegrazione dal punto di vista della società e dell’economia radicalmente altre che si profilano all’orizzonte dei cambiamenti come loro senso ultimo”.

Giuliana Commisso e Giordano Sivini

* autori del libro Reddito di cittadinanza: emancipazione dal lavoro o lavoro coatto? (Trieste, Asterios, 2017).

Giuliana Commisso, ricercatrice confermata, insegna Governance e sviluppo nel corso di laurea magistrale in Scienze Cooperazione e Sviluppo dell’Università della Calabria. Ha pubblicato con Asterios nel 2016 La genealogia della governance. Dal liberalismo all’economia sociale di mercato.

Giordano Sivini è stato professore di Sociologia politica presso la Facoltà di Economia dell’Università della Calabria, Ha pubblicato con Asterios nel 2016 La fine del capitalismo. Dieci scenari.

17/8/2017 www.rifondazione.it

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Autore: franco.cilenti
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