I cecchini delle redazioni

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Da oltre cinquant’anni dedico gran parte del mio tempo al giornalismo con strumenti autoprodotti e con la collaborazione di migliaia di persone, da vent’anni sono iscritto iscritto all’ordine dei giornalisti come pubblicista.

Ho sempre creduto che il compito del giornalismo dovrebbe basarsi sull’obiettività e non far prevalere le opinioni sui fatti, separando le lecite interpretazioni ma sempre partendo da una cognizione di causa (anche se indiretta) mediante l’inchiesta, l’etica lo richiede! Quell’etica che da decenni non si riscontra in grossa parte dei media stampati e televisivi nel nostro Paese, lo confermano i dati che ci vedono nei bassifondi della classifica mondiale.

La settimana scorsa è uscito il nuovo World Press Freedom Index – una classifica annuale che valuta lo stato del giornalismo e il suo grado di libertà in 180 paesi del mondo. Il nostro paese occupa la 58esima posizione, che posto occuperemo nella prossima classica dopo questi mesi di propaganda a senso unico?
Lo riafferma lo stato di mistificazione sul conflitto armato in Ucraina. I sondaggi delle ultime settimane ci dicono che se ne accorta anche gran parte dell’opinione pubblica.

La faziosità dei comunicatori privilegiati che si sono imposti in questi ultimi vent’anni di potere politico e mediatico ha depredato ogni ogni capacità critica del nostro pensiero desertificando le fonti reali delle notizie e sostituendo i fatti con le opinioni.

Che la verità sia la prima vittima di ogni conflitto è luogo comune vero da sempre e la conferma ci arriva, per restare ai media italiani, dalle assurde fake news della televisione e della stampa sulla guerra in Ucraina.

La loro sudditanza agli interessi militari degli Stati uniti non conosce il sentimento della vergogna (lasciamo perdere l’etica giornalistica diventata un’optional da non utilizzare con cura) fino ad arrivare a usare le immagini di videogiochi di guerra spacciati come immagini in tempo reale. Vecchie esercitazioni militari vergognosamente irradiate ai telespettatori – ovviamente considerati dei perfetti idioti da instradare – come immagini in diretta, mentre il video risale alle prove della “Parata della Vittoria”, giornata di festa in Russia che ricorda la capitolazione dei nazisti per mano dei sovietici (9 maggio 1945). E, addirittura, immagini dei bombardamenti della NATO, Italia compresa, sulla Jugoslavia spacciati per bombe russe sull’Ucraina.

In questa società delle immagini che hanno sostituito le parole, di conseguenza il tempo delle riflessioni, le immagini dirompenti che invadono l’immaginario delle persone sono quelle che, attraverso mass media e spettacolarizzazioni in generale, veicolano la forza dirompente del Pensiero unico..

La nostra è una società sempre più governata dai media e dal potere delle immagini, usate per recintare e occupare spazi sempre più grandi della nostra immaginazione a vantaggio di chi gestisce i mezzi di comunicazione. È’ uno strapotere ideologico, politico, economico e culturale totalizzante atto a trasformare modelli di sistema sociale e politico in feticci e totem collettivi. Ne fa le spese anche Papa Francesco, deriso, insultato e descritto come “pazzo”.

Il feticismo accompagna il sorgere dell’economia monetaria e dello scambio dei prodotti mediato dal denaro il quale nasconde la vera ragione dello scambio.

Le immagini sono diffuse dai media come feticci che nascondono la loro provenienza e la loro funzione, occupano l’immaginario ingenuo provocando la perdita del senso più originario delle società umane e delle relazioni reali, alimentando la subordinazione ai poteri dominanti.

Oramai la follia guerrafondaia dei mezzi di comunicazione televisiva e stampata ha raggiunto livelli di sfacciataggine e bugie da rappresentare il maggior aiuto allo scontro tra imperialismi, come nella guerra all’Iraq e nei Balcani, anche con l’uso spregiudicato delle vittime civili.

Assistiamo ad un uso terroristico delle immagini trasmesse dai media o, appunto, con facilità in rete; immagini forti e simboli, azioni che vogliono essere poste al centro dell’attenzione, sia che si voglia attrarre o sedurre sia che si voglia aggredire o distruggere. Chi ha scelto di operare questo terrorismo mediatico riesce a non vergognarsi?

La vergogna è uno spartiacque tra umanità e disumanità? Credo di sì quando si gioca con la vita delle persone. Le parole hanno un peso e i fatti compiuti da una persona non sono mai innocui per gli altri che, volenti o nolenti, ai quei fatti sono costretti a legare le proprie condizioni di lavoro e di vita.
Ecco perché faccio fatica a declinare come umana tutta quella gente che con l’arma del potere: politico, economico-finanziario, d’impresa privata/pubblica, editoriale, parlano e decidono (spesso in associazione d’intenti affaristici) a prescindere dai danni umani che provocano.
Per vent’anni il popolo italiano, in in parte indotto dal sistema di informazione e in parte consenziente e tifoso, ha permesso ad affaristi, inclini a delinquere, di accumulare potere monarchico e immense ricchezze sottratte con l’inganno delle leggi, della persuasione televisiva e della complicità di un sistema affine.

Quanto si paga oggi la libertà di opinione scritta e verbale se la esterni in contesti collettivi senza avere la “copertura” di potenti organismi politici e mediatici? Lo possiamo chiedere a tante e tanti gornaliste/i che non ci stanno alla servitù editoriale, ad esempio giornalisti ex dipendenti quali; Alberto Negri (Sole 24ore); Amedeo Ricucci (RAI); Angela Virdò (Ansa): Claudia Svampa (Il Tempo); Giampaolo Cadalanu (Repubblica); Giovanni Porzio (Panorama); Massimo Alberizzi (Corriere della Sera): Remigio Benni (Ansa); Renzo Cianfanelli (Panorama); Tony Capuozzo (TG 5); Vanna Vannuccini (Repubblica).

Ideologico e apocalittico il quadro che ho accennato? Proviamo a tirare su un lembo del piombato tappeto mediatico che ci hanno messo in testa per camminarci sopra le nostre teste scopèriremmo che oltre il 90% del sistema televisivo, pubblicitario e della carta stampata è di proprietà delle lobby economiche, industriali (anche degli armamenti) e finanziarie. Se avete alzato quel lembo di tappeto avrete scoperto quanto succede oggi nel sistema mediatico sulla guerra in Ucraina.

Un fondamento del giornalismo investigativo parla di «follow the money», cioè “segui il denaro”. E seguendo il denaro di uno dei principali editori italiani, John Elkann, presidente del Gruppo Gedi, proprietario di 24 testate giornalistiche più altrettante online, è piuttosto facile arrivare a scoprire gli interessi, le partecipazioni e gli affari nel settore militare.

Chiedo a quella classe giornalistica che ha consapevolmente permesso questi crimini se non debba vergognarsi, nel caso si senta far parte del genere umano come operatore dell’informazione.

Chi vive il suo quotidiano scorrere della vita a difesa dei diritti civili e sociali, a difesa del libero pensiero e di espressione verbale e scritta, oggi viene criminalizzato e descritto come alieno dai gruppi che hanno in mano la comunicazione con la violenza propria degli strumenti di potere, asservendo individui senza personalità propria ma forti dello stare dentro la cerchia della commistione affaristica delle grandi concentrazioni editoriali, possedute da gruppi economici e finanziari che stanno cancellando anche la storia recente.

Le notizie somigliano sempre più a bollettini del fascista Istituto Luce, in attesa delle trame del “Ministero della verità” istituito recentemente da Biden a corredo dei film, telefilm e programmi televisivi in sostegno dalla propaganda bellica USA. Si ripete l’operazione di copertura fumogena da televisioni e giornali compiuta sull’aggressione NATO all’Iraq – con più di 2 milioni di civili morti – sulla ex Jugoslavia e sulla Libia sostenuta anche dai media mainstream sulla base di una boccetta d’acqua spacciata per virus chimico – in avanti.

Gli “esperti” nei telegiornali, nei salotti televisivi e sui giornali sono scelti fra quelli che rafforzano le posizioni guerrafondaie, mentre l’economia di guerra travolge il potere d’acquisto e i bilanci di famiglie e imprese. La propaganda di guerra sta nascondendo sotto il tappeto anche il crollo de salari reali e del potere d’acquisto delle famiglie già povere da decenni.

Per riflettere in una società indotta al consumo delle immagini, urge una pausa che ci accompagni a ragionare sulla qualità e sui contenuti del nostro pensiero, sull’invasività con cui il potere utilizza l’immagine per condizionare le nostre scelte di vita. Una lettura che richiama alla responsabilità dei media e dei messaggi con cui cerca di determinare condizionamenti del nostro immaginario, ma richiama anche alla nostra responsabilità di comunicatori.

Una lettura che richiama anche alle responsabilità dell’Ordine dei giornalisti poco attento all’operare di suoi tanti iscritti che si sono arruolati come cecchini dei fatti, al servizio della propaganda militarista, calpestando la realtà.

Franco Cilenti

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