Il lavoro, il non lavoro e i numeri truccati

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Quando si parla di disoccupati e occupati non prendiamo in considerazione quanti da anni hanno rinunciato a cercare una occupazione barcamenandosi tra lavoretti (al nero), sussidi, aiuti di familiari.
Siamo in presenza di migliaia di uomini e donne con bassa scolarizzazione, espulsi dal mercato del lavoro, con impieghi saltuari o di pochissime ore settimanali o senza alcuna occupazione.
In queste ultime settimane, il tasso di disoccupazione è calato, pur di poco, attestandosi al 10,4%, ma crescono soprattutto gli inattivi, ben 90 mila in piu’.

Ma chi sono gli inattivi? Prendiamo per buone le definizioni Istat, anzi le riportiamo integralmente

Per rappresentare appieno la complessa realtà del mercato del lavoro è necessario andare oltre la rigida distinzione tra occupati, disoccupati e inattivi, con l’ausilio di indicatori complementari definiti in sede europea. I primi riguardano due segmenti di inattivi:
– gli individui che non cercano attivamente un lavoro, ma sono disponibili a lavorare;
– le persone che cercano lavoro ma non sono subito disponibili.
La somma dei due segmenti rappresenta le cosiddette “forze di lavoro potenziali”.

E gli occupati ?
Per Istat occupato è chi lavora almeno una ora avendone un corrispettivo economico nella settimana di riferimento. Anche in questo caso è bene riportare integralmente quanto l’Istat asserisce

La definizione di occupato applicata dall’Istat nella Rilevazione forze lavoro è armonizzata a livello europeo ed è coerente con quella internazionale definita dall’ILO, tutti i paesi europei sono tenuti ad adottare la stessa definizione in base ai regolamenti comunitari.
Sono Occupati le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:
– hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura;
– hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;
– sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi.

Se questi sono i parametri di valutazione siamo certi che il numero degli occupati reali sia decisamente piu’ basso e quindi il numero dei senza lavoro, dei lavoratori precari decisamente maggiore.

Queste precisazioni si rendono necessarie per far capire all’ignaro lettore che dietro alle statistiche si celano definizioni, metodi di analisi e di ricerca molto particolari e tali da confliggere con l’immaginario collettivo. Ma torniamo ai dati degli ultimi mesi su occupazione e inoccupazione

Dopo anni di sgravi fiscali alle imprese i contratti a tempo indeterminato hanno ripreso a calare, ancora presto per capire gli effetti dei provvedimenti contenuti nel decreto dignità.

A luglio 2018 gli occupati calano di 28mila unità (a Giugno, -41mila), sono colpiti i giovani e i trentenni , le crisi aziendali e l’assenza di ammortizzatori sociali sono tra le cause principali.Gli stabili diminuiscono di 44mila unità, in Giugno e Luglio aumentano in ogni caso gli impieghi a tempo determinato che ormai sono il contratto, da anni, di riferimento nel mercato del lavoro.

Cosa si evince da questi dati?
Intanto che la crisi è tutt’altro che superata, le percentuali sono praticamente invariate, non guardiamo al mezzo punto in percentuale in piu’ o in meno perchè quel punto andrebbe bilanciato con altri parametri. La disoccupazione giovanile italiana è tra le piu’ alte, peggio di noi stanno solo Spagna e Grecia, i lavori stabili sono in continua diminuzione.
Se questa è la realtà serve una manovra economica assai coraggiosa ma il coraggio nasce dalla volontà politica di rompere con i dettami di Maastricht e questa volontà ha bisogno di fatti e non di parole.
Si continua a tagliare fondi destinati al lavoro pubblico, l’Italia cade a pezzi in assenza di manutenzione e salvaguardia del territorio, la Buona (si fa per dire) scuola non viene archiviata, gli investimenti in ricerca, formazione e tecnologie innovative sono del tutto insufficienti, basti ricordare che sono gli ultracinquantenni i piu’ interessati ai nuovi lavori (+381mila unità), ogni mese vengono presentate oltre 100 mila domande nuove di disoccupazione (si va verso 140 mila domande nel frattempo), scenari che fotografano un paese in crisi con una classe politica e industriale asservita al dio mercato e incapace perfino di intraprendere delle scelte da capitalismo illuminato.

Se per anni si pensava che le delocalizzazioni avrebbero rilanciato il prodotto italiano (ma sono invece cresciuti i profitti degli azionisti di queste aziende), per anni si è anche pensato che le privatizzazioni rappresentavano lo strumento migliore con cui gestire il paese.

I dati economici e i fatti di cronaca dicono l’esatto contrario, hanno raccontato anni di bugie, i sindacati complici ci hanno fatto ingoiare di tutto addolcendo la pillola, salari e pensioni hanno perso potere di acquisto, il sacco del territorio e le speculazioni hanno prodotto morti e danni. Come invertire la tendenza allora? E’ questa , solo questa la domanda alla quale rispondere.

Federico Giusti

2/9/2018 www.controlacrisi.org

 

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