IL MUCCHIO SELVAGGIO

Nessuno è esente da errori. La differenza sta nel rendersene conto e fare ammenda dei propri; salvo rilevare, poi, quelli di altri.

In questo senso, appena qualche giorno fa, in un commento “caldo” sull’inusuale (1) lista dei ministri e, soprattutto, sulle tante forze politiche che concorreranno alla costituzione del governo Draghi, mi riferivo alle stesse in termini di “grande ammucchiata”.

Confesso, però, che non era nelle mie intenzioni alludere al divertente pamphlet (2) di Elisa Rolfo – anche se, in effetti, il riferimento a un saggio sull’idiozia poteva ben conciliarsi – tanto meno richiamare un’eventuale (omonima) versione cinematografica porno.

Tentavo, molto più semplicemente, di esprimere, in estrema sintesi, una sensazione di grande fastidio per un’operazione politica che, francamente, mi pare dettata da motivi reconditi e, direi, inconfessabili.

Al riguardo, forse avrei reso più comprensibile le mie intenzioni se avessi fatto ricorso al titolo di un vero capolavoro del genere western: “Il mucchio selvaggio”; opera del noto regista Sam Peckinpah.

L’azione si svolge su una terra di confine e coinvolge un gruppo di banditi – ogni riferimento è puramente casuale – che intendono, per danaro, depredare un prezioso carico – armi o Recovery fund, fa lo stesso – destinato ai rivoluzionari!

Faccio ammenda e ribadisco di non nutrire alcuna curiosità rispetto ai contenuti del “programma di governo” che Mario Draghi si appresta a presentare al Senato prima e, successivamente, alla Camera.

Sono consapevole che siffatta dichiarazione corrisponde a una presa di posizione “di parte” e, quindi, di carattere pregiudiziale rispetto a un’ipotesi di programma ancora in corso d’opera e che potrebbe, pertanto, riservare chissà quali sorprese.

In effetti, almeno in linea teorica, è così, o almeno dovrebbe essere.
Un aspetto molto importante è, a mio avviso, rappresentato da un punto in particolare. Quello a guida Draghi sarà un governo che, più di ogni altro precedente, nasce sotto l’egida del Capo dello Stato; mai come in passato sostenuto da quasi tutto l’arco costituzionale e nel nome di una visione “unitaria” del nostro Paese.

Di qui, come qualcuno auspica ed altri prevedono, un mix di esigenze, priorità, aspettative, bisogni e richieste cui la classe politica italiana dovrebbe (e sembrerebbe) essere disponibile a sacrificare interessi di parte per concorrere, tutti insieme – o quasi tutti – al “bene del paese”.

La sensazione, quindi è che con all’incarico affidato a Mario Draghi – un altro, tra gli pseudo “tecnici” (3) che di sicuro non rimpiangeremo – nell’immaginario collettivo si diffonda l’idea – strumentalmente alimentata dai vertici politici ed economici – che, in virtù di chissà quale miracolo, siamo tutti dalla stessa parte.

Invitati quindi a remare nella stessa direzione; perché tutti “sulla stessa barca”!

Ebbene, da questo punto di vista, la storia avrebbe dovuto – piuttosto – insegnare a tutti che la politica e, per essa, chi ne detiene il potere, opera (sempre) delle scelte che, inevitabilmente, rappresentano per alcuni una priorità o un’esigenza indifferibile e, contemporaneamente, per altri qualcosa di superfluo; se non, addirittura, inutile.

Ciò considerato, è lecito chiedersi: “A quali istanze il governo Draghi riconoscerà diritti e priorità”?

Qual è e come si esercita, secondo la concezione di un grande (e potentissimo) ex banchiere – che governerà dall’alto di un inedito (e, fino a ieri, inimmaginabile) “mucchio selvaggio”, senza alcuno specifico riferimento al rozzo capo della Lega – il “bene del paese”?

Tra l’altro, al fine di “esorcizzare” il ricordo delle infauste conseguenze prodotte dai precedenti governi “tecnici” (4) , sono tanti i politologi e gli “esperti” di turno che s’industriano nel sostenere che il futuro governo – a differenza di quello presieduto da Monti (dall’aprile 2008 al dicembre 2012) – non metterà “le mani nelle tasche degli italiani” perché, questa volta, non si tratterà di fare sacrifici, ma, piuttosto, spendere al meglio gli oltre 200 mld di euro del Recovery fund.

Niente di più falso, secondo alcune attendibili fonti.
Personalmente, su quest’argomento, non dispongo di sufficienti ed adeguate conoscenze teoriche per esprimere valutazioni di merito e preferisco, quindi, affidarmi alle considerazioni espresse dalla Redazione del sito web “Come don Chisciotte”.

Al riguardo, appena qualche giorno fa (15 febbraio), la suddetta Redazione si esprimeva, rispetto alle modalità di presentazione del Recovery fund, in termini di “volgare propaganda”.
A suo parere, infatti, “La falsa rassicurazione circa il compio assegnato al governo Draghi poggia su due assunti entrambi falsi”!

Il primo, nel senso di aver lasciato intendere alla gente che “ci ritroveremo letteralmente ricoperti di euro (gli oltre 200 mld) e avremo solo il bellissimo problema di spendere bene questi soldi”.
Invece, bisognerebbe che tutti sapessero che: “i 209 mld previsti saranno, innanzi tutto, ripartiti in sei anni” e che una parte degli stessi sarà destinata a sostituire altre spese già presenti nel bilancio dello Stato italiano, mentre un’altra parte sarà da considerare al netto dei trasferimenti che l’Italia sarà tenuta ad effettuare nei confronti delle Istituzioni europee. Ne discende, secondo quanto afferma “Come don Chisciotte”, che “come per magia, dai 209 mld si scende a un ammontare inferiore ai 10 mld di euro all’anno per i prossimi sei anni”!

Il secondo, falso, assunto è il dare per scontato che le Istituzioni europee “abbiano abbandonato il paradigma dell’austerità; saremmo quindi liberi dai fatidici vincoli alla spesa pubblica”.

A questo proposito, la Redazione cita il contenuto dell’ultima bozza del Regolamento del Recovery fund varata lo scorso 9 febbraio.
In estrema sintesi, ne consegue che “I soldi del Recovery fund saranno concessi solo in cambio di misure di austerità. Ovvero misure efficaci per correggere il disavanzo eccessivo”.

Per cui, tornando al punto di domanda, è doveroso e legittimo interrogarsi su quelle che saranno le scelte cui si dedicherà il governo Draghi.
Anticipavo, al riguardo, di non nutrire grande curiosità. Lo ribadisco, unitamente a tante preoccupazioni.

Esse sono dettate dal convincimento che la retorica del “volemose bene tutti insieme appassionatamente” assolutamente niente abbia a che fare con le opzioni politiche che si prospettano da parte di un Esecutivo chiamato a gestire un momento gravissimo dal punto di vista sanitario e altrettanto drammatico da quello sociale.

Temo, quindi, che le due emergenze finiranno con il rappresentare il più utile alibi per continuare a perpetrare quella sorta di “macelleria sociale” già sperimentata sui lavoratori italiani dai governi succedutisi negli ultimi venti anni; con ulteriore accanimento rispetto ai diritti e alle tutele degli stessi.

Così come temo che Draghi – in ossequio alle sue stesse “raccomandazioni” (5) rivolte, nel 2011, all’allora governo Berlusconi – non rinuncerà all’obiettivo di privilegiare ciò che già definiva “le esigenze delle imprese”.

Il tutto in un paese in cui la precarietà è (ormai) divenuta irreversibile, si rileva un crescente numero di working poor e le condizioni di povertà relativa e assoluta coinvolgono oltre il 25 per cento della popolazione totale.
In questo quadro, i timori sono accentuati dalla sensazione che, purtroppo, nessuno tra i partiti presenti all’interno dell’arco costituzionale abbia la consapevolezza di tale situazione ed avverta quindi l’esigenza di un’inversione di marcia in grado di evitare ulteriori drammi; con nefaste conseguenze sul tessuto sociale del paese.

NOTE

  • In quanto, contrariamente ad una consolidata prassi, la lista dei ministri è stata resa nota con ampio anticipo rispetto ai tempi “classici” intercorrenti tra l’incarico al Premier e la presentazione del programma alle Camere.
  • Fonte: “La grande ammucchiata: storie di quotidiana idiozia”; Ed. youcanprint
  • Personalmente, sono sempre stato convinto che definire “tecnico” un governo abbia sempre rappresentato una vera e propria mistificazione della politica e dei politicanti. Ogni governo opera, comunque, delle scelte che, in quanto tali, non sono mai asettiche, ma producono conseguenze che, complessivamente, incidono sulla “vivibilità” di ciascuno di noi.
  • L’ultimo, in ordine di tempo, il governo Monti; al quale, tra l’altro, si devono la legge Fornero e la “manomissione” dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
  • Lettera inviata al governo Berlusconi (cui successe Monti), in data 5 agosto 2011, a firma congiunta di Jean Claude Trichet e Mario Draghi, rispettivamente Presidente uscente ed entrante della Bce, attraverso la quale invitavano il governo ad attuare drastiche riforme strutturali. Fonte: sito web “Il Sole 24 Ore Italia” del 29 settembre 2011. È interessante rilevare che il contenuto della missiva avrebbe provocato lo sdegno del parlamentare europeo Paul Murphy (del Partito socialista irlandese) che arrivò al punto di accusare Draghi di essere “tra i co-cospiratori dei colpi di stato silenziosi attuati in Grecia e in Italia con governi legittimamente eletti sostituiti da governi composti da banchieri”.

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

16/2/2021

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