La querela di Acciaierie Italia contro Gad Lerner riguarda tutti noi

Gad Lerner

Se qualcuno fosse interessato a capire perché spesso parliamo di “querele bavaglio” vada a leggere, su Il Fatto, quanto ha raccontato Gad Lerner. La Procura di Milano gli ha recapitato l’apertura di un procedimento, a seguito di una querela di Acciaierie Italia, in merito ad una sua risposta ad un lettore nel corso della trasmissione di Radio Tre “Prima Pagina”. Anche questa è una primizia..
In quella risposta, in modo sintetico, erano contenuti anni di denunce, di inchieste, di rapporti internazionali, comprese le pronunce delle Istituzioni Europee.
Nulla di querelabile, nulla di offensivo,  anche se, sarà il caso di ricordarlo, la medesima Corte Europea tutela il diritto di cronaca, la pubblicazione di ogni notizia di pubblico interesse, il diritto di critica, anche la più aspra, soprattutto nei confronti di chi ha più responsabilità.
Come negare che questo è il caso in questione? Come negare che Taranto sia una grande questione di pubblico interesse? Come negare tonnellate di denunce e di atti giudiziari e parlamentari?
Come dimenticare che Gad Lerner, da anni, segue con grande rigore professionale e la consueta passione civile , l’evoluzione o l’involuzione, di quanto accade dentro e fuori, si pensi alla salute pubblica, alle acciaierie?
Quella recapitata al giornalista è davvero una “querela bavaglio”, che si propone solo e soltanto di intimidire l’autore.
Probabilmente  finirà nel nulla, ma intanto invia un messaggio a croniste e cronisti che, magari, non hanno un editore e neppure uno straccio di contratto.
Del resto questa querela segue le innumerevoli  scagliate, in questi giorni dalla Presidente del Consiglio, dai Ministri Crosetto e Calderoli e che hanno raggiunto Roberto Saviano, Stefano Feltri, Il Domani, Il Messaggero, Il Mattino e non solo.
Nel mirino hanno messo  l’articolo 21 della Costituzione e il diritto di cronaca.
Per questo bisogna reagire, non lasciare solo chi viene colpito.
Per questo invitiamo tutte e tutti a firmare “simbolicamente” le parole di Gad Lerner. Articolo 21 lo farà anche sul suo sito.
I legali della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti si metteranno a disposizione di Gad Lerner e di chi sarà raggiunto da intimidazioni e denunce.
Il giorno 14 marzo ritroviamoci in Tribunale a Milano per contrastare un bavaglio che riguarda tutte e tutti noi e,  soprattutto, la Costituzione.
Giuseppe Giulietti

10/1/2023 https://www.articolo21.org


“Io, denunciato dall’Ilva per aver detto la verità”

Gad Lerner

Riporto testualmente, così come me la sono ritrovata trascritta nell’”avviso all’indagato” inviatomi dalla Procura della Repubblica di Milano, la frase per cui vengo accusato di condotta diffamatoria ai danni dei soci di Acciaierie d’Italia, e per cui verrò processato il 14 marzo prossimo:

“… sto parlando della città di Taranto dove ormai da 10 anni nonostante diverse perizie, nonostante tutte le sentenze e le ispezioni operate dai diversi gradi della Magistratura abbiano certificato che l’acciaieria produce ancora oggi polveri che causano danni alla salute; grave per chi abita nei quartieri limitrofi e nonostante sia stata ordinata la chiusura di quelle produzioni a caldo, di quegli altiforni, si è sempre trovata una maniera. Da ultimo il Consiglio di Stato ha bloccato una sentenza del Tar ma altre volte è stato direttamente il Governo, il Consiglio dei Ministri a sospendere temporaneamente e si continua così”.

Rispondevo alla telefonata di un ascoltatore nel corso della rassegna stampa “Prima Pagina” in onda su Radio3 la mattina del 21 novembre 2021. Al di là del linguaggio parlato, questa frase indicata come “reato”, perché “offendeva la reputazione dei querelanti, soci della Società Acciaierie d’Italia S.p.A.”, io potrei ripeterla e riscriverla mille volte. Perché sintetizza correttamente la tragica, lunga vicenda che fa di Taranto l’epicentro di una maledizione nazionale: se la realtà non è conforme alle regole, chi ne ha il potere cerca in tutti i modi di cambiare le regole.

Con l’ultimo, varato dal governo Meloni, salgono a 14 i decreti “Salva Ilva” che a partire dal 2012 hanno consentito di eludere il sequestro degli impianti disposto dalla magistratura a seguito di numerose perizie. Senza contare le condanne inflitte in primo grado per “disastro ambientale” nel processo “Ambiente svenduto” agli ex proprietari della famiglia Riva; e i procedimenti in corso per corruzione in atti giudiziari a carico di uno dei commissari subentrati ai Riva.

Come ha ben documentato Il Fatto, nella disattenzione generale, quest’ultimo decreto mira a scongiurare preventivamente l’operatività di eventuali nuovi provvedimenti di sequestro, concedendo al tempo stesso “tutele penali”, cioè un salvacondotto, agli attuali amministratori dell’acciaieria. E ciò in vista della rimessa in funzione degli altiforni oggi spenti allo scopo di aumentare i volumi produttivi di questo “impianto di interesse strategico nazionale”.

Poco importa che la Corte d’Assise di Taranto a fine maggio abbia respinto la richiesta di dissequestro dell’area a caldo in quanto persistono pericoli per l’ambiente e la salute della cittadinanza, nonché per la sicurezza dei lavoratori. Né importa che pochi giorni dopo, a giugno, il Consiglio d’Europa abbia segnalato che, sì, vi sono stati miglioramenti, ma insufficienti, visto che “il livello di produzione autorizzato potrebbe ancora creare un rischio per la salute pubblica”.

Denunceranno per condotta diffamatoria anche il Consiglio d’Europa?

Comunque la pensino i cittadini di Taranto e i sindacati, divisi al loro interno, il messaggio rimane sempre lo stesso: di qui ai prossimi dieci anni, quando dovrebbero subentrare le nuove tecnologie green, l’imperativo di produrre più acciaio prevale sulla tutela della salute.

I nuovi gestori dell’acciaieria rivendicano il diritto di comportarsi come se l’esito nefasto dei comportamenti illeciti perpetrati da chi operava a Taranto prima di loro non li riguardasse. Per ottenere dal governo lo sblocco di 680 milioni di finanziamenti pubblici, l’attuale amministratrice delegata Lucia Morselli ha esercitato le più varie forme di pressione, compresa la sospensione dell’attività di 145 aziende appaltatrici. Il presidente di Acciaierie d’Italia, Franco Bernabè, di nomina pubblica, promette il completamento del nuovo piano ambientale per metà 2023 e annuncia che da allora si potrà tornare a produrre più acciaio. Grazie al nuovo decreto, la magistratura non avrà più voce in capitolo.

Chi nel frattempo descrive la situazione di fatto dovrà fare i conti con le pratiche intimidatorie messe in campo dai soci privati dell’acciaieria, almeno fin tanto che detengono la maggioranza delle quote azionarie. E’ per questo che rendo noto oggi un fatto minore come la querela per cui verrò processato: la FNSI, il sindacato dei giornalisti, le definisce “querele bavaglio”. Aziende dotate di agguerriti uffici legali e di risorse sproporzionate rispetto a chi scrive ne fanno un uso sempre più frequente per condizionare la libera stampa.

Invano, da una ventina d’anni, si è tentato di far approvare dal Parlamento una legge che disincentivi il ricorso a questa sorta di “liti temerarie” finalizzate solo a far tacere l’informazione scomoda. In un modo o nell’altro, ricorrendo al voto segreto, varie proposte, a parole da tutti ritenute necessarie, sono state affossate.
(da Il Fatto Quotidiano)

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