La violenza invisibile

Roma, 15 luglio 2019: un’assemblea in strada di Lucha y Siesta (foto tratta dalla pag. fb di questa straordinaria casa autogestita da donne)

La violenza manifesta -maltrattamenti, stupri, omicidi, persecuzione psicologica – sta uscendo sia pure lentamente dalla cronaca nera per approdare, in qualche rara trasmissione televisiva, al dibattito culturale e politico. Più resistente a lasciarsi stanare è la roccaforte del potere maschile: la neutralità, quella che il femminismo nella sua fase più radicale e creativa, all’inizio degli anni Settanta, ha definito “la violenza invisibile”.

“Neutri”, per la nostra come per le altre civiltà, sono gli aspetti dell’umano considerati liberi dall’appartenenza a un corpo, a un sesso, a limiti biologici e psichici. Tali sono, in particolare, il pensiero, il carattere e la volontà morale. Su questa “trascendenza” si è retta finora la loro superiorità e perfezione, ma anche la loro invisibilità come attributi che gli uomini hanno riservato soltanto a se stessi. Per una di quelle felici astuzie con cui la storia rivela i suoi inganni, è dai teorici del sessismo che viene una parola di verità su quello che è stato finora il rapporto tra i sessi. “Si può ben pretendere – scrive Otto Weininger in Sesso e carattere (1903)- l’equiparazione giuridica dell’uomo e della donna senza perciò credere nella loro eguaglianza morale e intellettuale. Semmai si può rifiutare tutta la barbarie del sesso maschile contro quello femminile senza contraddizione e senza contemporaneamente disconoscere la loro contrapposizione cosmica immensa e senza negare la differenza delle loro nature”.

Dovrebbe destare qualche sospetto il fatto che a una crescente femminilizzazione dello spazio pubblico faccia riscontro un pervicace, consapevole silenzio dei media, degli intellettuali e dei politici – salvo rare eccezioni – sull’inedita intelligenza critica prodotta, nell’arco di quasi mezzo secolo, da parte di donne capaci di pensare differentemente la politica, l’organizzazione del lavoro, la divisione tra privato e pubblico, il rapporto con la natura e la convivenza tra diversi.

Come può non venire il sospetto che la maschera della neutralità celi la più insidiosa delle violenze simboliche: la convinzione che le donne non abbiano un “Io”? Tra le tante separazioni su cui si è costruito il dominio maschile, l’opposizione individuo-genere è quello che permette tutt’ora di considerare le donne alla stregua di un gruppo sociale omogeneo, e l’uomo l’essere che nella sua particolarità e universalità sfugge a qualsiasi appartenenza.

La virilità è presente in tutte le forme del pensiero e del potere, ma sembra impossibile per gli uomini nominarla come tale senza vedere restringersi con allarme l’orizzonte della loro storia dentro i confini di una parziale componente della specie umana, quali essi sono. Se non si percepissero ancora oggi come “naturali” portatori di una parola universale e designati per questo al governo del mondo, forse comincerebbero a trovare ridicole le loro foto istituzionali “con signore” – poche e distinguibili solo per il diverso abbigliamento -, consumate le loro contese guerresche, sempre meno credibile il tentativo di spostare sugli esemplari più fragili o più sfortunati del loro sesso la condanna del maschilismo.

Quanto pesa sulla subalternità affettiva e intellettuale delle donne dover cercare quotidianamente conferma della loro esistenza e del loro valore in quella che è stata per secoli la misura unica dell’umano perfetto?

Lea Melandri

16/9/2019 https://comune-info.net

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