Le cure primarie dopo la pandemia

Immagina di entrare nell’ambulatorio di cure primarie che ha appena aperto vicino casa. Un ingresso luminoso e arieggiato si apre davanti a te e il personale di segreteria ti accoglie e ti dà il benvenuto. Un tabellone grande quanto l’intera parete riporta i nomi di tutto lo staff. Noti che, rispetto allo studio medico che avevi visitato in precedenza, il nome del tuo medico di base è solo uno dei tanti professionisti del nuovo ambulatorio. Il tabellone riporta nomi di infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali e psicologi. È elencato anche il personale amministrativo. Sulla parte alta del tabellone campeggia una scritta: “Benvenuti nel nuovo Ambulatorio di Cure Primarie”. Ti accomodi in sala d’attesa e attraverso la porta socchiusa di uno dei tanti ambulatori, intravedi un medico di medicina generale che impugna un fonendoscopio e si destreggia tra elettrocardiogrammi ed esami di laboratorio: “Signora, si metta sul lettino che la voglio visitare”. Chiude la porta dietro di sé. In attesa del tuo turno, ti accorgi che è appena entrato in ambulatorio un membro dello staff in divisa sanitaria che si rivolge al personale di segreteria: “Ho fatto il giro di tutte le case del quartiere: c’era chi aveva la pressione alta, a cui ho dovuto ricordare di prendere la terapia anti-ipertensiva, chi voleva informazioni su come ottenere l’esenzione per l’infarto appena avuto…e oggi c’era anche l’incontro tra i pazienti diabetici. Ma lo sai che sono tutti contenti di questa nuova figura, il community health worker?!”.

Arriva finalmente il tuo turno. Entri nello studio e ti accomodi. Davanti a te si presenta un giovane dal sorriso accogliente: “Buongiorno, mi chiamo Michele e sono l’infermiere di comunità del nuovo Ambulatorio di Cure Primarie. Come posso esserle utile?”. Legge la sorpresa nei tuoi occhi: “Ebbene sì, finalmente abbiamo un nuovo sistema di cure primarie! La pandemia ci ha portato a riflettere sul modo con il quale il sistema sanitario risponde ai bisogni di ognuno di noi. Sono state introdotte o ripensate alcune figure, come la mia, ovvero quella di infermiere di comunità. Ci occupiamo della gestione di casi infermieristici e della prevenzione ed educazione sanitaria della comunità, soprattutto in tema di preparazione alle emergenze. È stata introdotta anche la figura dei community health workers, che, opportunamente formati, vanno di casa in casa e si occupano dei pazienti più vulnerabili, come quelli allettati o affetti da patologie croniche, garantendo così continuità di servizio. Raggiungono anche quelli che abitano molto lontano, per esempio in comunità rurali o montane, cercando di sensibilizzarli e di migliorare il loro grado di preparazione alle emergenze. Sono professionisti che parlano diverse lingue per poter comunicare in modo efficace coi membri delle varie comunità. Ci riuniamo tutti di frequente assieme agli altri membri del sistema di cure primarie di zona: le case di riposo, il servizio di sanità pubblica, le farmacie e le organizzazioni non governative locali, in quanto tutti insieme rappresentiamo il primo punto di riferimento sanitario per i cittadini. Di recente è stato anche installato un sistema gestionale nuovo di zecca che riporta le schede cliniche di ogni paziente e classifica i pazienti in base al grado di vulnerabilità medica e sociale. Così facendo, tutto lo staff sanitario conosce i bisogni e le vulnerabilità degli individui della nostra comunità. Abbiamo anche del personale amministrativo, che si occupa di tutti gli adempimenti burocratici e di tenere in ordine il nostro magazzino, così abbiamo tutto il materiale pronto per ogni emergenza. In questo modo, noi lavoratori ci sentiamo tutti più protetti. E se ci trovassimo di nuovo di fronte a un’emergenza come il COVID? Ognuno di noi ha il proprio ruolo. E siamo anche formati mediante corsi specifici in cui simuliamo una risposta alle varie emergenze che potrebbero presentarsi.”

Alessandro Lamberti-Castronuovo, Martina Valente

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20/12/2022

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