Lezioni catalane, primi appunti

Sono appena tornato da Barcellona, e se il lavoro salariato (ben poco salariato, peraltro) non mi stesse addosso, e se ne fossi intellettualmente in grado, mi piacerebbe scrivere un lungo pippotto dal titolo “Lezioni catalane”. Mi pare infatti che il processo di questi ultimi anni, che ha avuto un’accelerata negli ultimi mesi e che abbiamo potuto toccare con mano negli ultimi giorni, possa insegnare davvero tanto sulla politica, sulla società, sullo sviluppo della crisi, e possa essere straordinariamente utile a chi ha intenzione di cambiare l’esistente.

Purtroppo in Italia il livello del dibattito è basso: per l’ignoranza dei fatti e dei contesti; per l’ottusità nell’impiego delle categorie (es.: “popolo”, “indipendentismo”, che non vengono mai colti nel loro senso dinamico e stratificato); soprattutto per una posizione tipicamente intellettuale, che pensa di sapere già tutto, che guarda la storia dal di fuori, con un atteggiamento moralizzante che in verità è del tutto estraneo alla politica.

Questi tre principali difetti, tipici di un corpo sociale rassegnato, risentito, e soprattutto totalmente a digiuno del “fare” politico – che è costruzione, pazienza, entusiasmo, risultati, profonda consapevolezza dell’indeterminatezza della Storia -, sono purtroppo diffusi anche fra i compagni.

Così a sinistra si finisce per ripetere sempre le stesse cose: il movimento che sarebbe teleguidato dalla borghesia catalana, l’inconsistenza della sinistra anticapitalista nei rapporti di forza, il “quanto è brutto il nazionalismo” che ci porterà verso le “piccole patrie” – insomma, tutta la retorica che oscilla fra il riformismo devoto al numero (che evoca in continuazione il “piccolo” 8% della CUP, i “soli” 49% di votanti al referendum etc) e l’estremismo dello spirito utopistico che vorrebbe subito l’abolizione di tutti i confini, dello Stato e il socialismo realizzato.

(Oscillazione peraltro non nuova: all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre erano proprio i menscevichi, che non erano stati in grado di compiere il minimo gesto con le masse e per le masse, a criticare “da sinistra” i bolscevichi perché a tre mesi dalla loro presa del potere nelle fabbriche c’erano ancora i capi e la sveglia suonava la mattina presto…).

Chiaramente, non è che non ci siano dati di verità in chi critica il movimento indipendentista. Quello che manca però è il progetto, il senso d’insieme, l’indicazione per l’azione.

Ecco, non ho modo di scrivere più di questo, ma se vogliamo assimilare e fare nostro – che non vuol dire esaltare, o ripetere allo stesso modo – l’insegnamento che ci viene dalla Catalogna, dobbiamo prima disporci a modificare il nostro approccio, il nostro metodo.

Questa d’altronde è proprio la prima delle lezioni catalane.

Nei giorni precedenti, quando provavamo a parlare dalla pagina facebook dell’Ex OPG della questione indipendentista, le critiche fioccavano subito. A nulla valeva spiegare con fatti e ricostruzioni storiche; a nulla valeva dire che andiamo lì da oltre dieci anni e conosciamo bene la materia… D’altronde le masse non imparano con le parole ma per esperienza diretta. I catalani, forzando i rapporti di forza stabiliti, hanno obbligato tutti i soggetti a uscire dall’equivoco, hanno permesso di vedere il vero volto della Spagna che qualcuno diceva “democratica e pluralista”, hanno mostrato i livelli di partecipazione popolare che male stanno sotto l’etichetta “manovrati dalla borghesia”.

Così il tono dei commenti è cominciato poco a poco a cambiare: “vuoi vedere che dietro la questione catalana c’è di più?”. Quello che alla spiegazione non riusciva, è riuscito alla potenza di un’immagine, di tante immagini di riscatto e di dignità. Il movimento delle masse non ha compiuto solo un’azione materiale – svolgere effettivamente il referendum -, ha determinato l’apertura di un nuovo spazio di pensabilità.

Innanzitutto di questo dobbiamo essere grati ai catalani: ci hanno ricordato che anche per pensare bisogna agire, che bisogna muoversi per conoscere davvero le proprie catene, che bisogna saggiarle, tirarle, per individuarne concretamente i punti deboli, che se ci consegniamo agli avvenimenti non è per ritrovarci quello che già sapevamo, ma per imparare qualcosa di nuovo: come si lavora con le masse, come si riempiono di contenuti quei significanti vuoti a cui si aggrappano le donne e gli uomini nei momenti di crisi, come si sta dentro a una realtà che non hai scelto e che non puoi fuggire, ma che hai il dovere – se non vuoi subire il destino – di mutare, indirizzandone le spinte anche più basse, elaborando il senso comune…

Non è dato sapere se la sfida dei compagni catalani che si sono fiondati in queste contraddizioni avrà buon esito. Quello che però possiamo sapere – già da ora – è che anche questa è una partita che non possiamo stare a guardare.

Un Militante Dell’Ex OPG “Je So’ Pazzo” Di Napoli

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Sciopero generale. Intervista ad una lavoratrice de Las Kellys

Da questa notte in Catalogna è sciopero generale. La giornata di lotta, inizialmente indetta dal sindacato anarco-sindacalista CNT, è stata fatta propria da tutte le sigle sindacali cui si sono sommate diverse organizzazioni politiche e sociali, nonché collettivi di lavoratori e lavoratrici di tutto il paese.

Al momento i lavoratori stanno bloccando i porti di Barcellona e Tarragona. L’adesione è al 100% e i portuali continuano ad ostacolare il lavoro degli apparati repressivi inviati da Madrid. In sciopero e in piazza ci sono anche i “bomberos”, i pompieri che nella giornata di domenica, col sorriso stampato sul volto, hanno difeso coi loro corpi il diritto al voto di migliaia e migliaia di catalani e per questo si sono meritati i manganelli, i calci e i pugni della Guardia Civil.

A scioperare, però, non sono solo le figure che con sé portano un’enorme carica simbolica. Ci sono anche quelle e quelli che non appaiono sui quotidiani, che non “meritano” foto o reportage. Ne abbiamo intervistata una, Isabel, che da tempo è protagonista, insieme a tante colleghe, al movimento che si è autodenominato “Las Kellys”, vale a dire le lavoratrici delle pulizie che rassettano e puliscono le stanze dei grandi e piccoli alberghi in cui milioni di turisti trovano sistemazione per le loro vacanze.

 

Isabel, ci siamo conosciuti qualche mese fa quando vi contattammo affinché la vostra lotta e le vostre modalità organizzative potessero esser conosciute anche in Italia. Ad oggi qual è la situazione che si vive nella capitale catalana, Barcellona?

A Barcellona è dura. Siamo riuscite a bloccare due volte la firma del Contratto che vorrebbero applicare e col quale vogliono proteggere il loro “diritto” alle esternalizzazioni. Oggi siamo all’erta per evitare che ci provino una terza volta.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni, il voto di domenica, la repressione del governo Rajoy. Come avete vissuto questi momenti?

La repressione di domenica l’abbiamo vissuta con paura. Personalmente sono andata a votare al referendum, anche se non tutte noi abbiamo espresso la stessa posizione. Tra Las Kellys ci sono lavoratrici per il “sì” e lavoratrici per il “no”. Per noi l’importante sarebbe stato poter votare senza violenza.

Come vi rapportate allo sciopero generale che è stato indetto in tutta la Catalogna per oggi, 3 ottobre?

Avevamo precedentemente chiesto uno sciopero del nostro settore ai sindacati CCOO e UGT (si tratta dei sindacati maggioritari, un po’ come i nostri confederali, NdA), ma ci hanno detto che non l’avrebbero indetto. Nel frattempo siamo riuscite a far rinviare la firma del contratto e oggi ci uniamo a questo sciopero perché vogliamo rivendicare i nostri diritti civili, ma anche quelli lavorativi: sì alla partecipazione popolare, anche nella negoziazione collettiva; no alla repressione. Oggi ci uniremo a diverse mobilitazioni, abbiamo una cassa di resistenza per affrontare gli scioperi. E poi andremo tutte insieme alla manifestazione delle 18.00 (la manifestazione unitaria che si terrà ai Giardini di Gràcia, a Barcellona, NdA).

3/10/2017 http://clashcityworkers.org

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