Non solo Expo’, la schiavitù esiste eccome nel Bel Paese!

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Vi proponiamo due storie di “sfruttamento estremo”. La prima viene dalla Val di Sangro e la seconda dalla Sicilia. Siamo ormai al limite della schiavitù, del lavoro gratuito, come all’Expo’, della criminalità imprenditoriale. Storie che hanno dell’assurdo ma che non si allontanano da un profilo dell’economia del Bel Paese completamente stravolto dalla crisi economica. Quando Renzi parla di ripresa, quindi, non sa di cosa parla. E, soprattutto, nasconde il fatto che a livello di condizioni di lavoro siamo messi peggio dei paesi cosiddetti Brics.

La schiavitù esiste
La prima fabbrica lager è stata scoperta in Val di Sangro. Il titolare (Roberto Sandionigi, 57 anni, nato in provincia di Lecco ma residente a Pescara), è stato arrestato insieme a un 58enne romeno (Georghe Barbulescu residente nel Teramano) che fungeva da intermediario. I due reclutavno decine di operai che lavoravano in condizioni di semischiavitù e senza essere pagati. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro le accuse contestate. Gli operai venivano picchiati e minacciati con le armi. Dormivano ammassati in un’abitazione ed erano costretti a pagare 500 euro di affitto ciascuno che venivano scalati dalla busta paga, formalmente corretta. Da intercettazioni telefoniche è emerso che alcuni di loro chiedevano al titolare di azienda 10 o 20 euro per poter comprare del pane. In una conversazione l’ imprenditore promette: «domani ti dò un pò di spesa». In una circostanza a un dipendente picchiato è stato vietato, dietro minaccia, di farsi medicare al pronto soccorso. Solo il giorno dopo l’uomo è riuscito a farsi visitare facendo 15 chilometri a piedi, poiché non aveva i soldi per l’autobus.

La seconda è una storia individuale e viene dalle campagne del Ragusano. In questo caso Luana, una romena di 40 anni, si è ribellata al suo “daatore di lavoro” perché le aveva vietato di accompagnare i suoi due figli a scuola. Luana ha 40 anni, viene dalla Romania e lavorava per 100 euro a settimana, quando va bene, ed era costretta subire violenze e vessazioni. I suoi figli l’hanno raggiunta in Italia, dopo il suicidio del marito in Romania, con la speranza di un futuro migliore. Ma quando lei ha detto no a uno dei tanti abusi sessuali da parte del suo padroncino, si è vista negare l’acqua da bere per sé‚ e i suoi bambini. La sua storia è stata raccolta dalla cooperativa Proxima di Ragusa e raccontata dalla ricercatrice Letizia Palumbo, nei giorni scorsi all’istituto penale per i minorenni di Palermo, durante il seminario su “La tratta di esseri umani in Europa e in Italia” organizzato dall’associazione Ciss di Palermo.

Aumento spaventoso degli aborti
La cooperativa Proxima ospita le vittime di tratta e fornisce loro assistenza secondo quanto previsto dall’articolo 13 della legge 228/2003 e dall’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione. A bordo di un “Solidal Transfert” cioè un piccolo furgone che attraversa le campagne, i volontari della cooperativa cercano di spezzare le condizioni di isolamento dei lavoratori nei campi, per lo più rumeni, arrivati nelle campagne in maniera massiccia a partire dal 2007. Una presenza che ha quasi soppiantato quella tunisina. “E’ difficile che la donna araba lavori nei campi – spiegano gli operatori del Ciss – inoltre la comunità tunisina non intendeva sottostare all’abbassamento della paga imposto dai datori di lavoro”. L’avvento delle donne romene ha creato una nuova forma di sfruttamento. Lo provano i dati informali raccolti al reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Vittoria “il giorno in cui si praticano le interruzioni di gravidanza è il martedì – continua la ricercatrice – arrivano una media di sei donne per volta, di cui 4 o 5 rumene. Hanno tra i 18 e i 28 anni e sono accompagnate da connazionali, altre volte da italiani molto più vecchi di loro”.
“Nonostante in quell’ospedale i medici siano tutti obiettori di coscienza, fino al primo aprile 2014 – osserva – questo tipo di attività è stata portata avanti grazie a ginecologi esterni alla struttura, facenti parte del progetto dell’Asp terminato il 31 marzo 2014. Non è difficile immaginare che l’interruzione di questo progetto comporterà un esponenziale aumento degli aborti clandestini sul territorio”.

Fabio Sebastiani

21/3/2015 www.controlacrisi.org

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