Salute diseguale con le risposte alla pandemia

‘A livella, reciterebbe Totò…

Una delle idee più diffuse nell’opinione pubblica riguarda la supposta “democraticità” del virus e la presunta universalità delle misure di risposta delle politiche. “Tutti siamo esposti al contagio, tutti dobbiamo seguire le regole per il suo contenimento”. In effetti, in un momento di crisi, l’empatia prodotta dalla persuasione di condividere un medesimo problema e uno stesso obiettivo potrebbe anche avere avuto benefici importanti nel disciplinamento degli individui e nell’efficacia della gestione politica dell’emergenza. Ciononostante, è assai plausibile che questa convinzione non sia del tutto vera. Molteplici studi confermano che altre pandemie, come l’influenza, hanno conseguenze disuguali tra le classi sociali, conseguenze che sono crescenti passando dal rischio di contagio a quello delle manifestazioni più gravi della malattia tipo il ricovero, la terapia intensiva o la morte.[1] Inoltre benché la sanità insieme alla scuola sia in Italia il più importante baluardo universalistico del nostro stato sociale, ancor prima della pandemia da COVID-19 la salute degli italiani era distribuita in modo molto disuguale a svantaggio delle classi meno abbienti[2].

Lo scopo dell’articolo è di fornire al lettore le lenti dell’equità nella salute, cioè le istruzioni su come farsi le domande giuste per capire se la pandemia possa essere disuguale e quali siano i meccanismi di generazione delle disuguaglianze che possono essere evitati o perlomeno moderati con politiche e azioni appropriate.

Già disuguali nella salute prima della pandemia

Nel nostro paese le persone più povere di risorse e competenze si ammalano più spesso, hanno maggiori limitazioni funzionali e muoiono prima di quelle più ricche[3].

Negli anni 2010 un uomo con la laurea può contare di vivere 5,2 anni in più di chi ha conseguito al più la licenza elementare. Per le donne il vantaggio nell’aspettativa di vita alla nascita si dimezza a 2,7 anni. Queste disuguaglianze sociali di salute sono anche all’origine del divario geografico che avvantaggia nella salute l’Italia del Centro Nord rispetto a quella del Mezzogiorno; un po’ perché lo svantaggio sociale si concentra nelle regioni del Sud e delle Isole, e un po’ perché il contesto del Mezzogiorno, cioè ambiente e funzionamento della comunità e delle istituzioni è meno in grado di proteggere la salute dei più poveri.

Il titolo di studio è l’indicatore più facilmente misurabile di stato sociale a livello nazionale. Ma risultati simili mostrano tutte le dimensioni dello status sociale dell’adulto che influenzano la mortalità prematura, più di tutti la disponibilità di un lavoro, poi le credenziali educative, poi la disponibilità di una rete famigliare, infine le risorse materiali come la casa. Di importanza non trascurabile sono anche le circostanze dei primi anni di vita, sia quelle ereditate dai genitori sia le condizioni di vita della famiglia di origine, che codificano le chance che una persona ha di progredire nell’età adulta, sia sul piano sociale sia su quello di salute. Più si scende nella scala della posizione sociale più ci si ammala e si muore prima per tutte le malattie più importanti, circolatorie, respiratorie, digerenti, urinarie, metaboliche oncologiche e anche per gli incidenti, soprattutto tra gli uomini. Fortunatamente la doppia crisi economica e del debito pubblico dell’ultimo decennio non aveva aggravato molto la situazione; nonostante la stretta sul reddito disponibile e la minaccia all’occupazione, gli indicatori di salute fisica avevano continuato a migliorare e gli eccessi di rischio di malattia e morte tra i più svantaggiati non erano cresciuti probabilmente per l’ingresso nelle età anziane delle generazioni nate nel secondo dopoguerra che sono più avvantaggiate nella salute. Solo la salute mentale è significativamente peggiorata con la crisi e l’austerità, ma un po’ per tutti allo stesso modo.

Le malattie che sono causa dei maggiori eccessi di morbosità e di mortalità tra le persone di bassa posizione sociale suggeriscono quanto siano disuguali i fattori di rischio per la salute: peggiori condizioni lavorative, più stress cronico, più comportamenti insalubri, più rischi ambientali, meno capacità di usare le cure che servono e più vulnerabilità alle conseguenze sociali dell’esperienza di malattia. Ognuno di questi meccanismi se ben riconosciuti potrebbe essere contrastato con idonee politiche ed interventi.

Va riconosciuto che queste disuguaglianze di salute sono dello stesso segno di quelle osservate negli altri paesi ad alto reddito, ma fortunatamente meno pronunciate. Nel panorama europeo, ad esempio, i paesi con disuguaglianze più spiccate come la Lituania presentano fino a dieci anni di differenza nella speranza di vita libera da disabilità tra più e meno istruiti se maschi e più di sette se femmine; mentre l’Italia presenta la forbice più stretta di tutti, con soli quattro anni di differenza tra gli estremi negli uomini e due nelle donne. Perché? Probabilmente grazie alla protezione garantita da alcuni fattori peculiari italiani come la sanità pubblica e la dieta mediterranea, che sono due fattori distribuiti in modo ancora socialmente uniforme.

Più disuguali nella salute dopo la pandemia?

La pandemia è intervenuta su queste disuguaglianze di salute con molti antichi e nuovi meccanismi di generazione di disuguaglianze che sono descritti sinteticamente nella tabella che segue. La Tabella 1 elenca tutti i meccanismi con cui la pandemia potrebbe far crescere o meno le disuguaglianze sociali di rischio per la salute comunque misurate (per istruzione, reddito, classe…). Prima sono elencati i meccanismi che hanno a che fare con la sanità e poi quelli che nascono fuori dalla sanità (per una maggior dettaglio sui meccanismi individuati da questa check list si può consultare il lavoro riportato in nota[4].

Per quanto riguarda i meccanismi sanitari la pandemia potrebbe essere socialmente disuguale nella frequenza con cui ci si infetta col virus SarsCov2, o in quella con cui ci si ammala e aggrava di COVID-19 e quindi si viene ricoverati o in quella con cui si muore per COVID-19, o ancora nella frequenza con cui si incontrano ostacoli alle cure per COVI-19 o infine in quella con cui si incontrano ostacoli alle cure per altre patologie differenti da COVID-19.

La probabilità di infettarsi non sembra molto socialmente disuguale nella popolazione italiana. I risultati preliminari dell’indagine sierologica di popolazione presentati da Istat ad agosto 2020[5] mostrano che 2,4 italiani su 100 si sarebbero infettati col virus tra febbraio e luglio, con grandi variazioni tra le regioni (7,5% in Lombardia e 0,3% in Sicilia). Ma questa diffusione del contagio sarebbe stata abbastanza uniforme colpendo tutta la popolazione senza differenze rilevanti per sesso, con piccole differenze per età (risparmiando bambini e super anziani) e poche differenze per condizione professionale e per settore di attività economica; unica eccezione ampiamente attesa sarebbe quella del settore sanitario, le cui professioni risultano le più colpite dalla infezione (insieme alle professioni del settore accoglienza che però avrebbero eccessi di rischio più modesti). Dunque ad eccezione di queste limitate differenze professionali l’infezione avrebbe funzionato come ‘A livella sociale di Totò; sfortunatamente questo è l’unico indicatore in cui i dati non mostrano disuguaglianze significative.

Rispetto a tutti gli altri meccanismi elencati in Tabella 1 l’aspettativa è che il rischio sia maggiore tra le persone e i gruppi più svantaggiati. In effetti non sono ancora disponibili dati italiani sulle disuguaglianze nel rischio di ricovero per COVID-19 o di mortalità per la stessa causa o anche solo di mortalità generale. Eppure è ben noto dalla letteratura medica COVID-19 che le conseguenze più severe della COVID (ricoveri in terapia intensiva o decesso) colpiscono soprattutto le persone già ammalate con particolari malattie croniche come le malattie respiratorio croniche, le malattie ischemiche del cuore o quelle cerebrovascolari, le malattie metaboliche soprattutto il diabete e i tumori. Ma è pure ben noto dalla letteratura pre-COVID che queste malattie croniche si distribuiscono in modo molto disuguale nella società. Si prenda il caso del diabete di tipo II: in una città come Torino la frequenza di diabete a parità di età cresce di quasi tre volte passando dalle persone laureate a quelle con la scuola dell’obbligo. Se il rischio di diabete è più alto tra i meno abbienti e il rischio di complicazioni da COVID è più alto nei diabetici, è naturale che l’impatto finale della COVID su ricoveri e mortalità sia più alto tra i meno abbienti. La stessa equivalenza tra disuguale malattia predisponente e disuguali conseguenze severe della COVID-19 si manifesta per gran parte delle malattie croniche e hanno fatto parlare alcuni autori di “sindemia”[6]. Dunque, ancorché non siano ancora stati pubblicati molti risultati sulle disuguaglianze in ricoveri e mortalità, per ragioni di sindemia il risultato atteso è scontato: nonostante che l’infezione sia socialmente uguale le conseguenze più gravi della infezione si mostreranno molto disuguali.

Rimangono due meccanismi sanitari che hanno a che fare con le disuguaglianze sociali nelle barriere a cure efficaci e di qualità. Anche nel Servizio Sanitario Nazionale universalistico è probabile che sia nel percorso assistenziale della COVID-19 e ancor più in quelli delle altre patologie le cui cure sono state rimandate a causa della pandemia le persone abbiano incontrato in questi mesi molti ostacoli all’accesso e a una corretta fruizione della assistenza. Risultati preliminari su sei regioni italiane hanno dimostrato che il ricorso ad alcuni Livelli Essenziali di Assistenza è diminuito della metà nei mesi del lockdown con conseguenze ancora non misurate[7]. Inoltre è ben noto che facilità di accesso e qualità dell’assistenza sono correlati con il grado di alfabetizzazione sanitaria e con le reti sociali di cui dispongono le persone, che sono due risorse molto disugualmente distribuite. Nei prossimi mesi i risultati del monitoraggio della distribuzione degli indicatori dei Livelli Essenziali di Assistenza dimostreranno se questi due meccanismi abbiano contribuito ad allargare le disuguaglianze di salute o meno.

I meccanismi non sanitari di generazione delle disuguaglianze di salute descritti nella parte rimanete della Tabella 1 sono altrettanto inquietanti ma non hanno bisogno di essere documentati ai lettori di Sbilanciamoci, perché sono il pane quotidiano delle loro indagini e letture. Infatti il fatto che il lockdown abbia prodotto delle conseguenze disuguali sul rischio di povertà e sul rischio di barriere nelle opportunità di istruzione è stato ben documentato; forse un po’ meno abbondante è la misura dell’impatto sul rischio di isolamento, sull’impoverimento delle reti sociali di comunità e sulle barriere all’accesso ai servizi sociali locali. Più trascurata dalla ricerca è la possibilità che la compromissione della salute da COVID-19 abbia aggravato i processi di mobilità discendente per i soggetti colpiti, soprattutto nei casi con residui di limitazioni funzionali croniche. L’unico argomento da aggiungere è che ognuno di questi meccanismi è ben noto alla letteratura medica per essere un determinante di conseguenze sfavorevoli sulla salute a medio lungo termine: povertà materiale, competenze, povertà di relazioni sociali di aiuto, barriere alle cure sociali sono in ordine decrescente di importanza i principali determinanti sociali di salute che spiegano sul lungo periodo le disuguaglianze di speranza di vita da cui siamo partiti e alla cui perpetuazione avrà dato un contributo significativo.

***

Note

[1] Mamelund et al., “The association between socioeconomic status and pandemic influenza: protocol for a systematic review and meta-analysis”, Systematic Reviews (2019) 8:5.

[2] Costa G., Bassi M., Marra M. et al. (a cura di), L’equità in salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità, edito da Fondazione Smith Kline, presso Franco Angeli Editore, Milano 2012.

[3] https://www.inmp.it/index.php/ita/Pubblicazioni/Libri/L-Italia-per-l-equita-nella-salute-Scarica-il-documento-tecnico

[4] https://repo.epiprev.it/index.php/2020/04/14/un-health-inequalities-impact-assessment-hiia-della-pandemia-di-covid-19-e-delle-politiche-di-distanziamento-sociale/

[5] https://www.istat.it/it/archivio/242676

[6] Bambra C. et al., “The COVID-19 pandemic and health inequalities”, J Epidemiol Community Health (2020) 0:1-5.

[7] https://repo.epiprev.it/index.php/2020/07/06/monitoraggio-dellimpatto-indiretto-di-covid-19-su-altri-percorsi-assistenziali/

Giuseppe Costa

22/9/2020 https://sbilanciamoci.info

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *