Una lotta universitaria per unire i soggetti sociali

L’Università pubblica è da anni soggetto di due processi in contraddizione tra loro. Da un lato è sempre tra le prime voci di bilancio a cui sottrarre fondi per soddisfare le richieste delle politiche di rigore. Dall’altro è entrata pienamente in una logica di mercato e opera secondo meccanismi di concorrenza, ossessionata dai ranking e dal «valore» (stimato dall’impact factor) delle pubblicazioni dei suoi professori e ricercatori. Tuttavia, la combinazione dei due processi costituisce un fortissimo strumento di difesa, specie nelle scienze sociali, del monopolio culturale: la scarsità di fondi e lo «scarso valore» derivante da pubblicazioni di serie inferiori e con poca visibilità, escludono dal pantheon accademico chi non rientra nel dominio mainstream.

La scarsità di risorse, poi, sfocia in un processo di precarizzazione della figura del ricercatore accademico, che si vede costretto a una spietata concorrenza nei confronti dei suoi colleghi per potersi aggiudicare borse e/o finanziamenti. In questo contesto divisivo e frammentario, l’unica soluzione è la lotta unitaria.

Il caso catalano 

Il primo marzo 2019 il governo spagnolo retto allora da Pedro Sánchez con l’appoggio esterno di Unidas Podemos, ha varato un decreto (103/2019), diventato effettivo il 16 dello stesso mese, che prevede dei piccoli miglioramenti nelle condizioni lavorative dei dottorandi legati alle Università Pubbliche attraverso un contratto pre-dottorale. Nello specifico questo decreto prevede: un minimo salariale crescente negli anni, un’estensione automatica del contratto triennale al quarto anno e il carattere volontario nella partecipazione alla docenza.

Questi miglioramenti non sono stati recepiti e applicati completamente dalle Università pubbliche catalane e questo ha portato alla formazione del Collettivo dei Dottorandi in Lotta, principalmente attivo a Barcellona, movimento nato per chiedere effettiva applicazione del decreto governativo e per favorire ulteriori miglioramenti delle condizioni lavorative.

In un primo tempo la disorganizzazione e le azioni individuali hanno portato a incontri inconcludenti con le dirigenze delle Università, chiaramente dotate di un maggior potere contrattuale. Da qui la necessità di una strutturazione del movimento che si è coordinato anzitutto con le altre Università e centri di ricerca e poi, soprattutto, ha coinvolto i sindacati. La Cgt prima (quarto sindacato di Spagna per affiliati e appartenente all’anarco-sindacalismo) e la Ccoo dopo (primo sindacato di Spagna) sono stati fondamentali nell’organizzazione e nella consulenza legale rispetto alle condizioni di lavoro precedenti caratterizzate da assunzioni e prestazioni legate a contratti esenti dal carattere legale. Il risultato è stato l’immediata applicazione dei minimi salariali previsti dal regio decreto con i ricercatori che dal mese di luglio hanno visto aumentare la propria busta paga.

Tuttavia, mancano ancora altri punti per raggiungere l’effettiva applicazione del decreto ed è per questo che all’inaugurazione dell’anno accademico il presidente della Generalità della Catalogna, Quim Torra, è stato accolto dalle proteste dei sindacati e dei rappresentanti del Collettivo dei Dottorandi in Lotta, al quale ha promesso un incontro (a data da destinarsi) per discutere delle «ragionevoli richieste».

Lotta unitaria 

Una delle risposte più efficaci del capitalismo davanti agli scontri sociali che hanno caratterizzato il Novecento è stata quella di disaggregare il fronte nemico piantandoci il seme dell’individualismo, dell’ideale società liberale in cui ognuno è libero dentro i confini del suo giardino. Ha funzionato benissimo, bisogna riconoscerlo. I lavoratori sono stati atomizzati e la loro coscienza di classe soppiantata dall’agire individuale. A questo efficace lavoro di conversione hanno partecipato attivamente, se non come protagonisti principali, tutti i partiti socialdemocratici europei e le sigle sindacali. In particolar modo i sindacati, come sosteneva già Rosa Luxemburg, sembrano essere regrediti al «metodo inglese», ovvero a una strategia di blando riformismo del capitalismo. In questo modo il lavoratore è solo, spogliato di ogni protezione sociale e politica e quindi libero di essere mercificato. In tale contesto è difficile aggregare e organizzare lotte dirette a riconquistare miglioramenti marginali, soprattutto perché il potere contrattuale è limitato e i timori di ritorsioni e conseguenze individuali maggiori. Senza un collante che sia in grado di favorire l’aggregazione e indirizzare la lotta, è impossibile immaginarne il  successo. Per questo è fondamentale il ruolo del sindacato. Lo mostra il caso catalano ma anche la nella vertenza italiana di Italpizza è stato il sindacato a dare maggior forza e potere contrattuale agli obiettivi di lotta.

Nel romanzo  Germinale di Émile Zola, Etienne arriva nel villaggio di minatori notando le loro miserrime condizioni di vita e riesce a spingerli e organizzarli allo sciopero, costituendo una cassa comune per la sopravvivenza. In un contesto alienato e individualizzato, condizione necessaria è un corpo sociale che favorisca l’unione di classe.

Affinché si possa davvero rimettere in discussione l’attuale sistema socio-economico non si possono considerare separatamente studenti e lavoratori, che è banalmente il ciclo vitale di una stessa persona. Gli studenti non possono essere indifferenti ai colleghi universitari e dottorandi, così come questi ultimi non possono esserlo nei confronti del mercato del lavoro (e viceversa). Gli studenti, infatti, dovrebbero avere un doppio canale di solidarietà a seconda di come evolve il loro percorso. I miglioramenti delle Università e delle condizioni dei dottorandi li interessa qualora dovessero decidere di accedere alle Università e al mondo accademico. Così come essere al fianco dei lavoratori li interessa perché essi stessi saranno i lavoratori di domani. In entrambi i casi, la solidarietà dovrebbe essere una conseguenza logica. Allo stesso modo, i lavoratori dovrebbero volere per gli studenti, propri figli, condizioni favorevoli per migliorare le proprie condizioni materiali e sociali.  E se queste stesse lotte avessero un carattere internazionale sarebbe l’apice del potere contrattuale delle classi sociali più deboli.

Precaria-mente

Nelle Università pubbliche, così come nel mercato del lavoro in generale, la precarietà è ormai cristallizzata, quasi una condizione di normalità. Tale condizione, oltre a generare divisione e frammentazione tra i lavoratori e penuria monetaria, è causa di deterioramento dell’io, dell’individualità. Altro che  «il lavoro nobilita l’uomo». O meglio, «nel lavoro sarebbe quindi affermata la peculiarità della mia individualità, poiché vi sarebbe affermata la mia vita individuale. Il lavoro sarebbe dunque vera e attiva proprietà. Ma nelle condizioni della proprietà privata la mia individualità è alienata al punto che questa attività mi è odiosa, è per me un tormento ed è un’attività estorta ed impostami soltanto da un accidentale bisogno esteriore, e non da un bisogno necessario interiore» (Karl Marx, Elementi di economia politica). Può esistere, nell’accademia, una sorta di «bisogno necessario interiore», un bisogno di nutrirsi non solo di cibo, ma tale bisogno è comunque estorto e subordinato all’impact-factor, al valore che si produce per l’Università.

Il processo di deterioramento dell’io sfocia, inevitabilmente, in problemi di salute mentale. Chi scrive, all’inizio del percorso di dottorato è stato informato dagli psicologi della facoltà che «i disturbi mentali, ansia e depressione in testa, sono in genere tre volte superiori alla media nazionale», come confermato anche da uno studio di Harvard sui dottorandi nei dipartimenti di economia.  Richard Sennett nel suo L’uomo flessibile – le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, racconta come non solo nel lavoro manuale, ma anche nella piccola borghesia impiegatizia, si diffonde un senso di incapacità di adattamento, una percezione di fallimento che genera una progressiva corrosione dell’individualità.

Inoltre, dividere la società, o meglio dividere studenti e lavoratori, tra chi può permettersi di lavorare gratis o a condizioni indegne e chi no, non solo annienta la percezione di appartenenza di  classe, ma non fa che aumentare le disuguaglianze. Infatti, nel caso di studenti e ricercatori, potranno permettersi tali condizioni solo gli appartenenti alle classi più abbienti. Nel caso dei lavoratori, specie i più giovani, gli stage non retribuiti e i salari stagnanti saranno gestibili solo da chi può avere l’apporto dei propri genitori. Non è difficile capire che è un modo per polarizzare i decili di reddito e aumentare le diseguaglianze. Alla maggioranza non rimane che organizzarsi contro i privilegi dei pochi.

Luca Giangregorio

PhD student in Social Sciences presso l’Università Pompeu Fabra di Barcellona.

25/9/2019 https://jacobinitalia.it

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