Cuba: abbiamo dimostrato che si è potuto, si può e si potrà

Di fronte a un modello economico neoliberista che mostra la sua totale incapacità di occuparsi della salute e del benessere della stragrande maggioranza della popolazione, diventa prioritario interrogarsi su un’alternativa di sistema. Ospitiamo con molto piacere un’intervista a José Luis Rodríguez, uno strettissimo collaboratore di Fidel Castro e Ministro dell’Economia di Cuba durante gli anni difficili del Período Especial. Ora è consigliere del Centro de Investigaciones de Economía Mundial (CIEM), il centro studi di economia internazionale più influente del Paese. Ha conseguito una laurea in Economia Politica presso l’Università dell’Avana e un dottorato in Scienze Economiche presso l’Instituto de América Latina de la Academia de Ciencias nell’ex-URSS. L’intervista è stata raccolta il 14 febbraio 2020 da Cristina Re.

1) Il 1° gennaio 1959, Fidel annunciò a Santiago de Cuba il trionfo della Rivoluzione e da lì è iniziato per Cuba un incredibile processo di sviluppo economico e sociale. Per spiegare questo processo, in uno dei suoi ultimi scritti, contenuto in El pensamiento económico de Fidel, riporta una frase di Fidel del 1969, il quale afferma che il socialismo non è il risultato dello sviluppo, come pensava Marx, ma condizione necessaria per lo sviluppo. Pensa che sia qualcosa di valido ancora oggi?

Sì, certo. Oggi il socialismo è in un processo di ricomposizione dopo il crollo del campo socialista europeo. Infatti, mentre si sosteneva che l’era del socialismo era già passata, ci sono stati dal 1998/1999, in particolare in America Latina, una serie di governi progressisti che presto o tardi hanno proclamato che il modo per risolvere i problemi era il socialismo. È così che è nata, per esempio, l’idea del “socialismo del XXI secolo” che Hugo Chávez ha introdotto intorno al 2007 in Venezuela, Correa in Ecuador dopo il 2006 e Evo Morales anche dopo quel periodo, e del resto il suo partito si chiama “Movimento per il Socialismo”. È tuttavia un’interpretazione del socialismo strettamente legata allo sviluppo endogeno, alla nazionalizzazione della ricchezza disponibile nel Paese, in particolare delle risorse naturali, al fine di avviare un processo che ha caratteristiche molto particolari, come nel caso di Cuba. Non è un processo in cui tutte le risorse possono essere impiegate nell’accumulazione per aspettare che si determini la crescita e si possa migliorare la vita della società, ma piuttosto l’intento è quello di migliorare la vita della società e, allo stesso tempo, creare le condizioni per un’accumulazione che porti allo sviluppo. Per questo motivo, mentre prima si parlava di “transizione al socialismo”, oggi si parla di “creazione delle condizioni per lo sviluppo con il socialismo”. È questo ciò che sta facendo Cuba e, dopo il 2009, è questo il presupposto alla base della nostra strategia. È molto importante sottolineare la frase “creare condizioni per lo sviluppo”, poiché lo sviluppo non può essere intrapreso senza un insieme di condizioni essenziali. Ciò, per quello che si può vedere dall’esperienza dell’America Latina degli ultimi 20 anni, è credibile solo se applicato in un modello socialista.

Fidel non ha negato che un certo livello di sviluppo del capitalismo al tempo di Karl Marx potesse creare le condizioni per la transizione al socialismo. Tuttavia, la Rivoluzione di Ottobre ha trionfato nel paese capitalista più arretrato d’Europa, la Russia, e lì è stato necessario applicare misure di transizione per creare le condizioni di una nuova politica economica. Dopo il processo di industrializzazione, anche se sono stati commessi errori nella collettivizzazione forzata, è stato necessario iniziare a creare le condizioni per poter dire in seguito di essere in una fase di sviluppo. Se esistessero condizioni come quelle che esistevano nel diciannovesimo secolo, si potrebbe pensare che il tipo di sviluppo che Marx proponeva per il suo periodo storico possa essere valido anche ora. È tuttavia apparso nel tempo un nuovo fenomeno, il sistema coloniale, e lo stesso vale oggi per il mondo sottosviluppato, che ha bisogno di anticipare una serie di misure: non può aspettare che la dinamica della crescita capitalistica gli consenta di svilupparsi, perché ciò non si verifica. In modo palese, l’evidenza storica mostra che ciò non accade.

Va sottolineato, inoltre, un altro elemento importante sollevato da Fidel: la differenza tra crescita e sviluppo; è infatti possibile crescere senza svilupparsi. Sembra una cosa molto ovvia, ma negli anni ’50, specialmente dopo il 1953/1954, la teoria dello sviluppo cominciò a essere considerata come una teoria della crescita. Fidel in La historia me absolverá espone empiricamente, perché non lo concettualizza, i sei problemi ai quali avrebbe dato attenzione se l’attacco alla Caserma Moncada avesse trionfato. Vi sono due questioni economiche molto importanti: l’industrializzazione e il problema della terra, ovvero la riforma agraria. Vi sono inoltre quattro problemi sociali: alloggio, salute, istruzione e lavoro. Fidel li presenta uniti, dopo si potrebbe dire che li perfeziona, li esprime in un altro modo, però già in quel momento dimostra di aver capito molto chiaramente che non si può lavorare solo sul lato economico puro. Il sostegno alla rivoluzione deve venire dal momento in cui alcuni effetti di quel cambiamento di transizione al socialismo iniziano a mostrarsi. Un modello di sviluppo sostenibile deve avere un impatto sociale immediato, e questa è una delle caratteristiche che la rivoluzione cubana ha portato. Fidel lo dice nel 1960: “Questo deve essere un paese di uomini e scienza”. Era una cosa molto audace, se consideriamo che ai tempi eravamo riusciti a conseguire come livello di scolarità medio del paese solo il secondo anno di istruzione primaria, ma questo è stato compreso chiaramente. In altre parole, si può ovviamente esaminare il transito di modelli più vecchi e modelli più recenti, ma tutti vanno nella direzione di cercare un complemento alla pura crescita economica attraverso lo sviluppo sociale. Per questo penso che la frase abbia un fondamento molto chiaro che si vede teoricamente e che si vede anche in pratica in quei luoghi in cui sono stati fatti progressi, al di là degli errori che sono stati commessi e che sono inevitabili in qualsiasi processo rivoluzionario.

2) Il 29 agosto 1990, fu annunciato che Cuba stava entrando in un “Periodo Speciale in tempo di pace”. Nel dicembre 1991 l’URRS cadde e il campo socialista europeo scomparve. Nel 1993, lei è stato nominato Ministro delle Finanze e dei Prezzi e nel 1995 Ministro dell’Economia e della Pianificazione, carica che mantiene fino al 2009. Quelli furono gli anni più difficili per Cuba. Come descriverebbe la situazione del periodo? E quali sono state le decisioni più difficili che ha dovuto prendere?

Esistono due piani di analisi. Uno è quello della macroeconomia, ciò che succedeva a livello nazionale. Il PIL cadde ininterrottamente dal 1989 al 1993 con un calo di quasi il 35% (34,8%), che è niente di più e niente di meno che un terzo del valore creato nel paese. L’impatto si vede negli anni che ci sono serviti per recuperare quel livello. Il livello del PIL del 1989, infatti, è stato recuperato solo nel 2004, ossia 15 anni dopo. È una perdita talmente significativa che è difficile da immaginare. Ciò è stato accompagnato da un calo delle importazioni del 75%, vale a dire che abbiamo quasi perso il commercio estero. Ci fu una riduzione fino ad un quarto degli scambi oltre a un calo della produttività e della produzione agricola. Praticamente l’intero schema di funzionamento economico della società è crollato. Siamo passati da una fase di sussistenza ad una fase di resistenza con l’obiettivo di fermare la caduta, poi di recuperare il livello del 1989 e assicurare quindi la creazione di condizioni per lo sviluppo. Questa è un aspetto della vicenda, la macroeconomia, i grandi aggregati. L’altro riguarda la vita di tutti i giorni.

È stato molto difficile, molto difficile. Ci sono effetti che non appaiono nella macroeconomia chiaramente, ma che sono stati molto negativi per la popolazione. Un esempio è il problema dell’alimentazione: il consumo medio, nel 1989, era di 2400 chilocalorie al giorno e 56 grammi di proteine, mentre nel 1993 era di circa 1800 chilocalorie e 46 grammi di proteine. C’era denutrizione e alla popolazione dovevano essere somministrate vitamine, in particolare ai bambini. In ogni caso, ciò ha avuto effetti molto gravi per la popolazione, perché a causa della mancanza di cibo, il sistema immunitario si è depresso e sono iniziate a comparire malattie opportunistiche come, ad esempio, la congiuntivite emorragica o le varianti di neurite ottica, che hanno conseguenze molto gravi, come la sindrome di Guillain-Barré, patologie paralizzanti che spesso finiscono per uccidere in pochi giorni. L’incidenza di queste sindromi neurologiche, fino al 1997/1998, era di 463 per 100.000 abitanti, un tasso molto alto. Nella vita quotidiana, ricordiamo anche che i trasporti sono crollati quasi completamente e che negli anni tra il 1993 e il 1995 ci sono stati interruzioni di corrente. Nella capitale si alternavano 8 ore di elettricità e 8 ore senza elettricità. All’interno del Paese era molto peggio. L’alternanza era di 12 e 12 ore. Questo ha colpito violentemente la popolazione e, soprattutto, ci ha costretto a prendere misure per sopravvivere che hanno creato disuguaglianze. Sapevamo che sarebbe stato così, ma non c’erano altre alternative. Ad esempio, l’apertura al turismo o l’approvazione della rimessa familiare, approvate tra agosto e settembre del 1993, introducono un cambiamento sostanziale. Le famiglie che hanno avuto la fortuna di avere qualcuno che inviava loro denaro dall’estero, come dicevamo, sono uscite dal Periodo Speciale perché avevano potere d’acquisto. Tutto ciò ha creato un tale livello di differenziazione nella società che ha fatto emergere conseguenze perverse: corruzione, non svolgimento delle funzioni sociali, migrazione, abbandono del lavoro pubblico per il lavoro privato, etc. Si sapeva che ciò sarebbe successo, ma era un costo che non poteva essere evitato.

Nel Periodo Speciale, dunque, accadono molte cose a livello sociale che creano quasi un cataclisma nella società. Tuttavia, la fiducia della popolazione che quella situazione sarebbe stata superata si vede a partire dal continuo sostegno alla Rivoluzione. Sempre c’era stata una cosa straordinaria che non è nuova in quegli anni, già era stata fatta prima, cioè discutere questi problemi con la popolazione. In particolare, venne convocato un congresso del Partito, il quarto Congresso, nell’ottobre del 1991, e prima di quello, in quell’anno, si discusse in massa con la popolazione su quali erano le loro proposte per uscire dal Periodo Speciale. Ricordo che quello è stato un primo processo di discussione e la gente propose molte cose e, in primo luogo, affermò che il socialismo era la soluzione. In un sondaggio condotto all’epoca, infatti, meno dell’1% della popolazione votò per passare ad un modello capitalista e abbandonare il socialismo.

Poi, quando già si presero misure per cercare di regolarizzare l’attività economica nel secondo semestre del 1993, venne di nuovo avviato un processo di discussione sulle misure concrete e sul programma di equilibrio finanziario dell’economia. Si discute, a quel tempo, con la popolazione nei cosiddetti Parlamenti dei lavoratori che si svolgono all’inizio dell’anno 1994 e nei quali il popolo riprende tutto ciò che era stato elaborato in modo preliminare e che a me toccò poi presentare nello specifico. La gente fece 530 mila proposte. Una volta riordinato, è stato portato in Parlamento nel maggio del 1994 come, potremmo dire, programma di ristrutturazione socialista. Ossia, abbiamo cercato di adottare le misure che avevano il più alto livello di consenso preservando il più possibile la salute, l’istruzione, l’occupazione e contemporaneamente bilanciando con l’aumento del prezzo di bevande alcoliche, della benzina, del tabacco. Si è fatta una ristrutturazione con consenso sociale, che non ha nulla a che vedere ed è completamente diversa dall’aggiustamento del FMI, ma alla fine si è trattato di una ristrutturazione. Tutto ciò è stato lasciato come un processo, è stato detto bene vediamo se funziona: nella seconda metà del 1994 l’economia inizia a crescere per la prima volta dal 1989. Si cresce dello 0,7%, ma finalmente si cresce e inizia un momento di recupero che durerà fino al 2004. La ripresa, in quella prima fase, è durata dieci anni. Poi ne arriverà un’altra fino al 2009, ossia quando inizia la nuova politica attuale, ma concretamente l’uscita dal Periodo Speciale, o per lo meno dagli anni più complessi del Periodo Speciale, si verifica tra il 1994 e il 2004.

Nel 2004 si creano altre condizioni. In primo luogo, il dollaro smette fisicamente di circolare nel paese a causa delle aggressioni statunitensi, in particolare dell’amministrazione Bush di quegli anni, che rendeva praticamente impossibile operare con il dollaro fuori da Cuba. Inoltre, vengono create una serie di condizioni tra cui, dal punto di vista macroeconomico, la più importante è la modifica delle relazioni commerciali con il Venezuela. Dall’inizio del governo Chávez nel 1999 fino al 2004, noi garantivamo (al Venezuela, ndr) una collaborazione praticamente gratuita: loro ci vendevano il petrolio a condizioni puramente commerciali e noi fornivamo assistenza in salute e istruzione gratuitamente. In quell’anno, Chávez sostiene che ciò non è giusto, che loro stanno godendo di un’esplosione del prezzo del petrolio e propone di convertire la collaborazione di Cuba in beni scambiabili, vale a dire di pagarla. Ciò cambia la nostra bilancia dei pagamenti, cambia le relazioni commerciali e la bilancia commerciale. Si creano condizioni per un altro momento differente al punto che nel 2006, ad esempio, dopo l’inizio di questo processo, l’economia cresce del 12,1%. Crescita senza precedenti in quegli anni del Periodo Speciale e che dura fino al 2009, dove assistiamo all’impatto della crisi del 2008 nel mondo. Ed è da allora che nasce la necessità di progettare una nuova politica economica, che poi è quella presente al momento, che è creare le condizioni per lo sviluppo stabile e sostenibile del Paese. Queste sono le fasi più o meno della crisi del Periodo Speciale che inizia nel 1989 ha il suo culmine tra il 1993 e il 1994, un primo recupero nel periodo 1994-2004, e una seconda fase di recupero fino al 2009, dove bisogna correggere cose che non sono state risolte del Periodo Speciale.

3) In quegli anni difficili, Fidel ha pronunciato in una riunione dell’UNEAC (Unione Nazionale Scrittori e Artisti a Cuba): «La cultura è la prima cosa che deve essere salvata». Una decisione politica completamente diversa da quelle che vediamo applicate nei paesi capitalisti quando ci sono crisi economiche. Potremmo definire questo come un chiaro esempio dell’insegnamento di Fidel secondo cui nel socialismo i fattori politici hanno la precedenza su quelli economici?

Sì, c’è un’altra frase di Fidel ancora più diretta. Fidel iniziò a dire nel 1981 e in seguito lo ripeté molte volte dopo il 2003 che «non esiste politica senza economia, né economia senza politica. E, in condizioni di alta tensione sociale, la politica ha la priorità». Ed è stato dimostrato.

Non c’è bisogno di tornare tanto indietro fino al Periodo Speciale. Basti considerare che l’anno scorso è stata presa una decisione politica chiave: l’aumento dello stipendio del settore pubblico. Perché? Per il livello di esodo di persone che lasciavano il settore dell’istruzione, del settore scientifico, dei settori chiave del paese, bisognava fermarlo. E l’unica cosa che si poteva fare a questo proposito era aumentare significativamente lo stipendio: i salari sono stati aumentati in media del 68%, per prevenire un ulteriore esodo. E questa è una decisione politica, perché se inizi a fare i conti, beh, aumenteremo il deficit di bilancio. Il costo della misura è di 7 miliardi. Ma il deficit di bilancio può essere risolto in qualche modo: il deficit può essere gestito attraverso la creazione di debito pubblico, attraverso il recupero delle spese, ecc. Non è un cataclisma. Ed è stato preferito andare verso quella decisione con alcuni rischi di aumento dei prezzi, o di cose che si sapeva che sarebbero accadute per fermare l’esodo. La prova è che solo nel secondo semestre del 2019 sono tornati in classe 12 mila insegnanti, che non è poco. In altre parole, 12 mila insegnanti che erano andati in cerca di reddito, in cerca di professioni più redditizie, sono tornati nel settore dell’istruzione. Cioè, abbiamo messo un freno a un problema che, se lo vedi da un punto di vista di pura teoria, dovremmo dire che non si può distribuire ciò che non è stato creato. Bene sì, è giusto, ma ciò non è meccanico. Perché ci sono decisioni politiche che devi prendere, perché se no rischi tutto. Questo è uno dei casi, lo stesso è stato fatto negli anni del Periodo Speciale, nel mezzo di tutto ciò di cui abbiamo parlato. Vi sono stati settori di investimento a cui è stata data priorità che non risolvevano i problemi a breve termine, come ad esempio, la biotecnologia. L’ultimo importante centro di biotecnologia tra i grandi di Cuba è stato completato nel 1994. Oggi, soltanto da quel centro, si esportano 65 milioni di dollari. Questo ha risolto un mucchio di problemi di malattie a Cuba. Si è preferito sacrificare in quel momento altre cose, ma preservare la cultura dello sviluppo, poiché la cultura non è solo cultura artistica, la cultura si deve intendere in un senso molto più ampio. Inoltre, la stessa cultura artistica ha continuato a ricevere un grande sostegno da parte del governo. In quegli anni, soprattutto dopo il 2000, si svolge quella che è conosciuta come la “battaglia delle idee”, che è uno sviluppo assistenziale, educativo, della salute e dell’energia. Tutto questo sempre con il blocco, che ha avuto effetti senza alcun dubbio. Il blocco ci è costato un miliardo di dollari fino al 1989, oggi costa 4.322.000 milioni, si è moltiplicato per quattro l’impatto annuale del blocco, e in questo calcolo non ci sono le ultime misure di Trump del 2019. Quando quelle si inseriranno l’impatto non si sa nemmeno di quanto sarà.

4) Nel 2006 Fidel si ammala, lascia lentamente tutte le sue cariche politiche fino alla sua morte nel 2016. Lei ha potuto lavorare direttamente con lui per 25 anni, dal 1979, quando è stato creato il Centro de Investigaciones de la Economía Mundial (CIEM) fino alla malattia, come lo descriverebbe? E quali sono, secondo Lei, le eredità più importanti che ci lascia?

Fidel era un essere eccezionale, iniziamo da questo. Aveva, diciamo, delle facoltà che non si trovano facilmente. Ad esempio, memoria fotografica. Fidel prendeva un documento, lo leggeva con uno sguardo triangolare e dopo ti poteva parlare del documento come se lo avesse letto o se lo avesse scritto lui. Questo è eccezionale. Conosco persone che hanno memoria fotografica ed è davvero un grande vantaggio per dirigere perché non perdi tempo. Inoltre, dagli anni ’70 ha iniziato a studiare seriamente gli eventi economici. Ha creato questo centro (il CIEM) nel 1979, quando Cuba stava per entrare come presidente nel “Movimento dei Paesi non Allineati”, per consigliarlo su questioni economiche. Abbiamo iniziato a lavorare prima per telefono, indirettamente, e poi direttamente a partire dal 1981. Ricordo bene la prima volta che mi chiamò a casa: abbiamo parlato per circa due ore al telefono discutendo di questioni economiche. E ricordo, non me lo dimenticherò mai, la prima volta che ho parlato seduto faccia a faccia con lui di questi argomenti. L’avevo visto in altre occasioni, all’università, ma non avevamo avuto contatti personali. Ha fatto sedere me e il direttore del centro, Osvaldo Martínez, per cinque ore a discutere di economia mondiale, di economia in generale e di tutto ciò che si possa immaginare. Era il 1981 e sono uscito da lì senza sapere più di che parlare perché non ero mai stato interrogato così fortemente da qualcuno su questioni economiche, perché aveva domande su tutti e per tutti. «E questo perché? E perché no? E perché è così?» Su tutto. E inoltre, tutto ciò lo memorizzava. Ha anche fatto uno sforzo perché gli abbiamo fatto un piano di studi, di letture, in modo che lui entrasse in una serie di argomenti. E si può dire che praticamente su tutto ciò che tu gli indicavi, suggerivi, o che lui scopriva, si preparava come per un esame.

Poi non perdeva un minuto. Era un uomo con una capacità incredibile nell’utilizzo del tempo. La gente dice che era come Napoleone, che poteva riguadagnare forze solo dormendo 2/3 ore al giorno. Io l’ho vissuto lavorando con lui: lui esausto chiudeva gli occhi, tu lo lasciavi riposare e in mezz’ora lo svegliavi, e lui aveva già ricaricato le batterie completamente. Nessuno di noi può fare ciò. Faceva colazione ogni giorno (all’epoca non c’era internet, non c’era cellulare, tutto era stampato) con un blocco di telegrammi che gli davano classificati: Cuba, America Latina, ecc… Lui se lo leggeva tutto prima di arrivare al Consiglio di Stato, arrivava al Consiglio di Stato a metà mattina, più o meno, dormiva molto poco, dormiva dalle 4/5 del mattino alle 9/10 del mattino. Dopodiché, cominciava la giornata e poteva durare fino a qualsiasi ora. La conoscenza che aveva te la attualizzava costantemente. Perché ti diceva «no no, ma aspetta, perché due giorni fa è uscito un telegramma che diceva così e così». E non erano ore qualsiasi: quasi il 90% delle conversazioni con Fidel avveniva di notte e all’alba. Molte volte abbiamo fatto le 8 di mattina con lui, e lui era fresco come una rosa. Una volta c’è stato un incidente risibile perché in una discussione di queste alle 3 del mattino eravamo tutti lì che non vedevamo nemmeno il foglio che avevamo davanti. Ci disse: «andiamo a rinfrescarci», penso menomale, «andiamo a vedere un film», alle 3 del mattino. Beh, penso di essere stato l’unico che stava sveglio al suo lato e lui che parlava con me del film. Era un film socialista, non ricordo bene che film fosse, e nel piccolo cinema, tutti dormivano , perché ti potrai immaginare dopo un’intera giornata di lavoro. Però a lui non importava che la gente si addormentasse, se aveva qualcuno con cui parlare continuava, continuava, continuava…

Inoltre, era anche un uomo straordinariamente umano. Fidel era di una umanità incredibile, perché si preoccupava dei problemi della tua famiglia, della tua casa, dei tuoi figli. Un altro aneddoto personale. All’inizio di quando lavoravo per lui, tra il 1993 e 1994, era l’alba e mi dice: «José Luis, cosa dice tua moglie dei tuoi ritorni a casa tardi? Crede che tu sia con me?». Io gli dico che beh deve crederci, si immagini cosa posso argomentare. Quindi lui prende un pezzo di carta e scrive: «A chi può interessare, certifico che il compagno José Luis Rodríguez era riunito con me, che ore sono? Tale ora. Del resto del tempo non do conto. Fidel». Ho detto a mia moglie, «guarda cosa ti manda il Comandante». Lei ancora conserva quel pezzo di carta.

Fidel era anche molto esigente. Esigeva che tu memorizzassi quasi al suo stesso livello. Dovevo costantemente conoscere il prezzo del grano sul mercato mondiale, il mais, il latte in polvere, le quantità di medicine che avevamo nel nostro inventario… Tutto questo bisognava saperlo, non c’erano altre alternative. E quando non lo sapevi, ti beccavi un rimprovero. Ho in memoria molte cose oggi per l’allenamento di quegli anni. Ti posso recitare il tasso di crescita di Cuba degli ultimi 10 anni, perché li ho memorizzati, memorizzati, memorizzati. E questo è un suo insegnamento. L’altra cosa è che dovevi essere davvero preparato perché lui rilevava subito se c’era qualcosa di falso in quello che stavi dicendo, ti beccava immediatamente se tu non avevi una vera preparazione, te lo rilevava in un minuto. Era preferibile ammettere di non saperlo o di non avere le informazioni e chiedere che ti fosse concesso del tempo. Non gli piaceva, ma lo accettava. Ti guardava con uno sguardo con due occhi così, con uno sguardo inquisitorio. Allo stesso modo accettava che se tu commettevi un errore o gli davi un’informazione sbagliata, rettificassi. È stato un insegnamento tremendo, è stato come passare per un’altra università. Io glielo dicevo, sono permanentemente in un altro studio post-laurea con Lei.

Infine, la figura di Fidel non era una figura qualsiasi, Fidel era molto visionario. Nel 1992, al Vertice della Terra, fece un discorso che lasciò tutti colpiti. È un discorso di 7 minuti, probabilmente uno dei più brevi che abbia mai pronunciato, e contiene una frase del genere: «è necessario porre fine alla fame e non all’uomo». Frasi molto puntuali che erano praticamente come degli spari. Anche con la questione dei paesi socialisti, nutriva serie preoccupazioni. C’è stato un incontro a cui sono stati invitati tutti i capi di stato, penso che sia stato l’ultimo incontro di quel tipo in cui è stato invitato Fidel, per il 70 ° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre del 1987. Già quando tornò da quel viaggio aveva tremende preoccupazioni. Tremende perché vide da dentro, come era già la situazione lì. Il 26 luglio 1989, le cose erano a un livello tale che non c’era altra scelta che il famoso discorso in cui dice «Se un giorno l’Unione Sovietica che sta attraversando situazioni molto tese, ecc. si disintegrerà o scomparirà, cosa che speriamo non accada», non dimentico mai che ha detto ciò, «noi continueremo ad essere socialisti». Ascoltami, fu anticipatore di un mese: nell’agosto del 1989, il Partito Operaio Unificato Polacco (POUP) perse il potere in Polonia, che finì nelle mani di Solidarność, e da lì tutta l’Europa orientale cadde fino al crollo del muro che avvenne nel novembre del 1989.

5) Al VI Congresso del Partito Comunista di Cuba, nel 2011, sono state approvate le Linee guida della Politica Economica e Sociale e, nel 2012, è entrata in vigore la nuova Costituzione. In questo modo, siete passati da una situazione di resistenza a quella di creazione del “socialismo possibile” come l’ha definito Raúl Castro. Quali sono, secondo Lei, le sfide più importanti che il Paese ha davanti? E le lezioni più significative che sono state apprese nella pratica della costruzione del socialismo?

La sfida di questi anni è centralmente per l’economia. Abbiamo fatto molti progressi socialmente, abbiamo fatto molti progressi nel creare una coscienza socialista nella popolazione che non è di una sola generazione, è già di diverse generazioni. Non senza difficoltà, ma il successo sociale è lì e questo è il fattore chiave dell’esistenza di Cuba. Tuttavia, abbiamo il problema dell’economia, dobbiamo avere una base sostenibile per lo sviluppo della società e questo passa necessariamente attraverso l’economia. Quindi, dobbiamo vedere come orientiamo le riforme che noi chiamiamo di “aggiornamento del modello economico”, cercando meccanismi che lo rendano efficiente e lascino indietro le pratiche che si sa che non danno quei risultati. Dalla gestione amministrativa del mercato alle pratiche di pianificazione che sono totalmente schematiche e che non appartengono a quest’epoca, non verrà la soluzione a nessun problema. In altre parole, la sfida principale è la solidità della nostra riproduzione del punto di vista economico del Paese.

Il paese per svilupparsi deve crescere di oltre il 5% all’anno, noi siamo in una crescita molto bassa dal 2016 al 2019, siamo intorno all’1,9%, praticamente non abbiamo nemmeno raggiunto il 2%. Soprattutto, questa situazione è diventata più acuta a causa di tutti questi problemi che si sono verificati con Trump. Perché nel 2015, quando apparentemente eravamo in un’apertura stabile con gli Stati Uniti e quindi il blocco tendeva a finire, siamo cresciuti del 4,4%. In altre parole, dipendiamo molto da fattori esterni. Questo non può essere risolto a breve termine, dobbiamo continuare con questo. Nella prima metà del 2017 Trump non ha imposto grandi cambiamenti nelle relazioni con Cuba . Ma già a partire dal giugno ’17, consigliato dai settori cubano-americani più reazionari, ha iniziato ad applicare misure concrete contro Cuba. E ci sta facendo un danno tremendo, una politica di tremenda aggressività che è iniziata a metà 2017 e ha accelerato notevolmente nella seconda metà del 2019. Il turismo è stato bloccato, comprese le crociere a giugno, tutta la limitazione delle rimesse arriva ad agosto, arriva la persecuzione del petrolio a partire da settembre, è un’accelerazione quasi al massimo. L’unico passo che manca, praticamente, è la rottura totale delle relazioni.

Io sono uno di quelli che pensano che Trump abbia un’alta probabilità di essere rieletto. Pertanto, non mi aspetto che non ci sarà nel 2021. No, ci sarà e dobbiamo prepararci per questo senza pensare che il peggio sia finito. No. Questo continuerà. E quindi Cuba deve gestire un’altra alternativa, altre aperture, altre cose per poter resistere. Abbiamo già fatto i conti e sappiamo che la cifra alla quale cresceremo è tra l’1 e il 2% da ora al 2021. Vale a dire, la crescita di quest’anno e quella del prossimo anno probabilmente, se Trump continuerà ad esserci, non saranno una crescita che ci porta allo sviluppo, ma alla resistenza. E bene, quali altre cose possiamo fare? Ci sono una serie di importanti proposte, che abbiamo avuto l’opportunità di presentare ogni volta che ce le hanno richieste, in cui esistono alternative. Tuttavia, tutte le alternative prima di tutto hanno dei costi, niente è gratis. Ci sono cose molto benefiche, ma ci sono costi che devono essere assunti. D’altra parte, ci sono rischi perché nel mondo, non a Cuba, in tutto il mondo, chi osa prevedere cosa accadrà ai prezzi del petrolio, cosa accadrà ai prezzi degli alimenti? Nessuno lo sa. E a quest’incertezza deve essere aggiunto il blocco per Cuba. Voglio dire, cos’altro farà quest’uomo? Non sembra che opterà per un’opzione bellica, ma non è nemmeno escluso. Può anche infliggere danni con le stesse misure che sta usando adesso, perché lo stiamo vivendo. In altre parole, oggi ci troviamo nella peggiore situazione dagli anni ’80, con la differenza che negli anni ’80 esisteva ancora l’Unione Sovietica, esistevano i paesi socialisti e potevamo compensare in larga misura l’impatto del blocco, a cominciare dal petrolio. Ciò non esiste oggi, quindi anche se la stretta è stata aumentata negli anni del Periodo Speciale, non è stato raggiunto in quegli anni neanche il titolo tre della legge Helms-Burton[1], non hanno potuto applicarlo. E quest’uomo, sì, l’ha fatto. Ciò ci crea una situazione molto grave e, oltre a tutto ciò, la pressione contro il Venezuela ha compromesso la nostra situazione energetica, perché abbiamo dovuto iniziare a comprare petrolio praticamente in contanti o con qualche piccolo sconto. Questo non è il caso con il Venezuela. Noi pagavamo il petrolio venezuelano con servizi, non in contanti. Quindi il colpo è serio. Inoltre, dal loro punto di vista l’hanno gestita molto bene, creando una costante instabilità, perché oggi ti impongono una misura, dopo tre giorni te ne impongono un’altra, dopo una settimana te ne impongono un’altra ancora, e così via. Fino all’inizio di quest’anno, Trump ha imposto oltre 190 nuove misure contro Cuba. Ed è molto difficile pianificare così.

Quindi, è una situazione complicata, ma ha una soluzione. In altre parole, Cuba ha creato capacità, deve solamente applicarle in un ambiente di maggiore rischio, deve applicarle con costi, ma si può andare avanti. Non è tutto impossibile. Inoltre, c’è tutta l’esperienza degli anni della sopravvivenza, di come mobilitare le persone, di come far sentire alle persone che stanno partecipando a una decisione collettiva, che viene creato un consenso. E penso che sì, le cose possono essere fatte e, inoltre, sono già state fatte. Io ho esperienza di cose fatte, non è teoria. E ovviamente è difficile, è difficile perché devi cambiare il modo di pensare di molte persone, devi correre dei rischi, ma penso che la posizione dell’attuale presidente, Diaz-Canel, sia questa. Cioè, devi correre dei rischi e devi fare cose diverse. Lo abbiamo già fatto in condizioni più difficili e ci sono possibilità, oggettivamente ci sono.

Come ha detto il compagno Raúl Castro, abbiamo dimostrato che si è potuto, si può e si potrà.

[1] La legge Helms-Burton è stata approvata nel 1995 dal Governo USA ed è entrata in vigore nel medesimo anno quale ulteriore inasprimento del bloqueo nei confronti di Cuba. Il titolo III della legge permette ai cittadini statunitensi di origine cubana di rivendicare nei tribunali degli Stati Uniti le proprietà che furono loro tolte e nazionalizzate durante la Rivoluzione (ndr).

26/4/2020 https://coniarerivolta.org/

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