CNEL E SALARIO MINIMO: LA MONTAGNA HA PARTORITO COME PREVISTO

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di Renato Fioretti

Sono tra quei malpensanti che, subito dopo avere appreso che l’Esecutivo, guidato dalla neofascista Giorgia Meloni, aveva affidato al Consiglio dell’Economia e del Lavoro (organismo rispetto al quale già da diversi anni i nostri politicanti si erano espressi in termini di “assoluta inutilità”) il delicato compito di approfondire l’ipotesi di istituire, anche in Italia – così come, da diversi anni, già operante nella stragrande maggioranza dei Paesi dell’UE – il salario minimo legale, non avrebbero scommesso un centesimo sulla possibilità che il CNEL potesse esprimere un parere diverso dal “No”!

Anzi, per il motivo che aggiungerò successivamente – per quanto dato sapere, grazie alle prime indiscrezioni che filtrano attraverso fonti di stampa “non allineate”

  • il testo finale, che sarà sottoposto al voto dell’assemblea generale il prossimo 12 ottobre, presenta conclusioni di gran lunga peggiori di quanto ci si potesse aspettare.
    Ciò perché, da quello che, ormai, veniva considerato l’ennesimo Ente inutile ed indicato quale “cimitero per gli elefanti”, se non parcheggio ben retribuito per “trombati” dalla politica attiva – vedasi la recentissima nomina a Presidente di Renato Brunetta, fortemente “sponsorizzato”dalla Meloni, dopo essersi dimesso da FI nel luglio 2022 – verrà presto ufficializzata una decisione perfettamente in linea con i desiderati del governo fascioleghista. E non solo quella!

A questo proposito, però, prima di affrontare il merito delle conclusioni approntate dalla maggioranza dei componenti il CNEL – con una Cisl che, imperterrita, reitera la perdente posizione di differenziarsi da Cgil e Uil, con la conseguenza di ritrovarsi a condividere le stesse posizioni degli avversari storici dei lavoratori italiani – c’è un punto, di carattere generale, che va opportunamente evidenziato.

Infatti, poiché a supporto della decisione contraria al salario minimo legale, vengono esposte alcune motivazioni – che, apparentemente, sembrerebbero di carattere tecnico, piuttosto che politico – tra le quali già la prima ha il sapore di un autogol, è opportuno fare un passo indietro nel tempo.
In questo senso, personalmente, in più occasioni, ho sostenuto che i nostri politicanti – al pari di quegli esperti “prestati alla politica” e, in particolare, alla cura degli interessi padronali (penso, in primis, a Pietro Ichino) – abbiano mentito (ben sapendo di mentire) quando richiamavano tutti all’esigenza di operare vere e proprie controriforme della Legislazione del lavoro italiana, perché, sostenevano “Lo chiede l’Europa”.

Fu così, ad esempio, quando, successivamente alle reiterate teorizzazioni di Pietro Ichino – tese al superamento di quello che definiva un insopportabile “dualismo” esistente nel mercato del lavoro italiano, tra lavoratori “protetti” e “paria” – si avviò il superamento(1) delle garanzie dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Con la ben nota conseguenza di ridurre tutti i lavoratori nella condizione di “paria”!
La stessa cosa, ancora in ossequio a ciò che, apparentemente, sembrava dovesse “allinearci” all’Europa e grazie alle puntuali teorizzazioni(2) degli “esperti” di turno – più inclini, a mio parere, a tutelare interessi padronali, piuttosto che dei lavoratori – fu realizzata quando, attraverso il Jobs-Act del governo Renzi, al contratto a tempo indeterminato, di antica memoria, si sostituì, in sostanza, una nuova tipologia di contratto di lavoro: il c.d. “Contratto a tutele crescenti”.

Chiusa questa parentesi, appare quindi chiaro che questa volta, invece, se è vero che nessuna Direttiva europea impone agli Stati membri di adottare il salario minimo legale, laddove non già vigente, è altrettanto vero che – in clamoroso contrasto con quanto sostenuto dal CNEL – il fatto che in Italia la contrattazione collettiva coinvolga oltre l’80 per cento dei lavoratori subordinati, non escluderebbe, a priori, l’ipotesi di introdurre, anche nel nostro Paese, un SmL!

Non a caso, in Europa, il SmL è presente anche in Paesi nei quali, al pari di quanto succede nel nostro, i lavoratori subordinati coperti dalla contrattazione collettiva rappresentano la stragrande maggioranza.
Nulla vieta, quindi, che ad una estesa copertura contrattuale si accompagni, contemporaneamente, la presenza del SmL.
E’ sin troppo evidente, allora, che il ricorrente richiamo alla necessità di “allineare” il nostro ordinamento a quanto chiesto dall’Ue, alimenta una “porta girevole” attraverso la quale – in particolare negli ultimi venti anni – si sono compiute le peggiori scelte a danno dei lavoratori italiani che, non a caso, sono anche quelli i cui salari sono tra i più bassi dell’intera Unione; anche a parità di costo della vita.

Tornando ai contenuti di un primo report discusso dalla Commissione del Consiglio, c’è da fare una prima riflessione di carattere generale.
Se, in teoria, il rinvio al CNEL avrebbe dovuto consentire un approfondimento di natura esclusivamente “tecnica”, dai contenuti appare, in pratica, un vero e proprio verdetto; proprio ciò che, evidentemente, si aspettava il governo.
L’orientamento – poco tecnico e dichiaratamente politico – appare palese quando, ad esempio, si scrive che il problema del c.d. “lavoro povero” non lo si risolve attraverso “soluzioni semplicistiche”.
La considerazione successiva è quella attraverso la quale si sostiene che, intervenire rispetto alle attraverso “un criterio univoco e universale” (una legge), sarebbe negativo perché significherebbe “limitare l’autonomia delle parti sociali e falsare le dinamiche contrattuali”.

Lo stesso mantra di coloro che sono contrari (a prescindere) all’istituzione del SmL; a partire dalla Premier.
Anche se, francamente, trovo difficile immaginare Meloni e Brunetta nelle inediti vesti di paladini e garanti delle prerogative sindacali dei lavoratori!

Un’altra considerazione esprime il convincimento che la condizione italiana – relativamente alla quale i dati Istat stimano in 7,1 euro l’ora il 50 per cento del salario medio e in 6,86 euro il 60 per cento del salario mediano (dati 2019) – sia in linea con i parametri espressi dalla recente Direttiva europea e perfettamente “omogenea” a quella presente nella maggioranza dei Paesi dell’Ue.
Da ciò traspare l’idea che, a parere degli pseudo “tecnici” interpellati dalla Meloni, un’eventuale SmL pari a 9 euro orari (come da proposta delle opposizioni, Renzi escluso, naturalmente) andrebbe ben oltre i suddetti parametri europei; arrivando a rappresentare quasi il rapporto più alto.

Coloro che sostengono questa posizione, tra l’altro, non sono pochi. Sarebbe, però, sufficiente un minimo di onestà intellettuale per riconoscere che ciò sarebbe dettato da un particolare inconfessato: le retribuzioni dei lavoratori italiani, escluse quelle dei Paesi dell’Est, sono tra le più basse dell’intera Unione!
E’ solo questo il motivo per il quale 9 (miseri) euro di SmL rappresenterebbero un valore superiore al 50 per cento del salario medio e al 60 per cento del mediano.

Quindi, per evitare il problema e, con 9 euro orari, restare nei parametri europei, andrebbero – semplicemente – aumentate le retribuzioni.

L’altro punto, attraverso il quale la Commissione tende a derubricare un problema piuttosto serio e diffuso, è relativo all’esistenza di numerosi Ccnl c.d. “pirata”, la cui applicazione è, in sostanza, corresponsabile dell’esistenza dei lavoratori “poveri”. Parlo di corresponsabilità perché è, purtroppo, ampiamente noto che esistono anche alcuni Ccnl, sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil, nei quali sono previste retribuzioni “da fame”.

Ebbene, rispetto a questo spinoso problema, il primo documento del CNEL prova, in effetti, a ignorarlo. In sostanza, la logica è quella secondo la quale, se un Ccnl è firmato da un’Organizzazione sindacale presente all’interno del Consiglio dell’Economia e del Lavoro, non è da considerare “pirata”. Per fortuna, invece, non poche sentenze hanno sancito che Ccnl sottoscritti da Organizzazioni sindacali – diverse da Cgil, Cisl e Uil, ma ugualmente presenti nel CNEL – non potevano vantare la necessaria “rappresentatività”.

Tutto ciò considerato, appare superfluo sottolineare che, in definitiva, avere interpellato il CNEL, ha rappresentato solo la mossa giusta per poter contare – quando si riaprirà il confronto parlamentare – su di un parere “di parte”; tutt’altro che di natura tecnica e a sostegno di decisioni già prese.

Inoltre, come anticipavo, c’è da rilevare che, al parere è stata aggiunta una vera e propria “perla” che, se accolta, avrà pesanti ripercussioni sulla futura tutela giudiziaria dei lavoratori.
Allo scopo, è opportuno tornare a due recentissime sentenze della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che hanno annullato due sentenze di merito emesse a Milano e a Torino.

In estrema sintesi, la Cassazione ha ritenuto che i giudici, nel valutare la rispondenza della retribuzione percepita dai lavoratori a quanto previsto dall’art. 36 della Costituzione(5) avrebbero dovuto valutare parametri in grado di soddisfare compiutamente quanto previsto dal dettato costituzionale.

Quindi, contrariamente a come operato dai giudici di Milano e Torino – che avevano considerato “giusta” la retribuzione determinata in applicazione di un Ccnl sottoscritto da Cgil, Cile Uil (sicuramente “rappresentative”) – la Cassazione ha sentenziato circa l’esigenza di riconoscere ai lavoratori una retribuzione che, oltre ad essere “giusta”, sia anche rispettosa della seconda parte dell’ art. 36: “assicurare un’esistenza libera e dignitosa”.

Da qui, l’obbligo del giudice – secondo la Cassazione – di andare oltre la semplice protezione della povertà, prevedendo una retribuzione tale da consentire, ad esempio, la possibilità di assistere a uno spettacolo o a iniziative di carattere culturale o sociale.
Si tratta, quindi, di due sentenze di enorme importanza per un più giusto ed equo riconoscimento dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie.
Troppa grazia, evidentemente, secondo il parere di Brunetta e &, per i lavoratori italiani.

Infatti, dal CNEL – forse, all’unico scopo di giustificare ancora la sua “esistenza in vita” – è partito il suggerimento, diretto al governo fascioleghista, di approntare una norma di legge tesa a chiarire che il giudice, nella determinare il trattamento retributivo idoneo a soddisfare il dettato costituzionale, debba tenere conto non del trattamento “minimo” ma di quello comprendente la 14°, il Tfr e l’eventuale welfare aziendale.

Purtroppo, contrariamente a quanto, a prima vista, potrebbe apparire, una soluzione di questo tipo servirebbe, in realtà, ad impedire autonome e più eque valutazioni da parte dei giudici e li costringerebbe a limitare la loro opera alla pedissequa applicazione anche dei Ccnl con i “minimi” più poveri, sebbene sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil.
Come da consolidata prassi, lo stesso obiettivo – teso a “legare le mani” ai giudici – lo suggerisce(6) Pietro Ichino.

Con l’aggravante, relativamente all’ipotesi di un salario minimo legale, che l’ex senatore Pd si dichiara favorevole a patto che l’eventuale SmL sia differenziato non solo tra regione e regione, ma anche tra province e aree metropolitane e circostanti.

Un ritorno, in definitiva, alle famigerate “gabbie salariali”, con l’aggravante di distinguere, addirittura, tra lavoratori “di città” e quelli di campagna e/o località marine e montane!
Sarebbe opportuno interrogarsi rispetto alle colpe che ci costringono a subire le elucubrazioni di simili personaggi!

NOTE

  • Leggasi provvedimenti adottati dal governo Monti e, successivamente, dal governo Renzi
  • Le ipotesi precedenti al Contratto a tutele crescenti sono due: quella di “Contratto unico”, prodotta dal duo Boeri/Garibaldi e, successivamente – nella versione peggiorativa accolta dal il Jobs-Act – del solito Pietro Ichino
  • Alludo a contratti quali, ad esempio, quello degli operai agricoli e della vigilanza privata
  • Sentenze nr.7711 e 27769, pubblicate il 2 ottobre 2023
  • Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità’ e qualità’ del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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