ACCORDO GOVERNO E SINDACATI. QUANDO IL DIAVOLO SI NASCONDE NEI DETTAGLI

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Nel momento in cui stiamo vivendo i primi, drammatici effetti della liberalizzazione dei licenziamenti, consentita e sancita, nei fatti, dall’”avviso comune” recentemente sottoscritto dalle “parti sociali”, appare certamente difficoltoso occuparsi di altri argomenti, che appaiono, almeno a prima vista, meno gravi e meno pesanti per la vita delle persone.
Tuttavia, avendo questi interventi il senso di seguire ciò che avviene a livello di Pubblica Ammnistrazione, può essere utile richiamare l’attenzione su alcuni recenti provvedimenti, dove, come spesso avviene, il diavolo si nas conde nei dettagli.

Il primo fatto da cui vorrei partire è la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge 9/6/21n.80. Si tratta del decreto che norma il reclutamento di personale finalizzato all’attuazione del PNRR (alias Recovery Plan).
Esso comprende circa 24.000 assunzioni, di cui oltre 16.000 nel settore Giustizia (per le “150.000 assunzioni all’anno” promesse a suo tempo da Brunetta ci sarà forse da attendere tempi migliori). Ma il decreto va oltre, entrando anche nel merito di scelte contrattuali, proprio nel momento in cui si inizia (timidamente) a parlare di rinnovo dei Contratti Nazionali nella P.A.

Ad esempio, il decreto prevede di superare quel tetto imposto alla contrattazione integrativa che per lungo tempo ha gravato sul confronto all’interno dei vari enti, definendone le modalità all’interno dei CCNL. Ma ciò potrà avvenire solo “compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica” e “nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità”. Si dirà che sono frasi di rito, ma il fondato dubbio che esse possano nascondere in realtà la sostanziale vanificazione di una misura sulla carta positiva, è ben presente.

Altro tema è quello delle progressioni di carriera all’interno delle singole categorie, le cosiddette progressioni orizzontali. Esse dovranno avvenire in funzione delle capacità culturali e professionali, dei risultati raggiunti e attraverso l’attribuzione di fasce di merito (la cui applicazione, memori delle precedenti performance del ministro Brunetta, sarà tutta da verificare). Ma il decretostabilisce anche che non si potrà più tenere conto del criterio riferito alla cosiddetta esperienza acquisita: si tratta cioè dell’unico elemento ancora rimasto che poteva fungere da contrappeso (assimilandolo almeno in parte al criterio dell’anzianità) alla ormai dominante meritocrazia, dietro la quale si nasconde assai spesso la pura e semplice discrezionalità: essa viene così ulteriormente rafforzata, intervenendo fra l’altro per legge, come si diceva, su una materia di pertinenza contrattuale.

Il decreto prevede altresì che ogni anno, nelle amministrazioni con più di 50 dipendenti, venga adottato un “Piano integrato di attività e organizzazione”, finalizzato, nelle intenzioni, alla qualità e trasparenza dei servizi per cittadini ed imprese, alla costante semplificazione e reingegnerizzazione delle procedure, anche per ciò che riguarda il diritto all’accesso dei cittadini. Esso definirà, quindi, questioni come gli obiettivi programmatici e strategici della performance e le strategie di gestione di quel che viene chiamato “capitale umano”, il reclutamento di nuovo personale e la valorizzare del personale in essere, prevedendo la % di progressioni di carriera che si dovranno attuare: curioso, a questo proposito, è che qui si riparli anche di esperienza acquisita, criterio che è stato cancellato poche righe prima. Si prevede anche di definire quali saranno le procedure da “reingegnerizzare”, attraverso l’uso della tecnologia e della pianificazione delle attività: qui si prevede anche la “graduale misurazione dei tempi per completare le procedure, effettuata con l’uso di strumenti automatizzati”, dove sembra di veder ricomparire il famigerato Ufficio Tempi e Metodi di antica memoria industriale.

A parte queste osservazioni, l’idea del Piano non è in sé sbagliata, ma, per come è formulato, esso appare totale appannaggio delle scelte della dirigenza, senza alcuno spazio per i lavoratori e le lavoratrici per dire la loro, in sede istituzionale e/o in sede di contrattazione.
Tralascio per brevità altre questioni, se non per richiamare che il decreto prevede di non rendere più obbligatorio il nulla osta da parte dell’amministrazione di appartenenza in caso di mobilità volontaria, salvo in tre casi: personale assunto da meno di 3 anni; posizioni motivatamente infungibili; soggetto la cui qualifica presenta una carenza di organico superiore al 20%. E’ un cambiamento importante, sulla carta, rispetto all’attuale discrezionalità: occorrerà vedere, però, quanto peserà il riferimento alla carenza di organico superiore al 20%, stante la situazione attuale nella P.A.: non a caso l’ANCI ha già chiesto di escludere gli Enti Locali dall’applicazione di tale norma!
In definitiva, il decreto riconferma la vecchia idea di intervenire legislativamente su questioni di tipo contrattuale, tanto è vero che anche la parte sindacale lamenta il fatto che verrebbe così disatteso quel “Patto per l’innovazione e il Lavoro Pubblico e la coesione sociale” appena sottoscritto dal Governo con CGIL-CISL-UIL, così come verrebbero smentiti anche gli atti di indirizzo per la contrattazione nazionale.

Dal punto di vista dei contenuti si tratta di un decreto che apre parzialmente e in maniera contraddittoria su alcune questioni nel momento stesso in cui chiude su questioni importanti, come le progressioni di carriera e il concetto di meritocrazia, o decisive, come l’organizzazione degli uffici e dei servizi. Di assunzioni, naturalmente, si parla solo e unicamente in riferimento all’attuazione del PNRR, mentre i reali fabbisogni della P.A. possono ancora una volta aspettare.

Proprio su questo tema vorrei chiudere queste riflessioni. Si è conclusa in questi giorni la procedura per quanto riguarda l’assai strombazzata apertura del Concorso per figure tecniche destinate alla gestione del PNRR al Sud. Molte polemiche, del tutto condivisibili, erano state sollevate circa gli sbarramenti frapposti ai neo-laureati, nel momento in cui si richiedevano, in sede di preselezione, elementi come dottorati di ricerca o periodi precedenti di esperienza acquisita, e ancor più rispetto al fatto che si trattava comunque di assunzioni a termine.
Risultato di tutto ciò è che, su 2.800 assunzioni previste, ne sono state effettuate 821.
Non solo,ma vi è il rischio concreto del moltiplicarsi di ricorsi al TAR, stante il fatto che la procedura (alla luce della scarsità del risultato) è stata chiusa e poi riaperta.
C’è di che riflettere circa le capacità di previsione e circa ciò che passa per la testa di chi ci governa, questa volta non sulla base di semplici previsioni e valutazioni, ma sulla scorta di fatti assai concreti ed eloquenti.

Fausto Cristofari

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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