Combatterli è salute psicofisica

 

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Senza lavoro stabile e in sicurezza, servizio sanitario pubblico e pensioni adeguate pretendono anche il nostro benvolere nei loro confronti, siccome non capiscono il nostro odio. Chi ha operato per la fine del Welfare State, così come l’abbiamo conosciuto nel ‘900, per sostituirlo con un sistema in cui sia il mercato (ogni bene sociale è una merce) ha decidere del livello di benessere vitale per la popolazione fuori dal circuito della ricchezza? Discussione che ha interessato direttamente anche i servizi sanitari nazionali universalistici e pubblici. E non poteva essere altrimenti in quanto rappresentato le fondamenta di uno stato democratico.

Il costante indebolimento del SSN e la realizzazione di un doppio sistema, anche pubblico ma a trazione privata, iprogrammi di austerity europei hanno imposto lo scaricamento del costo principalmente sui salari indiretti, iservizi sociali pubblici, in particolarecon la sottrazione di risorse pubbliche al Servizio Sanitario Nazionale, con la relativa perdita dal 2010 al 2019 di ben 37 miliardi di euro il 6,6% (ma sarà il 6,4% nel 2022). Il 13° Rapporto sullo Stato sociale denuncia: le prestazioni di welfare fornite da contratti e aziende stanno accrescendo le iniquità? A soffrirne, i cittadini meno tutelati. Non ci sono solo le disparità salariali, la minore redistribuzione tra aree ricche e aree povere del Paese che consegna la ricchezza in un numero sempre minore di persone. «In Italia – si legge nel rapporto – nei contratti settoriali e aziendali si sta diffondendo la concessione ai lavoratori, fiscalmente incentivata per le imprese, di beni e servizi sanitari; ciò avviene per lo più mediante le iscrizioni a fondi assicurativi privati, che almeno in parte sostituiscono aumenti salariali monetari e tendono ad assumere un ruolo sostitutivo rispetto alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale che, peraltro, tendono adiventare meno fruibili (aumento delle file d’attesa, pagamento di ticket crescenti) a causa del contenimento del loro finanziamento dovuto alle ristrettezze delle politiche di bilancio».

Uno stato di cose confermato dal  sulla situazione sociale del Paese: diminuzione della protezione sociale garantita dal welfaree relativo impoverimento della coscienza dei propri diritti che ha ridotto l’idea di collettività in individui solitari e rancorosi verso chi sta peggio, salvando i potenti dalle loro criminali responsabilità Il Censis la definisce “mutazione antropologica”, in parole più comprensibili una vera e propria rinuncia alla convivenza civile così facilitando l’opera dei poteri dominantiche hanno depredato da molti decenni le ricchezze di popoli, speculando, devastando, gli stessi ecosistemi degli altri continenti.

Ci sono tutti gli elementi motivanti per odiare i potenti ma questo non avviene in Italia. Da noi la protesta è deconflittualizzata nei ranghi del meno peggio, mentre in Francia, nelle stesse nostre condizioni sociali e politiche, la rivolta contro il sistema predatorio hauna chiara composizione sociale diclasse, quella impoverita da due decenni, almeno, di politiche dell’austerità a senso unico. Perché?

E’ una domanda che gli stessi sindacati dovrebbero farsi, pur nella loro differente collocazione di riferimenti politici, intesi come visione dei rapporti sociali e non per forza come vicinanza a determinati partiti, (finiamola con l’ipocrisia dell’indipendenza). Un vero e proprio esame di coscienza su quanto hanno, onon hanno, fatto per frenare l’orda barbarica del neoliberismo, senza autogiustificazioni o confutabile orgoglio di aver messo in campo dichiarazioni, stati di agitazione, manifestazioni e proposte che si sono rivelate distanti dalla lettura del reale stato di bisogno. Quello stato reale chelo stesso Landini ha descritto con chiarezza, nel novembre scorso in casa PD, che si è assunto il compito sinistro di salvaguardare i poteri alzando lo scudo del liberismo omicida dei trattati europei, “Io credo che si debba ripartire da quello che sta avvenendo oggi e cioè dal peggioramento secco delle condizioni di lavoro e soprattutto della libertà delle persone nel lavoro.

Intanto lorsignori hanno una spudorata sfacciataggine verbale esibita senza vergogna con la potenza dei loro mezzi di comunicazione stampata e televisiva. Basti ricordare come La Stampa ha stigmatizzato le lotte popolari in Francia: sono bestie per il quotidiano della , chiarendo senza mediazione politica la loro lotta di classe per chiamare araccolta tutta la feccia dei loro riferimenti politici e giornalistici a fare da scudo preventivo su un eventuale contagio delle lotte francesi.

Odiarli non basta. Non basta se resta sentimento impotente. Le donne e gli uomini di sana personalità devono porsi l’obiettivo di come organizzare chi ha perso il senso di appartenenza alla classe degli ultimi, per ricostruire spazi politici utili nella desertificazione prodotta dalla frammentazione sociale e politica, e dall’individualismo introiettato come ideologia e panacea del disagio. Recuperare la memoria delle lotte del passato ci farebbe comprendere come il conflitto oggi è praticabile quanto e come ieri, perché le condizioni di vita imposte al proletariato (altra definizione da recuperare per leggere la condizion ereale di decine di milioni di persone) accomunano ogni lavoratore, siano essi l’ormai minoranza dei dipendenti stabili, che precari, che autonomi delle piccole partite IVA. Siano essi i proletari sopravvissuti allo sbarco sulle nostre coste. Non c’è via d’uscita per gli ultimi: senza memoria e senza conflitto non c’è futuro.

Franco Cilenti

Editoriale del numero 1 gennaio 2020 di Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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