Come scongiurare l’uso privato dei Big Data nel controllo sanitario

Si sta discutendo in Italia su quali strumenti usare per il tracciamento continuo, e la valutazione del rischio di contagiosità delle persone sul territorio. In Cina e in tutta l’Asia sono stati introdotti sistemi di tracciamento che hanno permesso, insieme con provvedimenti di quarantena, il contenimento del virus.

Per il loro funzionamento servono metodi di sorveglianza basati su applicazioni obbligatoriamente scaricate nel telefono che attivano sistemi di registrazione di tutti gli spostamenti, gli incontri e le attività svolte negli spazi pubblici, nei negozi, negli uffici e in tutti gli edifici dove si lavora o si vive.

L’infrastruttura che consente questo regime di sorveglianza è composta, oltre che dalle app, da un reticolo molto capillare di telecamere, dotate talvolta anche di termoscanner per la temperatura corporea. Sono meccanismi che associano alle tecniche di face recognition altri sofisticati strumenti biometrici capaci di identificare univocamente i cittadini e li sorvegliano stabilmente.

Come suggerisce Byung-Chul Han su El Pais (22 marzo 2020), tale soluzione funziona in Asia per via di una società collettivista confuciana che accetta di buon grado l’invasione della vita privata da parte dello stato, percepito come alleato a cui attribuire un’acritica fiducia. Il modello asiatico, cioè, prevede la sottomissione a sistemi artificiali, la cui complessità rende impossibile dare spiegazioni delle decisioni assunte in ogni momento.

Il metodo di tracciamento cinese è dotato di un meccanismo che divide le persone in tre categorie sulla base della rischiosità dei loro movimenti: semaforo rosso, giallo o verde, a seconda della libertà di movimento consentita. Sono i Big Data che elaborano i dati e stabiliscono arbitrariamente, attraverso parametri opachi, se il rischio di movimento di una persona è troppo alto per la collettività per consentirgli di uscire. Lo fanno sulla base di calcoli relativi alle condizioni di salute e alla probabilità di essere entrati in contatto con persone infette, oltre ad altri parametri ignoti e comunque incerti.

Non è una semplice erosione della privacy, ma una privazione della libertà personale senza processo, senza interlocuzione e senza nemmeno capo d’imputazione. Siamo alla sospensione dell’habeas corpus, una delle basi della civiltà giuridica moderna, prima ancora che democratica.

Yuval Noah Harari sul Financial Times (20 marzo 2020) sottolinea che il sistema di sorveglianza cinese vada oltre il regime di controllo messo in campo finora dai regimi totalitari perché propone una transizione tra la sorveglianza ‘sopra la pelle’ a quella ‘dentro la pelle’.

Nell’emergenza del Covid19 saremmo pronti a qualsiasi compromesso per uscirne al più presto. Ma dobbiamo fare molta attenzione agli strumenti che adottiamo nella situazione eccezionale, perché non sarà facile liberarsene successivamente. È possibile utilizzare strumenti di tracciamento per fare delle stime sui contagi e per fare monitoraggio dei contatti dei contagiati retrospettivamente.

Ma deve essere esplicito e controllabile chi farà le stime, quali criteri verranno adottati, come verrà esercitata l’anonimizzazione dei dati, quando è lecito tracciare individualmente, chi ne resterà in controllo, soprattutto, chi risponderà delle garanzie democratiche. Si evocano persino strumenti di screening che possano fornire certificati di immunità, tali da interrompere in anticipo la quarantena.
In un fumetto apparso nel numero di Robinson del 28 marzo scorso,

Quattro regole di autodisciplina per resistere dignitosamente a questo tempo, Zero Calcare ha suggerito: «Non assuefarti a qualsiasi cosa». Penso che sia un buon metodo da seguire, per riprendere a vivere in un mondo che resti un posto dove preservare la nostra libertà.

C’è una differenza sottile tra fornire un servizio di salute per la collettività come infrastruttura pubblica o usare piattaforme private, sia pure nel contesto di un’emergenza governata dallo stato.

Nessun server privato può essere legittimato al tracciamento degli spostamenti dei cittadini, a monitorare le condizioni di salute, conservando le informazioni per l’uso in caso di contagio, o peggio a definire le persone in categorie basate sulla loro potenziale immunità infettiva. Scenari che speriamo resteranno solo esercizi di stile dell’immaginazione di una tecnodistopia.

Teresa Numerica

1/4/2020 https://ilmanifesto.it

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