CON IL DECRETO ILVA SI AUTORIZZA L’USO DELLE SCORIE NEI MANTI STRADALI: A RISCHIO MOLTE INCHIESTE.

Questa è la denuncia del presidente della Commissione parlamentare sui rifiuti Alessandro Bratti: “l’emendamento sul recupero dei residui dei forni elettrici sarà un’arma di difesa per gli accusati nei processi sull’occultamento di scorie inquinanti sotto l’autostrada Brebemi e la Valdastico sud”. E “un passepartout per le acciaierie”.

Le scorie d’acciaieria dell’ILVA di Taranto potranno essere usate in tutta Italia. Sotto le strade, nelle massicciate ferroviarie, come materiale di riempimento per le bonifiche e i recuperi ambientali.

E cambierà anche la normativa di riferimento per stabilire se quegli scarti industriali sono pericolosi e inquinanti oppure no.

Lo prevede un emendamento al Decreto ILVA, presentato dai senatori Alessandro Maran (PD) e Aldo Di Biagio (FLI) e già approvato in commissione lo scorso 19 febbraio. Dunque sarà parte integrante del testo che sarà votato con la fiducia alla Camera il 3 marzo.

“Un passepartout per le acciaierie italiane per poter collocare queste scorie in tutte le infrastrutture” – dice a Il Fatto Quotidiano il presidente della Commissione parlamentare sui rifiuti Alessandro Bratti – “utilizzando un test che non esiste ed è semplicemente un lasciapassare”.

Il Decreto prevede infatti che per caratterizzare le scorie venga utilizzato, al posto del vecchio “test di cessione” delle sostanze inquinanti, un regolamento europeo (il 1907 del 2006) pensato per la “registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche” che “nulla ha a che fare con i rifiuti: una pura invenzione, che introdurrà soltanto nuovo caos”.

La possibilità per l’ILVA di utilizzare le scorie senza effettuare il test di cessione degli inquinanti “potrebbe determinare un pericoloso precedente” – prosegue Bratti – “perché anche tutti gli altri impianti sarebbero legittimati a comportarsi allo stesso modo”.

Molte le inchieste e i processi a rischio, secondo il presidente della Commissione rifiuti, tra tutte quelle sulle scorie di acciaieria smaltite sotto l’autostrada Brebemi, di cui si è occupata la Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia, e quelle finite sotto l’autostrada Valdastico sud (Vicenza) su cui indaga la Procura Antimafia di Venezia. Due inchieste finite sotto i riflettori della Commissione ecomafie.

L’emendamento al Decreto ILVA è stato presentato dal senatore friulano del PD, ex Scelta Civica, Alessandro Maran, e dal collega di FLI Aldo Di Biagio, già a capo dell’ufficio relazioni internazionali dell’allora Ministro delle Politiche agricole e forestali Gianni Alemanno.

“I residui della produzione dell’impianto ILVA di Taranto” – si legge nel testo del Decreto – “costituiti dalle scorie provenienti dalla fusione in forni elettrici possono essere recuperati per la formazione di rilevati, di alvei di impianti di deposito di rifiuti sul suolo, di sottofondi stradali e di massicciate ferroviarie o per riempimenti e recuperi ambientali”.

Non solo per i terrapieni e i sottofondi stradali, ma anche nel caso dei materiali di riporto per le bonifiche ambientali e per i recuperi “a verde” delle cave esaurite, potranno essere utilizzati dunque rifiuti speciali, in particolare i “rifiuti del trattamento delle scorie” (Codice Europeo dei Rifiuti 10 02 01), le “scorie non trattate” (Codice 10 02 02) e le “scorie di fusione” (Codice 10 09 03).

La legge prevedeva già la possibilità di utilizzare le scorie di acciaieria per i rilevati stradali, se adeguatamente trattate e conformi al test di cessione previsto dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 5 febbraio 1998.

Proprio sulla quantità e qualità degli inquinanti presenti nelle scorie utilizzate nelle infrastrutture si sono sviluppate alcune delle principali inchieste sul traffico di rifiuti nel nord Italia.

Il Decreto ILVA però permetterà alle aziende di utilizzare, “se più favorevole”, il Regolamento CE 1907 del 2006 al posto del test di cessione, affidando poi all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) il compito di “accertare l’assenza di rischi di contaminazione per la falda e per la salute nel termine di 12 mesi dall’avvenuto recupero”.

Entro un anno dalla fine dei lavori, quindi, l’ISPRA dovrà accertare se c’è stato danno per l’ambiente.

“Chi si difende nei processi per traffico di rifiuti utilizzerà la norma a suo favore” – commenta il presidente Bratti – “e tutto rischierà di finire in prescrizione. Ricordiamoci che il sostituto procuratore antimafia Roberto Pennisi, recentemente, ha dichiarato che l’autostrada Brebemi è stata fatta al solo scopo di interrare rifiuti”.

Silvia Cortesi

06/03/15 https://illavorodebilita.wordpress.com

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