Contro il linguaggio bellicista

L’uso forsennato di metafore – e metonimie – di guerra sui media e i social è cominciato nel 2020 con la pandemia, con l’antecedente del 2015: al whatever it takes dell’allora presidente BCE Mario Draghi si susseguiva un coro quasi umanime di “useremo il bazooka”. Ovvero un lanciarazzi anticarro. Nota “amena”: il nome “bazooka” fu adottato negli anni Quaranta da un americano addetto ai collaudi, che disse che il tubo assomigliava a uno strano strumento musicale, il bazooka appunto (la disinvoltura con cui un’arma può diventare un’amica, un familiare, un momento di pet terapy quotidiana ed è subito Good morning Vietnam).

Wargasms-Orgasmi di guerra è il titolo di un libro di Francesca Capelli appena uscito per le edizioni Transeuropa.

“Questo libro – spiega Francesca Capelli – è il risultato di due anni di lavoro, anche se non pensavo di raccogliere le mie osservazioni in modo sistematico (…). È stato allora che mi sono accorta che il libro, di fatto, era già scritto in una traiettoria che inizia, simbolicamente, con le ormai famigerate bare di Bergamo e trova la sua continuità – a livello di apparato comunicativo – nella guerra in Ucraina. Stesso linguaggio, stessa polarizzazione, stesso apparato metaforico e retorico, stesso uso strumentale della paura per installare un regime morale basato sul sacrificio, stessa produzione di dispositivi disciplinatori ai fini di trasformare i diritti in concessioni da usare per premiare o punire i cittadini”1.

I sintagmi della guerra pervasivamente ripresa, il ritmo martellante delle maratone TV ( non a caso il soprannome di Mentana è , fin dai suoi esordi, “mitraglietta”), gli ammassi cartacei dove la propaganda alza i suoi inni vedici da salotto, i sacerdoti sempre pronti a sacrificare il mondo su Twitter, creano fantasmi obbedienti e pronti a sacrificarsi in nome degli immondi squid games del capitalismo imperialista? Non del tutto. O forse quasi per niente. La logica di guerra non piace. Il suo linguaggio nemmeno. Resta un linguaggio slegato dalla comunicazione reale, dalla riflessione delle persone, come un gergo di collezionisti d’armi a un mercatino militare Nato o al Checkpoint Charlie. Il linguaggio che si parla nei luoghi sociali non intossicati è quello dell’ansia e della paura per il futuro. Non è un linguaggio militaresco e fraudolento.

Né con Putin né con la Nato vuol dire anche imparare a parlare attraversando la paura, a far crescere la propria forza senza esaltazioni e senza fronti. Senza frontiere. I miti eterni delle patrie e degli eroi non sono immagini rivoluzionarie, sono solo ripetizioni di un refrain mortifero.

Paola Guazzo

13/4/2022 https://transform-italia.it

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