Contro il sessismo linguistico, sovvertiamo gli stereotipi

Perché segretario generale sì, e segretaria generale no? Perché è ancora così difficile dire sindaca, ministra, assessora? Il problema non è nella lingua: per l’Accademia della Crusca si tratta di usi regolari del femminile in italiano. Il problema è piuttosto nella cultura che fa resistenza all’ingresso delle donne in ruoli e professioni un tempo destinati solo agli uomini. È da questa convinzione che nasce Vocabolaria – Dire la differenza, un progetto realizzato dall’associazione Piano F che, attraverso strumenti divulgativi come un poster pieghevole e un ebook, mira a promuovere l’uso del femminile tra tutti i parlanti: nelle scuole, nelle biblioteche, nei luoghi dove si fa cultura ed educazione alle differenze. L’iniziativa, finanziata dalla Regione Lazio, viene presentata questa mattina al liceo Mamiani con il vicepresidente Massimiliano Smeriglio, e con la giornalista Roberta Carlini.

Una breve serie di 14 schede affronta i dubbi linguistici più ricorrenti come “Si dice il giudice donna, la giudicessa o la giudice?”, e le risolvono con praticità, affermando per esempio che “giudice, come presidente, capostazione o manager, è un nome maschile e femminile insieme: che si parli di uomini o di donne, rimarrà invariato. Gli elementi che richiedono la concordanza di genere saranno maschili o femminili a seconda del caso. Diremo quindi: la giudice, la presidente, la capostazione, la manager, proprio come la badante, la caposala, la rapper ola paziente”. E così via applicando le regole della grammatica italiana per altri femminili che creano dubbi o imbarazzi come ministra, sottosegretaria, rettrice, direttrice, assessora, avvocata o chirurga. Insomma, se vogliamo nominare la differenza, “sovvertiamo gli stereotipi, non la grammatica”, è l’invito delle autrici di Vocabolaria, Cristina Biasini, Carlotta Cerquetti e Giorgia Serughetti. “Guarda a caso”, commenta Cristina Biasini a Redattore Sociale, “il problema non riguarda parole che segnalano lavori femminili comuni come infermiera, maestra o cuoca, e nemmeno professioni più recenti ma non particolarmente prestigiose, come postina, ma nomi che segnalano posizioni tradizionalmente precluse alle donne o in cui le donne ancora faticano ad essere adeguatamente rappresentate, come quelle della politica, della magistratura, e di alcune libere professioni”. Il problema quindi sono gli stereotipi che restano da combattere. L’ha ricordato recentemente anche la Presidente della Camera Laura Boldrini, nella sua lettera a deputati e deputate con cui chiede di rispettare le identità di genere, evitando di utilizzare titoli maschili per le donne.

“In altri paesi è un processo in corso da più tempo – spiega Giorgia Serughetti -, in tedesco è normale usare Ministerin, ministra, o Kanzlerin, cancelliera. E così anche in Francia o in Spagna. In Italia si incontrano ancora molte resistenze, ma noi crediamo si possa partire dal basso, diffondere questa sensibilità già a partire dalle scuole, e così mettere in moto il cambiamento”. Un cambiamento importante perché, è la convinzione delle autrici, “ciò che non si dice non esiste, e non nominare le donne è come cancellarle”.

Tutti i materiali di Vocabolaria saranno disponibili gratuitamente dal 9 marzo sul sito di Piano F https://pianoeffe.wordpress.com/. L’11 marzo è inoltre previsto un incontro pubblico di presentazione alle ore 17,30 alla Biblioteca Europea di Roma, con Cecilia D’Elia, consulente del Presidente della Regione Lazio per la tutela dei diritti di genere, Anita Raja, direttrice della Biblioteca Europea, Francesca Caferri, giornalista de “La Repubblica”, Gioacchino De Chirico del Consiglio di Amministrazione delle Biblioteche di Roma, e con letture dell’attrice Francesca Romana Miceli Picardi.

9/3/2015 www.redattoresociale.it

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