DA AST DI TERNI A MITTAL, SIDERURGIA TORNI PUBBLICA

L’intenzione dichiarata da Thyssen Krupp di vendere l’Ast di Terni è una grave minaccia  da respingere con forza, non solo per l’occupazione, ma perché l’azienda, i dipendenti diretti, più di 2 mila persone,  e l’indotto di molte migliaia di occupati rappresentano un patrimonio umano e produttivo non solo per l’Umbria, ma per tutto il paese.

Ancor più grave è che ciò avvenga nel pieno di una pandemia in cui tutto il paese è chiamato  a contrastare con ogni mezzo l’emergenza sanitaria e impedire il collasso dell’occupazione e delle attività economiche. Ancora una volta i padroni mostrano di essere socialmente irresponsabili.

L’operazione messa in moto dalla Thyssen Krupp è l’ennesima prova del disastro prodotto da decenni di assenza di politiche industriali da parte di governi che hanno lasciato i destini del paese alla mercè delle dinamiche di un mercato sempre più dominato da logiche speculative di natura finanziaria. 

La vicenda dell’Ast, come quella di tutta la siderurgia italiana degli ultimi trenta anni, è la storia scorribande di capitalisti di ventura e multinazionali che hanno sempre disatteso tutte le promesse di rilancio, di innovazione e  rispetto dell’ambiente.

Quanto sta accadendo anche negli stabilimenti ex Ilva, oggi gestiti in affitto dalla multinazionale ArcelorMittal, conferma che la strada scelta affidando un settore strategico a gruppi capitalistici privati non ha funzionato nè sul piano occupazionale nè su quello ambientale. 

Per evitare che ci si trovi a Terni di fronte all’ennesimo atto dello smantellamento progressivo di un settore strategico per il paese non c’è ormai altra strada che l’intervento diretto dello stato negli assetti proprietari, nel quadro di un piano nazionale della siderurgia. 

Non è una strada facile perché richiede la ricostruzione di una struttura pubblica che unisca capacità finanziarie, di programmazione e competenze manageriali con formazione industriale, per porre fine al ricorso a manager privati prestati e orientati quasi sempre dalla finanza i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Non a caso sui giornali  è in voga la gara a esorcizzare la “Nuova Iri”; è la falsa coscienza di chi  teme ciò che appare oramai indispensabile.

Il nome non ci interessa, ma la necessità per l’occupazione, l’economia è il futuro del Paese è quella.

È ora di riprenderci settori industriali strategici che in Italia non sono nati per iniziativa privata ma grazie all’intervento pubblico. 

Maurizio Acerbo, segretario nazionale Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Antonello Patta, responsabile lavoro

22/5/2020 http://www.rifondazione.it

 

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