DdL Concorrenza: per i Comuni il Mercato è legge

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“Ma allora, siamo ancora nell’ambito delle politiche neo-liberiste, oppure, col PNRR, siamo dentro una fase di politiche espansive, quasi keynesiane?”. Chi avesse questo dubbio, non ha che da leggersi il DDL Concorrenza, approvato dal governo lo scorso 4 novembre, precisamente all’art.6.
Esso vincola il governo a presentare entro 6 mesi un Decreto legislativo di riordino dei Servizi Pubblici Locali (SPL), gestiti da Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni, sulla base di alcuni principi e alcune indicazioni.

Una delle indicazioni centrali sta all’interno del punto f): l’Ente Locale, qualora ritenga di applicare, per ciò che riguarda i SPL, il modello della autoproduzione (cioe della gestione diretta del servizio), deve fornirne “motivazione anticipata e qualificata”, dando conto delle ragioni che, sul piano economico, della qualità del servizio e degli investimenti e dei costi per gli utenti, giustificano il “mancato ricorso al mercato”.

Cioè, il Mercato (con la m maiuscola!) diventa la modalità di gestione normale ed ordinaria dei SPL; qualora l’Ente Locale se ne volesse discostare, per rimanere nell’ambito pubblico, deve motivarne con precisione le ragioni, trasmettendo obbligatoriamente (punto g) la sua decisione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che procederà (punto h) al monitoraggio dei costi, al fine dell’equilibrio finanziario e, si dice, della tutela della concorrenza: l’Ente dal comportamento “anomalo”, quindi, verrà messo sotto stretta osservazione e sorveglianza. Come se ciò non bastasse, vi sarà anche l’obbligo della revisione periodica (punto i) delle ragioni che hanno portato alla scelta dell’autoproduzione.

L’art. 6 specifica ancora (punto b) che dovrà esservi separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e la gestione diretta dei servizi: in sostanza, l’Ente può supervisionare, ma non gestire direttamente.

Quale sia il traguardo di tale procedura viene ulteriormente chiarito al punto d), il quale stabilisce l’introduzione di incentivi e premialità per “favorire l’aggregazione delle attività e delle gestioni dei SPL”: largo, quindi, alle Multiutility, e tanti saluti ai servizi locali legati al territorio, e alla conseguente possibilità di controllo dal basso sul loro funzionamento! Alla luce di quest’ultima disposizione, suona davvero a mò di presa in giro il punto t), dove si parla di partecipazione degli utenti!

C’è ancora da rendere conto del punto q), dove si parla di “adeguata valutazione della proprietà pubblica” in caso di cessione dei beni, giusto per precisare meglio come procedere in caso di cessione al Privato del servizio.
Tutto ciò sarà applicato, come si legge nel testo, a settori come acqua, rifiuti e trasporto pubblico locale: la più completa e totale disapplicazione degli esiti del referendum del 2011, che aveva sancito, con larghissimo consenso popolare, la pubblicizzazione dell’acqua e, appunto, dei servizi locali!
Ciò avviene con argomentazioni assolutamente truffaldine, poiché la riprova dei fatti ci dice che con le privatizzazioni, ad esempio per ciò che riguarda il servizio idrico (come ci ricorda un recente documento del Forum per l’Acqua), si verifica un aumento delle tariffe, una diminuzione degli investimenti, un aumento della dispersione delle reti, un calo della qualità del servizio e della stessa occupazione. E diminuisce la democrazia.
Non a caso, questo famigerato art. 6 contiene anche un riferimento alla possibilità di fare ricorso, in caso di inosservanza al diktat liberista, ai poteri sostitutivi dello Stato.

Eccoci, quindi, alla domanda iniziale. E’ chiaro che l’utilizzo dei fondi del PNRR (ricordiamolo: in gran parte a debito, non a fondo perduto) rappresenta, nelle intenzioni di chi lo propone una parentesi nel più generale percorso neo-liberista, da chiudersi non appena possibile. D’altra parte, l’idea che il precetto neo-liberista non preveda mai, in assoluto, l’intervento dello Stato non è corretta: anche negli anni del liberismo più sfrenato,

le imprese non hanno mai cessato di ricevere sovvenzioni statali, per lo più “a pioggia”, per non parlare dei miliardi spesi per il salvataggio delle banche.

Se il ddl Concorrenza dovesse passare, assisteremmo al tramonto del servizio pubblico locale per come è stato fin qui (malgrado i fieri colpi già ricevuti) concepito. La gestione comunale diretta verrebbe resa sempre più residuale, fino a scomparire definitivamente. L’idea stessa di “comune”, che affonda le sue radici in molti secoli addietro, ne risulterebbe morta e sepolta.

Sono già diversi i Consigli Comunali o di Città Metropolitana che hanno approvato Ordini del Giorno che chiedono lo stralcio dell’art. 6 del ddl concorrenza, determinando contraddizioni all’interno dello stesso PD, fra centro e periferia. E’ chiaro che questo, pur essendo assai significativo, non basta. Occorre portare i contenuti del ddl alla conoscenza di tutti e di tutte, per farne l’oggetto di una battaglia assai più estesa e coinvolgente, nell’ambito del più generale disvelamento di ciò che realmente rappresenta, nel Paese, l’azione del governo Draghi.

E’ un tema da inserire a pieno titolo, poiché riguarda la vita delle persone, all’interno degli obiettivi del prossimo Sciopero Generale, nel frattempo finalmente dichiarato da CGIL e UIL per il 16 dicembre, che può e deve diventare, a tale proposito, una grande occasione per la ripresa di un movimento e di una discussione fra i lavoratori e le lavoratrici, ma anche a livello diffuso, fra la più estesa cittadinanza popolare. Quello che si prospetta, dietro gli “osanna” riservati al demiurgo Draghi é un ritorno alle politiche neo-liberiste (peraltro mai del tutto abbandonate), in un quadro ancora più arretrato sotto tutti i punti di vista, compreso per ciò che riguarda l’aspetto della salvaguardia democratica, intesa nel suo senso più sostanziale.

Fausto Cristofari

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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