DEI DELITTI E DELLE PENE

Che ricercatori e dottorandi, nelle diverse discipline, possano concretamente contribuire ad alimentare un proficuo confronto dialettico, capace di produrre approfondimenti di merito ed elaborazioni teoriche foriere di interessanti sviluppi, è un dato certo.
Era con questo convincimento che, qualche giorno fa, mi accingevo alla lettura di un articolo (1) che, dal suo incipit, prometteva interessanti sviluppi.

Si trattava di alcune considerazioni, espresse da Riccardo Germano – giovane dottorando di ricerca in Diritto penale presso l’Università degli studi Milano-Bicocca – rispetto a quello che lui definisce “uno dei problemi strutturali del sistema penale italiano”.

In un paese in cui la pandemia da Covid-19, tra rinvii e sospensioni processuali, contribuisce non poco ad aumentare il numero delle pendenze penali, “un sistema sanzionatorio ancora monopolizzato dalla pena detentiva” finisce con il produrre, secondo l’autore “un ulteriore aggravio del sistema”.

Quando poi, come nel caso Italia, all’ univocità della pena detentiva quale unico deterrente al reato si aggiungono i mancati investimenti nella c.d. “edilizia carceraria”, il solo sistema efficace per attenuare la pressione carceraria è rappresentato da una serie di provvedimenti legislativi (2) tesi ad alleggerirne la prevedibile implosione.

Detto questo, Germano affrontava il problema relativo a coloro che definisce “condannati non paganti”. Quei soggetti che, pur condannati per reati commessi e accertati con sentenza definitiva, si sottraggono, con ogni mezzo, al pagamento delle pene pecuniarie loro comminate.

Ne consegue, quindi, che l’imposizione di origine penale, nei confronti di soggetti autori di condotte illecite, viene sostanzialmente disattesa; a differenza di quella prevista, per l’esercizio di attività economiche lecite, attraverso la normale imposizione fiscale.

Pertanto – preso atto (secondo il giovane dottorando) che l’attuale provvedimento della cosiddetta “libertà vigilata” non costituisce “un adeguato disincentivo all’inadempimento” – al fine di pervenire all’effettiva riscossione delle pene pecuniarie, si dovrebbe convertire l’obbligo economico in una non meglio specificata attività “dissuasiva, oltreché rieducativa”.

Contemporaneamente, Riccardo Germano auspica il superamento degli esiti prodotti da una vecchia sentenza (3) della Corte Costituzionale che dichiarò l’illegittimità della conversione della pena pecuniaria in detentiva.
Non meno importante, la questione relativa ai ricorsi in Corte di Cassazione.

Al riguardo, l’autore – nel rilevare che le sanzioni pecuniarie imposte alle parti private, per l’inammissibilità dei ricorsi (dichiarati tali in percentuale altissima), vengono raramente riscosse – propone di introdurre una sorta di “sistema di deposito cauzionale per la presentazione dei ricorsi in Corte di Cassazione; da trattenersi definitivamente in caso di inammissibilità degli stessi”.

Cosa dire?
Cominciando dalla seconda questione: nel condividere l’opportunità di tentare contenere la grande mole di ricorsi alla Corte – in gran parte avviati (forse) per rinviare l’esecutività di una sentenza – considero prioritario evitare di sacrificare, al rispetto di un obbligo di carattere economico, un “diritto alla difesa” che, a mio parere, va sempre e comunque esercitato. Regolarizzato al meglio, questo sì, ma non certo scoraggiato; se non, addirittura, impedito!

Al riguardo, appare sin troppo ovvio che la soluzione suggerita: “L’individuazione della pena (4) e della cauzione sulla base di stime reddituali”, finirebbe con il rappresentare, inevitabilmente, una misura di natura “classista”.

Molto meglio sarebbe, a mio parere – se veramente si ritiene che la misura della libertà vigilata non garantisce un adeguato disincentivo all’assolvimento dell’obbligo pecuniario – ricorrere a un altro tipo di scelta.

Non possiedo l’esperienza sufficiente ad indicare un’adeguata soluzione; il semplice buon senso mi suggerirebbe il ricorso a un sistema che prevedesse, come primo livello, l’assegnazione degl’inadempienti a lavori di utilità sociale e/o, comunque – anche ai livelli successivi – a pene alternative alla carcerazione.

Relativamente al primo problema sollevato dal giovanissimo dottorando, sono assolutamente contrario all’ipotesi di revisione della sentenza 131/1979 della Corte Costituzionale.

Non intendo, in questa sede, dilungarmi su questioni di merito rispetto al dettato costituzionale richiamato nella sentenza in oggetto, mi limito a rilevare la pesante contraddizione esistente tra la presa d’atto di una persistente “pressione carceraria” – nel senso del considerevole numero di soggetti condannati a pene detentive – e, contemporaneamente, la richiesta di rivedere una disposizione che, se abolita, produrrebbe danni inestimabili.

Infatti, la conversione della pena pecuniaria in detentiva, avrebbe l’inevitabile effetto di generare una vera e propria “esplosione” del numero della popolazione carceraria!

In questo senso, un sin troppo eloquente esempio, da non seguire, ci viene d’oltre Atlantico. Con l’istituto della “cauzione” – che non tutti sono in condizione di versare, se non, in alcuni casi, indebitandosi per tutta la vita – e con un sistema penale che, all’ininfluenza della proporzionalità tra “fatto” e pena (in particolare, in casi di recidiva) aggiunge “un’ottica (5) che cancella le cause sociali della violazione delle norme penali”.

Ne consegue che le carceri statunitensi sono sistematicamente “ingolfate”; in particolare, da neri e latini; ma, soprattutto, poveri (6).

In prospettiva, quindi, un’americanizzazione del nostro sistema penale; al pari di quello in atto (in modo subdolo) nella Sanità pubblica e nel Mercato del lavoro.

Una tentazione per niente attraente che conta, però, su supporter tanto poco noti quanto, al contrario, potenzialmente molto nocivi.

NOTE
1) Fonte: “Far pagare i condannati è una questione di giustizia”; pubblicato da www.lavoce.info in data 27 novembre 2020
2) Negli anni, in Italia, si è fatto ricorso a tutta la fantasia possibile per produrre provvedimenti di legge che, di là da qualsiasi tipo di definizione, consentissero – in sostanza – di alleggerire la pressione carceraria: dall’ indulto alle depenalizzazioni; dalle amnistie al più drastico “svuota carceri”
3) Sentenza nr. 131 del 16 nov3mbre 1979. Secondo la quale:” La conversione della pena pecuniaria in detentiva alla stregua della normativa vigente, finisce infatti per attuarsi soltanto a carico dei nullatenenti, dei soggetti cioè, costretti alla solitudine di una miseria che preclude anche ogni solidarietà economica e reca, perciò, l’impronta inconfondibile di una discriminazione basata sulle condizioni personali e sociali, la cui illegittimità è apertamente, letteralmente, proclamata dall’art. 3 della Carta Costituzionale.
4) Prevedere l’individuazione della pena – oltre che della cauzione – sulla base di stime reddituali, rappresenta (voglio sperare) un involontario lapsus!
5) Al fine di un eventuale approfondimento, consiglio la lettura de “Il terzo strike. La prigione in America”, di Elisabetta Grande; docente di Sistemi giuridici comparati presso l’Università degli studi del Piemonte Orientale
6) Fonte: “Il terzo strike”, di Elisabetta Grande; Sellerio editore Palermo

Renato Fioretti

Collaboratore redazione del mensile Lavoro e Salute

www.lavoroesalute.org

1/12/2020

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