Didattica a distanza: interlocuzione con i colleghi

Cari prof, concentriamoci sul nostro compito: essere la differenza per i ragazzi.
La DAD non deve essere un contenitore da riempire con schede e compiti. I ragazzi oggi hanno urgenza di essere sostenuti e rassicurati: Noi possiamo fare la differenza nel sostenere i ragazzi nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. Dopo la prima lezione, anziché fare monologhi di un’ora, ho organizzato dei micro gruppi, così che il tempo trascorso davanti ad uno schermo è un tempo dedicato. Come insegnante mi concentro sulla mia funzione primaria che è quella di aiutare, sostenere e accompagnare i ragazzi nel loro percorso di sviluppo personale, infondendo loro curiosità verso le cose della vita e fiducia nelle proprie capacità. Io insegnante che accolha gli alunni in classe o quella che compare tramite uno schermo al tempo del Coronavirus, devo sempre avere in mente che io/noi sono/siamo coloro che posso/possiamo fungere da differenziale di sviluppo, il che vuol dire che possiamo fare la differenza nel sostenere i ragazzi nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. E quello che stiamo vivendo.
In questi giorni i ragazzi hanno una paura tremenda, sono smarriti, in ansia, hanno perso i contatti con il loro gruppo, la loro routine è stavolta. Quello di cui hanno più urgenza è di essere sostenuti e rassicurati, non ulteriormente angosciati e terrorizzati dalla paura di rimanere indietro, che il computer non funzioni, che la connessione salti, che il compito non arrivi per tempo.
Ma cosa posso fare concretamente per aiutare i miei alunni, in un momento in cui non è possibile stargli vicino, fisicamente, in cui ogni forma di contatto e abbraccio è bandita? L’abbraccio non è solo fisico, ma anche psicologico, simbolico… Basti pensare che lo sguardo può abbracciare e la voce, con la sua intonazione, può fare altrettanto. Proviamo a immaginare la potenza emotiva di una frase pronunciata con la voce calda, rassicurante, famigliare ed empatica di un insegnate che dice “Lo so che sei preoccupato, lo sono anche io”. Con questo messaggio voglio dirgli che io ci tengo a lei/lui, che tu sei importante, e che non ti lascerò solo, perché insieme abbiamo iniziato un cammino di conoscenza e di sapere”. È una carezza per l’anima, balsamo su una ferita.
E nel frattempo, come si possono mandare avanti le attività e i programmi? Noi insegnanti non dobbiamo trasformare la didattica a distanza «in una sorta di diario tecnologico», pieno zeppo di compiti da fare o prestazioni da soddisfare. Lasciamo da parte i comandi di natura prettamente esecutiva, del tipo “Io ti do i compiti, tu li fai, me li mandi, io li correggo e ti do un voto”, perché altrimenti si amplifica un errore, già molto comune nella nostra scuola, che è quello di “ingozzare” gli alunni. Solo in minima parte lo possiamo fare, perché un po’ se lo aspettano, non di più.
E poi c’è poi un’altra cosa che potremmo fare noi insegnanti: invitarli a curare, ampliare l’aspetto narrativo dei loro interventi, affinché il dialogo con gli alunni sia davvero un dia-logos come lo intendevano i greci: non una parola che è monopolio di uno solo, ma una parola che acquista il suo significato nell’interazione e nello scambio tra insegnanti e i ragazzi. La metafora è quella del telefono senza fili: come in un telefono senza fili amplificato, gli insegnanti potrebbero, con maturità e consapevolezza, scegliere insieme agli studenti alcuni argomenti su cui ragionare e riflettere, preferendo quelli che favoriscano l’acquisizione di nuove esperienze e di nuove conoscenze anche in futuro. Questo processo di collaborazione e co-costruzione consentirebbe di intrecciare e includere le curiosità, gli interessi e le competenze di tutti i membri della classe. Affinché la somma di tanti “io” si trasformi in “noi” e nessuno sia lasciato da parte.
Non mi sentirei di incoraggiare un modello in cui l’insegnante fa il suo lungo monologo e poi interrompe le comunicazioni fino al giorno successivo. Così come, al contrario, non mi sentirei di suggerire che tutti gli alunni si connettano e dialoghino contemporaneamente per una/due ore. Sarebbe non solo molto confusionario, ma anche inefficace. Dal punto di vista pratico è più sensato se si creano dei micro gruppi, anche sul cellulare (che è un strumento comune in tutte le famiglie, al contrario di un pc) in cui l’insegnante, per una mezz’oretta, quarantacinque minuti, possa spiegare, dialogare e rispondere alla domande degli alunni. Facendo in modo che il tempo trascorso davanti ad uno schermo sia un tempo dedicato, non sprecato, non abusato, ma finalizzato alla co-costruzione di un sapere condiviso. Perché i rischi generati dall’uso sconsiderato della tecnologia non spariscono solo perché c’è il coronavirus.
Ci tengo ricordate una frase del celebre pedagogista sovietico Vygotskij: “Diventiamo noi stessi attraverso gli altri”. Ecco, questo pensiero deve ricordarci a noi insegnanti che con il nostro lavoro abbiamo delle enormi responsabilità ma anche immense potenzialità. Perché in ogni istante della nostra azione educativa noi stiamo lasciando un segno in una persona che sta costruendo non soltanto un bagaglio di nozioni e procedure, ma il proprio sé, la propria intelligenza, la struttura del suo pensiero, l’organizzazione del suo sentire e la percezione del proprio talento. Abbiamone cura con consapevolezza anche quando facciamo scuola tramite una webcam.

Marilena Pallareti

Insegnante Forlì

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

23/3/2020 http://www.lavoroesalute.org/

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