E adesso l’intervento pubblico
Dario Salvetti del collettivo di fabbrica Gkn spiega a che punto è la lotta per uscire dall’assedio e sostenere la «reindustrializzazione dal basso»
Con Dario Salvetti, del Collettivo di fabbrica ex Gkn, della Società di mutuo soccorso Insorgiamo (Soms Insorgiamo), facciamo il punto su una vertenza sempre più difficile e che ora rilancia ancora con la proposta dell’intervento pubblico. I licenziamenti, dichiarati a ottobre dall’azienda, sarebbero diventati definitivi il primo gennaio 2024. Ancora una volta il tribunale del lavoro ha dichiarato illegittimi i licenziamenti, con una causa per articolo 28 per condotta antisindacale. Davanti alla fabbrica si è prodotta una nuova mobilitazione il 31 dicembre, con 7.000 persone presenti. In teoria, ora, dovrebbe andare in discussione il piano sociale previsto dalla legge 234, che dovrebbe comprendere anche la discussione sulla reindustrializzazione. Ma ciò che è accaduto è tutto tranne che una trattativa: l’azienda ancora una volta non paga gli stipendi, con l’effetto evidente ancora una volta di far dimettere più persone possibili. Ancora una volta il Collettivo di Fabbrica prova a uscire da questo nuovo assedio, con la proposta di una campagna «per l’intervento pubblico, qui e ora».
Perché la vertenza ha bisogno dell’intervento pubblico adesso?
Ciò che è successo alla fabbrica di Campi Bisenzio, e non da oggi, è che la funzione imprenditoriale privata si è disconnessa dalla funzione produttiva: sospetti di speculazione finanziaria prima e di potenziale speculazione immobiliare oggi sono legittimi e crescenti. È un fatto specifico ma anche generale: è come sta avvenendo il processo di ridimensionamento dell’automotive in Italia, trasformando le fabbriche in carcasse o in finte reindustrializzazioni che però non arrivano mai a compimento, lautamente foraggiate da ammortizzatori sociali pubblici.
Abbiamo incalzato questo «vuoto» con il nostro progetto industriale: la reindustrializzazione dal basso, l’idea della fabbrica socialmente integrata, la riconversione ecologica radicale, con la creazione di un polo delle rinnovabili e della mobilità sostenibile e leggera. Abbiamo indicato alcuni strumenti per realizzarlo, con elementi di controllo operaio e sociale (la Soms e la protocooperativa, l’azionariato popolare). Ma questi strumenti non vogliono e non possono sostituirsi all’intervento pubblico. Cosa fare a Campi Bisenzio, così come nel resto dell’automotive, è una decisione politica.
Ma quali obiettivi persegue QF, l’attuale proprietà dell’ex Gkn?
La proprietà continua ad attaccare l’assemblea permanente, senza avere né un piano industriale né alcuna intenzione ad oggi se non quella di licenziare tutti e svuotare lo stabilimento. Ci attaccano insomma perché i nostri corpi sono l’unica cosa che si oppone realmente alla distruzione della capacità produttiva, in assenza di una prospettiva di reindustrializzazione reale. Che cosa è una fabbrica svuotata di vita e capacità produttiva se non un edificio per il mercato immobiliare? Non è un caso se loro parlano sempre di «stabilimento», e quasi mai di fabbrica. Gli stessi cambiamenti societari avvenuti suggeriscono che il profilo dell’operazione Qf sia sempre più di natura immobiliare.
Di intervento pubblico è pieno il mondo delle buone intenzioni. Si tratta di un’indicazione che a volte proviene anche dai governi, perfino quelli di destra. C’è bisogno di fare un chiarimento, immagino.
Noi siamo per l’intervento pubblico qui e ora ma non per l’intervento pubblico per come già esiste qui e ora. Al di là di ogni vulgata liberista, l’intervento statale nell’economia è presente e ampio: a finanziare gli interessi sul debito, le grandi opere inutili e nocive, socializzare le perdite, le spese militari. Si pensi agli interventi pubblici che ci sono stati all’Ilva, anche a Stellantis, la ex Fiat, garantita per anni da incentivi e recentemente anche da un prestito a garanzia pubblica di diversi miliardi. Ma la gestione delle crisi industriali attraverso incentivi alla rioccupazione, ammortizzatori sociali, capitalizzazioni a perdere, si pensi alla ex Alitalia, si è rivelata un enorme spreco di risorse pubbliche con effetti irrisori. Ribaltando totalmente la vulgata, l’intervento statale nell’economia oggi esiste, è ampio ed è puro assistenzialismo, spreco, inefficienza. Non assistenzialismo ai poveri, ma ai ricchi.
E invece cosa chiedete?
Non concepiamo la richiesta di intervento pubblico come una campagna di convincimento per smuovere qualche stanza dei bottoni. Così come già accaduto, siamo in grado – e laddove opportuno lo faremo – di presentare precise proposte di legge. Ma il tipo di intervento pubblico a cui ci richiamiamo non esiste e non può darsi senza controllo sociale diffuso, crescente, dal basso. La classe dirigente del nostro intervento pubblico si forma nelle mobilitazioni sociali, sindacali, politiche, nelle pratiche di autogestione, mutualistiche, di comunità. Non si tratta solo di stimolare lo stanziamento di capitale pubblico per fini sociali positivi – il che già di per sé non è poco – ma di contenderlo all’inefficienza, al boicottaggio, alla dispersione. Il grande capitale privato non ha interesse all’intervento pubblico se non in perdita.
Un intervento pubblico modellato su questa tipologia andrebbe esteso anche ad altre fabbriche, ad altre vertenze?
Gkn non è un modello, ma un esempio. E non è quindi detto che altre vertenze debbano seguire la stessa parabola. La fabbrica socialmente integrata è pubblica nel capitale, nelle finalità produttive, nella sua disponibilità al territorio con cui si collega attraverso la Società Operaia di Mutuo Soccorso. La richiesta di intervento pubblico ha quindi un punto di ricaduta su cui misurarsi qui e ora. Se Gkn cade, qualsiasi campagna per l’intervento pubblico torna a essere un elemento di «propaganda generica». Propaganda utile e legittima, per carità. Ma qua tutto il movimento ha la possibilità di confrontarsi con un esperimento vivo, reale: qua si spicca il volo o si cade. La riassumerei così: Gkn ha bisogno della spinta all’intervento pubblico per vincere, la richiesta di intervento pubblico ha bisogno di Gkn, e non solo, per uscire dall’astrazione.
Hai parlato di capitale pubblico già esistente, ti riferisci all’azionariato popolare? A che punto è la situazione, cosa avete raccolto e cosa può fare il movimento, ampio, di solidali che attorno a Gkn si è mobilitato?
Siamo a circa 650.000 euro di manifestazioni di interesse. Dobbiamo provare ad arrivare a un milione. Ma l’azionariato partirà solo se parte il piano industriale. Le assemblee di azionariato popolare devono diventare assemblee per l’intervento pubblico e viceversa. E devono moltiplicarsi, con l’urgenza di prevenire la sconfitta di Gkn, ma con la consapevolezza di dovere andare oltre. Si deve mettere a verifica una possibile mobilitazione per la primavera.
Se parliamo di intervento pubblico intendiamo anche un intervento ecologicamente qualificato e sostenibile?
Senza intervento pubblico non c’è solo la disfatta della Gkn, ma non c’è nemmeno la transizione ecologica e la riconversione delle aziende inquinanti. Né c’è alcuna possibilità di dismettere l’industria bellica e riconvertirla. Con un combinato di meccanismi – monopolio dei grandi gruppi, inerzia, massimizzazione del profitto, assenza di pianificazione ecc – il mercato è incapace di rispondere a logiche di pubblica utilità e di piano collettivo. Anche laddove sposa meccanismi di riconversione ecologica, lo fa parzialmente, tardivamente, in forma contraddittoria.
Gkn si è posta al centro di mobilitazioni molto ampie, insorgenza e convergenza l’avete definita. Che bilancio fate della «convergenza», quanto si può ancora fare?
Ci mostrino qualche lotta che resiste o produce cambiamento o immaginario collettivo senza convergenza. I rapporti di forza sono talmente schiaccianti che una lotta, anche solo per respirare, ha bisogno di occuparsi di una quantità enorme di piani di discussione, di problemi. Noi, ad esempio, lottiamo semplicemente per il posto di lavoro: per ricreare almeno 370 posti di lavoro nella fabbrica. Un tema «semplice» ma che se perseguito con coerenza trascina con sé l’intero spettro delle relazioni sociali, politiche, economiche. Ci pare che questa semplice verità sia oggi impantanata in un universo di frantumazione e autoreferenzialità. È come se l’intero processo di mobilitazione dimostrasse il bisogno della convergenza e un intero universo di soggettività politiche e sindacali provassero invece a dimostrare la propria autosufficienza.
Sull’intervento pubblico chiamate a una mobilitazione anche di intellettuali, personalità, eccetera? In che modo questa può materializzarsi?
Noi abbiamo la nostra idea di intervento pubblico. Se qualcuno ne ha altre, partecipi alla campagna, dica la sua, «contamini» questa proposta, questo spazio. Esistono una miriade di personalità intellettuali che da anni si battono per uscire dall’attuale enorme «socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti». Esistono poi le lotte contro le privatizzazioni o delle altre aziende in crisi. Chiediamo a ognuno di unirsi con le proprie idee a questa idea: intervento pubblico, qui e ora.
Salvatore Cannavò, già vicedirettore de Il Fatto quotidiano e direttore editoriale di Edizioni Alegre, è autore tra l’altro di Mutualismo, ritorno al futuro per la sinistra (Alegre) e Si fa presto a dire sinistra (Piemme). Dario Salvetti fa parte del Collettivo di fabbrica della Gkn di Campi Bisenzio.
29/2/2024 https://jacobinitalia.it
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