E’ ARRIVATO DRAGHI, L’”AUTOREVOLE” SALVATORE DELLA PATRIA

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Mario Draghi ha l’aurea dell’“autorevole” perché uomo di potere. Sguardo algido e impenetrabile, colto e gentile, riservato e di carattere, ha il suo fascino inquietante.
La fame tanto covata in questo paese dell’uomo forte viene dunque soddisfatta da questa personalità sobria e determinata. Dopo un mese di una crisi quasi surreale, dietro alla quale si sono agitate le ombre del mondo economico e finanziario nazionale, infastidite dalle contradditorie incertezze dell’ultimo Conte, Mattarella ha imposto in tacita armonia con Bruxelles, il governo del Super-tecnico, del potente della Finanza internazionale, col preciso mandato di aggiustare il Piano Nazionale di spesa del Recovery Found garantento l’Unione Europea sul rientro del debito pubblico italiano a rimborso di creditori e banche.

Draghi ha un curriculum impressionante che si allunga sinistramente sul possibile nostro futuro. Allievo di Federico Caffè, poi seguace di Beniamino Andreatta, Governatore della Banca d’Italia, poi presidente della BCE per 9 anni, è mondialmente famoso per aver salvato l’euro – che molti davano ormai per spacciato nel 2012 – con la sua famosa frase “Whatever it takes”. E’ anche stato uno dei maggiori protagonisti della campagna di privatizzazioni delle grandi strategiche imprese statali italiane negli anni ‘90 (Iri, Telecom, Enel, ecc.), finalizzata ad ridurre il debito dello Stato. In realtà il debito non è stato abbattuto e abbiamo fatto solo l’interesse delle imprese tedesche e francesi, trasformando il nostro sistema industriale in una pletora di piccole medie imprese senza più i grandi player. Il Super Mario è stato fautore con la lettera dell’estate del 2011 al governo Berlusconi dei terribili tagli poi attuati da Monti con la riforma Fornero e la Spending-review. Sulla Grecia Draghi è stato più spietato: dovendo far fuori un governo troppo di sinistra per il quadro europeo democristiano-liberista di allora, chiuse ogni spazio alle mediazoni.

I primi esordi di Draghi da ministro incaricato è sono stati indicativi del suo retropensiero: da una prima esternazione concentrata solo su imprese (fortemente indebitate) e banche (a rischio di crediti tossici) senza menzione sui licenziamenti del 31 marzo alla gaffe sulla perdita di tempo nella scuola per la DAD.

Immaginiamoci cosa possa fare un uomo del genere con questa impostazione.
Non un programma da sinistra sui “beni comuni”. Assenza probabile di statizzazioni. La Sanità rischierà di essere ulteriormente fagocitata dal privato; quella territoriale di finire in mano alle cooperative del Terzo Settore e alle Fondazioni Finanziarie che già oggi investono con grandi margini sul welfare privato, così come vanno facendo grandi player tedeschi, spagnoli, francesi e italiani (vedi la famiglia De Benedetti).

Il partenariato pubblico-privato rischia di farla da padrone nei grandi investimenti pubblici, favorendo la proliferazione delle concessioni private dei servizi pubblici. Immaginiamo cosa possa accadere con il partenariato nelle scuole, l’unica isola prevalentemente pubblica rimasta nel panorama statale. Nella Sanità abbiamo visto già visto con la costruzione di nuovi ospedali e reparti ultramoderni.

Con le riforme sul mercato del lavoro, sugli ammortizzatori sociali, sulle pensioni, sulla riforma della pubblica amministrazione rischia di calare un vento di privatizzazioni. Immaginiamo cosa possa fare Draghi quando Confindustria chiederà nuova libertà nei licenziamenti o la riduzione dell’uso degli ammortizzatori per non dare finanziamenti indiretti a imprese “poco competitive”. Oppure cosa risponderà alla richiesta di superamento di quota 100, alla idea di aumentare la gestione privatata del mercato del lavoro marginalizzando del tutto gli uffici per l’impiego, liberalizzando il ricorso al lavoro somministrato, ottimo strumento per le imprese per ridurre il “costo del lavoro”, riducendo il peso dell’Irap e aumentando la flessibilità.

Vedremo quanto il nostro Ulisse saprà resistere alle sirene culturamente a lui vicine.

Altro aspetto preoccupante portato da Draghi sono i cambiamenti politici.
La sua nomina ha segnato l’insufficienza della nuova classe politica della 18 legislatura. Un fatto sorprendente è che questo sia accaduto con un Parlamento fortemente rinnovato, con il più alto tasso di giovani e donne dal 1948 (l’età media alla Camera è 44 anni, al Senato 52 anni, nel paese è di 45 anni, la rappresentanza parlamentare femminile è del 35%, al di sopra della media europea del 29%).

E’ un riflesso della profonda e più generale crisi sociale, politica e culturale del paese che colpisce tutte le classi sociali. Se solo consideriamo che uno dei migliori politici di questa legislatura è il senatore Renzi, abbiamo detto tutto. Basterebbe sentirlo parlare di qualsiasi cosa per capire quanto la sua struttura ideologica sia instabile.

L’instabilità della 18 legislatura è stata segnata dalla mancanza di una maggioranza fra le tre grandi formazioni presenti (destra, sinistra e movimentisti) e da una diffusa inesperienza politica e amministrativa in gran parte dei parlamentari al primo debutto. Questo ha favorito ulteriori perdite di tempo col primo e secondo governo Conte, fino all’immobilismo dell’ultimo semestre, quando si doveva progettare un piano di rilancio del paese con i 209 miliardi provenienti dall’UE.

Immaturità e insufficienze dei partiti attuali si sono traformate in entusiastico sostegno, quasi incondizionato, a Draghi, con parziale abdicazione della politica al ruolo di sintesi e proposta.
La crisi di rappresentanza che blocca questa Repubblica fin dagli anni ottanta, ha avuto una nuova evoluzione, dopo le riforme antidemocratiche del sitema elettorale col superamento del proporzionale secco, nell’eutanasia dei partiti di fronte a Draghi in quanto Unto della Finanza.
Non siamo certo alla dittaura – non ci sono le classiche premesse illiberali- ma siamo a una sorta di commissariamento forzato e volontario allo stesso tempo. L’uomo come il “primus inter pares” mantiene la forma della democrazia repubblicana e delle sue regole, svuotandola dall’interno con il cucchiaio della propria autorevolezza, derivata dalla propria potenza di essere il maggiore e migliore rappresentante del potere supremo (la finanza internazionale). Questa sorta di potere autorevole potrà durare anche ben oltre l’incarico di primo ministro, nella forma presidenziale, se Mattarella si renderà disponibile.
E’ quindi la quarta volta nella storia repubblicana che un tecnico è chiamato a risolvere una grave crisi politica, avendo il Parlamento esaurito le proprie capacità di mediazione e scelta. L’attuale momento è più pesante per certi versi rispetto all’epoca di Ciampi e Dini ma meno drammatico di quando arrivò Monti.

Oggi la carta Draghi sposta il quadro a destra, verso gli imprenditori e le banche, lontano dalla maggioranza del paese. Vedremo dalla formazione dei ministeri se ricompariranno personaggi già conosciuti nei precedenti governi variamente neoliberisti, quelli che dal 2008, dall’esordio della crisi, hanno provveduto a seguire scolasticamente le lineee austeritarie suggerite dalla UE, attuando sforbiciate su pensioni, sanità, scuola, servizi sociali, enti locali.

Vedremo come il Salvatore attuerà un riordino fiscale nel rispetto della Costituzione, come garantirà una politica redistributiva toccando i grandi patrimoni occultati all’azione redistributiva pubblica, vedremo come l’evasione verrà abbattuta. Vedremo se ci sarà un piano nazionale del lavoro con assunzioni pubbliche che risponda alla crisi occupazionale generata dai fallimenti delle imprese e particolarmente di quelle individuali che pullano nel paese. Vedremo se precarietà e lavoro nero saranno cancellati col lavoro ben pagato e di qualità, grazie alla trasnsizione green (e alla riduzione dell’orario a parità di salario). Vedremo se sarà in grado di cambiare la strategia di questo paese, iniziando a guardare al Mediterraneo, al sud e non più a Berlino e al suo mercato sempre più arido, riducendo le diversità di benessere fra Nord e Sud. Vedremo se svilupperà bene il punto 5 del Recovery Plan che prevede coesione sociale e inclusione, declinandolo con un piano per l’occupazione di giovani, donne e immigrati. Vedremo se in fatto di diritti umani saprà piegare il Cairo ottenendo la liberazione di Zaki e la verità e giustizia su Regeni.

Vedremo se vi sarà accoglienza per i rifigiati e i richiedenti asilo malgrado Salvini, sempre pronto a provocare una crisi anticipata di questa strana maggioranza in via di coagulazione in cui la Lega non è più marginale. Per adesso

Draghi ha dispensato ragioni a tutti, da perfetto democristiano della prima Repubblica.

In ogni caso dei processi irreversibili di alterazione e riduzione del processo di decisionale democratico sono ormai innescati, laddove le assemblee elettive perdono ormai potere, anche volontariamente, per cederlo a qualcun’altro, sia Bruxelles, sia la Bce o sia il governo in carica. Prima è avvenuto con il Fiscal Compact, col pareggio di bilancio in Costituzione, oggi con il commissario.

L’augurio è che questa volta il paese che ha duramente sofferto questo anno di pandemia, dopo le sofferenze degli ultimi 12 anni di crisi, non subisca più in silenzio.
Si tratta ora di difendere l’essenziale, la nostra esistenza, la nostra vita e il futuro, magari non il nostro, ma di chi verrà dopo.

Marco Prina

CGIL Moncalieri (TO)

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di febbraio del mensile

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