Ecco la sanità nel Lazio

Il processo di ridimensionamento del SSR nel Lazio dura da più di 25 anni e vi hanno partecipato tutte le amministrazioni che si sono succedute, anche se con pesi e responsabilità diverse.

Una evidente accelerazione si è avuta con la Giunta Storace che nel 2002 ha venduto 56 Ospedali alla società Sanim, controllata dalla Regione Lazio, in quel processo denominato Cartolarizzazione, ossia liquidità immediata e debiti contratti in carico alle Giunte che si sarebbero succedute.

7 Ospedali furono riacquistati nel 2003 e 17 nel 2017. Per gli altri la Regione Lazio ancora paga l’affitto.

Dal 2005 siamo sotto piano di rientro e dal 2008 la Regione è commissariata.

Dal 2000 ad oggi sono stati chiusi o declassati a punti di primo intervento o a case della salute 14 PS pubblici fra cui un DEA di I livello (San Giacomo). Aperto solo 1 nuovo PS al Nuovo Ospedale dei Castelli.

La Regione ha fatto un accordo per l’apertura del DEA I livello al Campus Biomedico senza che questo sia stato previsto nel fabbisogno delle reti ospedaliere e dell’emergenza (DCA 257/17). I lavori di ristrutturazione del Policlinico Casilino sono stati pagati con soldi dell’edilizia sanitaria pubblica mentre era ancora corso dell’iter di accreditamento.

Dal 2011 16 ospedali chiusi o riconvertiti con conseguente riduzione dei posti letto ed i tagli hanno colpito certamente più il pubblico che il privato accreditato:

  • PL accreditati acuti 6447 (40%) post acuzie 3647 (95%)
  • PL pubblici acuti 9683 (60%) post acuzie 203 (5%)

Dal 2011 ad oggi sono state accreditate 120 strutture residenziali e semiresidenziali per la non autosufficienza e per le demenze (RSA per persone anziane e/o con disturbi cognitivo-comportamentali gravi non autosufficienti), 110 strutture per la riabilitazione estensiva e di mantenimento per persone con disabilità psichica, fisica o sensoriale, 30 Hospice per pazienti terminali, 25 strutture per le dipendenze patologiche e un’altra ventina in iter di autorizzazione/accreditamento. Per la neuropsichiartria siamo passati da 12 case di cura a 90 strutture residenziali e semiresidenziali accreditate. 35 centrali operative accreditate per l’Assistenza Domiciliare Integrata.

Quindi un SSR pesantemente condizionato dal privato accreditato che nel Lazio supera il 40% condizionando con il ricatto occupazionale e politico (si pensi al Gemelli, al Campus Biomedico, ai gruppi imprenditoriali privati sino a cooperative e multinazionali) le conniventi politiche regionali sia di centrodestra che di centrosinistra (la cartolarizzazione del debito e degli Ospedali Pubblici, la chiusura senza alcuna riconversione di presidi ospedalieri importanti come il Forlanini, in uno stato di incredibile degrado e abbandono, che non ha portato, come la chiusura del San Giacomo, sito in una zona centrale della città, a nuovi posti letto nelle immense e desolate periferie né al potenziamento del territorio).

La Regione Lazio e le Aziende Sanitarie sono state largamente attive in questi processi, complice una cultura gestionale caratterizzata da processi autoritari all’interno delle Aziende Sanitarie, incarnata dalla ormai anacronistica figura monocratica del Direttore Generale, scelto con il manuale Cancelli, tutta orientata al pareggio di bilancio, a obiettivi regionali spesso astratti, inefficaci e inefficienti, legati a determinanti sociali e culturali lontani dalle realtà quotidiane degli operatori chiamati a raggiungerli.

Vi è stato un graduale abbandono del territorio e delle Province, con lachiusura dei piccoli ospedali, al massimo trasformati in case della salute in assenza di alcun potenziamento dell’assistenza territoriale e con la desertificazione dei SERD e Consultori rimasti ovunque senza personale.

Il San Filippo Neri è stato declassato da AO a Presidio ASLcon perdita di eccellenze consolidate a tutto vantaggio del Gemelli.

Strutture sanitarie sono state abbandonate: S. Giacomo, Forlanini , S, Maria della pietà versano oggi in uno stato di grave abbandono ed appare necessario chiedere il loro recupero a fini pubblici e sanitari in un quadro di messa a norma, ristrutturazione e riconversione ecologica di tutto il patrimonio sanitario regionale.

Il piano di riconversione delle strutture pubbliche in attività residenziali o semiresidenziali non è stato mai attuato.

Stiamo assistendo ad uno spostamento in bilancio dalla voce “personale” alla voce “acquisizione di beni e servizi” (un falso in bilancio autorizzato) con estese esternalizzazioni non più solo nei servizi accessori quali mense e pulizie ma anche al core business (medici, infermieri, psicologi, ambulanze, assistenza domiciliare, informatica) con precarizzazione dei rapporti di lavoro (tempi determinati, COCOCO, consulenze, borse di studio, partite IVA, prestatori di mano d’opera). La forza lavoro viene svilita, mortificata e sottopagata). Le ASL diventano contenitori che dispensano denaro invece che soggetti erogatori di prestazioni e servizi, con sempre meno competenze per poter effettuare controlli adeguati.

La riduzione del personale, la riduzione dei posti letto, il precariato, le esternalizzazioni e gli accreditamenti configurano di fatto una privatizzazione dall’interno del SSN.

È evidente una relazione impropria pubblico privato e da qui la necessità dirivedere norme e criteri di accreditamento e rivendicare il ruolo della Regione come regolatore delle attività private accreditate, attività che devono essere complementari e non sostitutive al pubblico.

Il privato accreditato nel Lazio pesa troppo, nelle asl territoriali piu’ del 70% e a livello regionale il 50%

Con la Giunta Zingaretti abbiamo assistito alla nascita delle Mega ASL, ed in realtà si è trattato di vere e proprie annessioni più che di accorpamenti, il cui risultato percepibile, oltre un gigantismo amministrativo, gravi disfunzioni, evidente disorganizzazione e una burocrazia ipertrofica è il venir meno di ogni strategia democratica-partecipativa, con il potere sempre più lontano da operatori e cittadini, esattamente il percorso inverso rispetto al decentramento amministrativo sempre perseguito dalla sinistra.

I dipartimenti di prevenzione sono stati depauperati e negli ultimi anni il compito principale del poco personale di cui disponevano è stato tristemente quello di verificare la presenza nelle strutture private dei requisiti per l’accreditamento.

I nuovi LEA prevedono indicatori articolati in 3 macro aree, ospedaliera, territoriale-distrettuale e prevenzione ed il raggiungimento della sufficienza per le Regioni avverrà solo se ottenuta per ciascun macrolivello. Potrebbero esserci criticità per il Lazio soprattutto per quanto riguarda i servizi territoriali/distrettuali dove in alcuni ambiti il privato accreditato opera in regime di oligopolio

Breve analisi su come la Regione Lazio ha affrontato l’emergenza Covid-19

La Regione Lazio, ma potremo dire l’Italia tutta, non è stata particolarmente attenta ai problemi posti dalla diffusione delle malattie infettive ed è emerso chiaramente che il “Piano pandemico nazionale”, elaborato nel 2003 in occasione dell’influenza aviaria, fosse stato ovunque accantonato.

In poche settimane abbiamo assistito alla gravissima perdita di vite, ancora più eclatante quella di tanti operatori sanitari.

Oggi possiamo individuare le due maggiori criticità emerse nel corso della pandemia:

  • l’assenza di un filtro territoriale (cure primarie, medici di medicina generale, servizi di igiene pubblica) che identificasse i casi ed i contatti intervenendo a domicilio o inviando quando necessario in ospedale;
  • il collasso degli ospedali e le migliaia di decessi di anziani nelle RSA per scelte e comportamenti su cui indaga la magistratura.

In Lombardia, la Regione maggiormente colpita, a fronte di una mancanza ed una arretratezza della medicina territoriale, l’investimento si è mosso verso una medicina ospedaliera, con più del 70% del denaro della Regione destinato a ospedali privati convenzionati.

E il SSR del Lazio, sebbene in modo non dichiarato, non differisce poi così tanto

dal modello lombardo (non a caso il Direttore Generale della Sanità è Renato Botti, che in passato ha ricoperto lo stesso incarico in Piemonte, ha diretto la Fondazione San Raffaele ed è stato Direttore Generale dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia).

Vediamo nel dettaglio come la Regione Lazio ha affrontato la pandemia.

La Regione Lazio emana le prime “Indicazioni operative gestione e sorveglianza infezione Covid-19” il 14/2/2020.

Verrà privilegiato un largo utilizzo di strutture private accreditate anche in crisi (Columbus, Campo Biomedico, Villa Primavera, RSA, ecc.).

Saranno attivati di più di 200 posti Covid in strutture socio-sanitarie accreditate previa comunicazione di disponibilità da parte delle strutture stesse senza alcun atto amministrativo.

La scelta iniziale di fare pochi tamponi sarà dovuta sia alla scarsità reagenti che ad una lenta predisposizione di una rete di laboratori.

Il sistema informativo andrà incontro a difficoltà e lentezze.

In contrapposizione alle molte carte (ordinanze e note regionali) si assisterà ad uno scarso coordinamento ed emergeranno difformità di comportamenti tra ASL e ASL, ennesima dimostrazione che nel Lazio, a differenza di Veneto, ER e Toscana, la struttura centrale è debole e i Direttori Generali rispondono più alla corrente politica di riferimento che ad un governo di sistema.

Assisteremo ad uno spostamento tardivo della risposta sul territorio (Distretti, MMG/PLS) per non intasare gli ospedali, ma con pochissime risorse, vista la mortificazione dei servizi territoriali avvenuta negli ultimi lustri.

Le assunzioni annunciate si riveleranno insufficienti e in gran parte precarie.

Lavoreremo a lungo in carenza di DPI (“fare scorte” non è economicamente conveniente nella fondamentale concezione aziendalistica) e in mancanza di una adeguata formazione.

Constateremo la diffusa inadempienza delle normative vigenti sulla sicurezza sul lavoro (rischio biologico dal 1996) D.L. 81/08.

In conclusione, sulla base di quanto osservato, è lecito supporre che, se l’epidemia fosse dilagate nel Lazio in modo analogo a quanto avvenuto in Lombardia, gli esiti sarebbero stati altrettanto tragici.

Francesco Palmeggiani

Segretario regionale FP Medici e Dirigenti del SSN di Roma e Lazio

Pubblicato sul numero di luglio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020

1 Luglio 2020 – Pubblicato anche su transform-italia.it

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