Emigrati italiani. Chi sono, da dove partono e dove vanno?

Siamo talmente concentrati a parlare di immigrazione in Italia che a volte ci dimentichiamo degli emigrati italiani. Eppure il nostro è fondamentalmente un popolo di migranti: lo è stato nella storia e lo è anche oggi.

Facciamo due conti per capire meglio le dimensioni, la natura e l’evoluzione del fenomeno dell’emigrazione italiana.

Emigrati italiani: un po’ di storia

Per un panorama completo sulla storia delle migrazioni, che coinvolge anche tempi più antichi e altre popolazioni, potete leggere questo nostro articolo. Qui ci occupiamo di emigrati italiani nel periodo successivo all’unità d’Italia, un periodo che ci ha visti protagonisti del più grande esodo della storia moderna. Possiamo suddividere l’emigrazione italiana meno recente in quattro fasi temporali.

La prima, dal 1876 (prima rilevazione ufficiale) al 1900, è dovuta a fattori socio-economici, all’inizio era diretta prevalentemente verso Francia e Germania, poi verso Sud America e, in misura più ridotta, Nord America. Attraverso movimenti prevalentemente spontanei e clandestini, espatriarono, soprattutto dal nord Italia, circa 5,3 milioni di persone. Parliamo di una quota enorme della popolazione, che in quel periodo oscillava intorno ai 30 milioni di abitanti. In pratica oltre il 15% della popolazione.

La grande ondata di emigrati italiani proseguì dal 1900 al 1914. Questa seconda fase vede protagonisti soprattutti emigrati dal centro-sud Italia, espulsi dal settore agricolo e dalle aree rurali senza trovare alternativa in un settore industriale ancora traballante. Questa fase, definita la Grande Emigrazione, fu prevalentemente extraeuropea, anche se rimasero mete europee privilegiate la Francia e la Germania, a cui si aggiunse la Svizzera. Lo scoppio della prima Guerra Mondiale e la conseguente pericolosità degli spostamenti pose fine a questa fase, in cui lasciarono l’Italia oltre 9 milioni di persone, pari a un quarto della popolazione totale.

Tra le due guerre mondiali – Dal 1918 al 1939 – assistiamo a una fase di decrescita dell’emigrazione italiana per via delle restrizioni legislative adottate dagli Stati di approdo, per la crisi economica del ‘29 e per la politica restrittiva e anti-emigratoria perseguita dal fascismo. In questo periodo il decrescere dell’immigrazione extraeuropea portò all’aumento dei flussi europei, verso Francia (meta prediletta degli oppositori al regime) e Germania (dopo la firma del Patto d’acciaio). Si aggiunsero gli spostamenti verso l’Africa coloniale, grottesco tentativo di espansionismo imperiale. In questo ventennio emigrarono comunque 3,2 milioni persone.

Infine, la quarta fase è quella del dopoguerra: dal 1945 al 1970 – periodo di profondi cambiamenti economici, sociali e politici – i flussi migratori tornarono a essere particolarmente ingenti, soprattutto dal sud del paese. Principali mete transoceaniche furono America Latina e Australia, mentre in Europa si puntò in particolare verso Francia, Germania, Belgio e Svizzera. Gli emigrati italiani furono circa 7 milioni.

Il grande esodo che coinvolse l’Italia dall’unità d’Italia agli anni settanta del novecento vide quindi oltre 27 milioni di persone lasciare il paese, un numero esorbitante. Altro aspetto significativo fu il passaggio da un fenomeno piuttosto anarchico a una sua progressiva regolamentazione sia in entrata sia in uscita.

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Raffaello Gamboni – The Immigrants (Wikimedia.org)

I nostri connazionali migranti hanno spesso dovuto affrontare una realtà dura, caratterizzata da gravi problematiche igienico-sanitarie, sociali ed economiche, che si manifestavano fin dai porti d’imbarco delle grandi città italiane – come Genova, Palermo o Napoli – e li accompagnavano nei paesi di destinazione. Definiti

promiscua feccia sporca, sventurata, pigra, criminale dei bassifondi italiani

e spesso bollati come una “razza inferiore” o una stirpe di assassini e mafiosi, gli emigrati italiani “pelle oliva” hanno fatto i conti con pregiudizi, stereotipi e un’intolleranza dilagante, manifestata nei paesi d’arrivo non solo dai comuni cittadini e dalla stampa, ma anche da politici e autorità.

A completare il quadro c’erano i bassi salari, la ghettizzazione, le condizioni di lavoro e di vita precarie, unite alla difficoltà di comunicare a parenti e amici la propria condizione. Il desiderio di mostrarsi come coloro che “ce l’avevano fatta”, di non deludere le aspettative dei propri cari, di mantenere in piedi il mito di una terra promessa e di una rivalsa fuori dai confini nazionali, portava spesso gli espatriati a celare le reali condizioni in cui versavano e a farsi protagonisti di una narrazione trionfalista, che poco aveva a che vedere con la realtà.

Ma all’estero molti nostri connazionali hanno anche trovato fortuna, integrandosi all’interno dei contesti sociali, economici e culturali d’accoglienza e, se una quota consistente di essi nel tempo ha fatto ritorno in patria, un dato colossale è quello che riguarda i discendenti italiani nel mondo (oriundi): si stima siano tra 60 e 70 milioni. Un’altra Italia fuori dall’Italia.

Italiani all’estero: quanti e dove sono

L’emigrazione degli italiani all’estero è quindi una realtà consolidata con origini lontane. Secondo il rapporto dell’AIRE – Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (pdf), gli emigrati italiani nel mondo sono 5.288.281, una diffusione capillare con lieve prevalenza di donne, provenienti in particolare da Sicilia, Campania, Lombardia, Lazio e Veneto. Sono soprattutto in Europa (tre milioni) e America Latina. In particolare l’Argentina ha il primato assoluto per presenza di italiani all’estero, e qui abbiamo raccontato le storie di emigrati italiani in Argentina.

Attenzione però, parliamo però di presenze registrate e non di movimenti migratori veri e propri: i dati dell’AIRE vanno letti considerando che l’iscrizione è un diritto-dovere previsto non solo per coloro che lasciano l’Italia e si trasferiscono in un altro Stato per oltre 12 mesi, ma anche per i discendenti di italiani nati all’estero a cui è stata riconosciuta la cittadinanza, i quali potrebbero non essersi neanche mai recati in Italia.

Ciò spiega la grande presenza italiana in paesi che sono stati mete di emigrazione nel passato, seppure più della metà risulta iscritta per espatrio e quelle stesse mete continuano a essere anche oggi destinazioni particolarmente attrattive. Per restituire un quadro più completo i dati dell’AIRE vanno quindi associati ad altre fonti, nazionali ed estere.

emigrati italiani

Gli emigrati italiani di oggi

A partire dagli anni settanta da paese di emigrazione l’Italia diviene paese di immigrazione, seppure si conta ancora una media di 50 mila espatri all’anno sia verso mete nuove, sia verso quelle già battute.

Le partenze degli italiani tornano a crescere in particolare dal 2008, al sopraggiungere della crisi economica, dando avvio a quella che viene definita “Nuova Emigrazione”. Da quell’anno il numero medio di cancellazioni anagrafiche per l’estero (e quindi il numero di cittadini espatriati) aumenta costantemente, per raggiungere quota 1.260.000.

italiani all'estero

Parallelamente diminuiscono i rientri dei nostri connazionali e il saldo migratorio con l’estero si assottiglia: nel 2018 le iscrizioni sono state appena 175 mila in più rispetto alle cancellazioni, con pesanti ricadute demografiche e socio-economiche, determinate anche da altri fattori, in primis il numero di decessi superiore a quello delle nascite, che risultano le più basse dall’Unità d’Italia.

Gli emigrati italiani degli ultimi anni sono prevalentemente giovani (18-34 anni) e giovani adulti (35-49 anni), oltre la metà sono laureati. Partono soprattutto da Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Sicilia e Puglia, per raggiungere nell’ordine Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera, Spagna, Stati Uniti e Brasile. È però il Portogallo a registrare la crescita più significativa. Data l’enorme presenza di comunità italiane, anche l’America Latina continua a essere vista come una terra in cui è facile sentirsi a casa.

dove emigrano italiani

I numeri però sono molto probabilmente sottostimati, in quanto non tutti gli espatriati effettuano prontamente la cancellazione anagrafica e la registrazione nel paese d’arrivo. Lo ha dimostrato quanto successo nel 2016, quando il timore della Brexit ha portato molti italiani in realtà già presenti nel Regno Unito a registrarsi all’anagrafe locale, cosa che prima non avevano fatto.

Secondo una ricerca curata da due ricercatori italiani, i nuovi migranti hanno spesso un titolo di studio medio-alto e alimentano la cosiddetta “fuga dei cervelli”, ma diversi dati provenienti dai consolati dei paesi di destinazione mostrano anche la numerosità di persone con titoli di studio inferiori, che cercano lavori poco qualificati nelle città di tutta Europa.

In entrambi i casi, ci si sposta per cercare migliori condizioni lavorative e in particolare una maggiore remunerazione rispetto a quella riconosciuta in Italia. I lavori meno qualificati sono anche il mezzo di sostentamento per quei giovani qualificati che, almeno all’inizio, pianificano un’esperienza all’estero di breve-media durata, per migliorare le loro competenze linguistiche e mettersi alla prova in un contesto socio-culturale nuovo.

Nuove categorie di emigrati italiani

A lasciare l’Italia non sono solo i più giovani. Oltre agli spostamenti di singoli e intere famiglie con figli al seguito, assistiamo in questi anni all’emersione di nuove categorie di migranti:

I migranti maturi disoccupati: è la categoria che registra la crescita più importante, si tratta di ultracinquantenni che si spostano per far fronte alla precarietà lavorativa e all’assenza di prospettive in Italia. Devono sostenere economicamente la famiglia e sono ancora lontani dalla pensione, hanno quindi bisogno di accumulare gli anni di contributi mancanti per arrivarvi.

I migranti genitori-nonni ricongiunti: hanno un’età avanzata e seguono i propri figli e nipoti, spesso per facilitare la gestione familiare nel nuovo paese.

I migranti di rimbalzo: emigrati di ritorno, cioè persone che sono rientrate in Italia dopo essere state all’estero a lungo ma decidono di ripartire, spesso per bisogni familiari o perché l’esperienza di rientro ha deluso le loro aspettative.

I migranti previdenziali: uomini e donne in pensione che si spostano verso paesi in cui la vita costa meno rispetto all’Italia, per aumentare il proprio potere d’acquisto. La loro scelta non è però soltanto economica: sono particolarmente attratti dal clima e dal contesto socio-culturale dei luoghi in cui si trasferiscono.

Un quadro quindi quello degli emigrati italiani con una dimensione storica molto radicata, ma anche con una dinamicità che rende gli italiani tra i più grandi popoli migranti di ieri e di oggi.

Martina Masi

1/6/2020 https://www.lenius.it

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