Estrema destra: chi la combatte e chi la coccola

Articoli di Simonetta Fiori – con una nota dell’«Osservatorio sul fascismo a Roma» – e di Daniele Fulvi. A seguire link (a post di Jacopo Rosatelli, Martin Gak ecc) 

La storia riscritta in silenzio

ripreso da www.osservatoriosulfascismoaroma.org

L’Osservatorio: ci siamo sentiti soli per lungo tempo, assieme a pochi altri convinti antifascisti, interessati come noi a mantenere viva l’attenzione sulle evoluzioni di una destra estrema che merita, come essa stessa reclama, di essere chiamata esplicitamente fascista, se non addirittura nazista per le sue ulteriori virate.

Abbiamo vissuto il nostro antifascismo stretto tra due contraddizioni interne, la prima quella della sinistra istituzionale, convertita al revisionismo storico in nome di una interpretazione di democrazia intesa come casa di tutti, non solo perciò di chi ne ha fatto suoi i fondamenti, ma anche di chi, i fascisti, lavora al suo interno per causarne la distruzione. L’altra contraddizione appartiene a una parte della sinistra “sociale” che nell’ambizione di darsi una identità politica più complessa, ricade nel “vizio”, ormai centenario, di ritenere l’Antifascismo un argomento politicamente di retroguardia.

Mario Vattani, ambasciatore a Singapore

Esempio del primo caso, dell’auto-distruzione tafazziana della sinistra che rigetta le proprie storiche discriminanti politiche, lo abbiamo trovato nella difesa a oltranza da parte della vice-ministra agli Esteri, Sereni (PD), della infelice nomina come ambasciatore a Singapore del fascista conclamato Mario Vattani. Il secondo aspetto, quello della negata centralità dell’antifascismo diffusa oggi in una parte dell’antagonismo sociale, ha radici lontane, è stato il leit motiv di un secolo di sconfitte, dalle prime scissioni negli anni ’20 del 900 della sinistra italiana che rinunciava a fare fronte comune contro il fascismo arrembante, passando per gli anni ’70, quando anziché mobilitarsi per la “messa fuorilegge del MSI” c’era chi denunciava la poca incidenza politica dell’antifascismo militante, preferendo un innalzamento dello scontro a 360° a dimostrazione dell’esistenza di un movimento rivoluzionario.

Un vizio ancora presente ai giorni nostri, dove chi in Italia Settentrionale si è fatto promotore pochi anni fa di una raccolta di firme organizzate, per proporre una legge che sciogliesse le organizzazioni fasciste, si è imbattuto nel mancato sostegno di chi erede dei Resistenti avrebbe dovuto per primo farsi animatore dell’iniziativa, nel disinteresse delle cariche parlamentari, nella persona di eletti nei partiti della Sinistra radicale, che nulla hanno fatto per sostenere la raccolta-referendum , e in ultimo di chi a sinistra, dicendosi sfiduciato del sistema giudiziario (in parte a ragione) non ha aderito alla raccolta di firme, perché poi ,alla fine,”denunciare gli aggressori fascisti agli sbirri è da infami”. Ecco tutto questo, che non è frutto della bravura della destra, ma figlio dell’inconsistenza della sinistra, dei suoi particolarismi e soprattutto della sua estraniazione dalla realtà sociale, desta preoccupazione, nel momento in cui l’ago della bilancia del consenso elettorale sembra pendere a destra, dove i gruppi estremi, Forza Nuova e CasaPound, posti sotto l’egida di F.d.I sono impegnati nella cancellazione della parola “antifascismo” dal nostro vocabolario.

In questo scenario Simonetta Fiori su “La Repubblica” ripercorre antefatti e tappe della riscrittura in atto della storia contemporanea del nostro Paese, promossa in modo strisciante fino a qualche tempo fa, oggi diffusa platealmente da chi a destra è evidentemente convinto d’essere prossimo alla riscossa.

L’articolo ha un senso compiuto se riportato nella sua interezza e senza commenti, a prescindere dall’introduzione che vi abbiamo appena proposto.

La storia riscritta in silenzio

di Simonetta Fiori su “La Repubblica “ del 6 Luglio 2021

Dai nomi delle vie alle delibere comunali, dai consigli regionali alle ordinanze dei sindaci: così il revisionismo che rivaluta il fascismo si diffonde sotto traccia dal nord al sud del Paese

Piccoli smottamenti, cadute non sempre appariscenti, più spesso sotterranee. Ma messi insieme producono una slavina invisibile che travolge i capisaldi della storia contemporanea. Il disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia con l’equiparazione delle foibe all’Olocausto è solo la parte più scoperta di un fenomeno in rapida accelerazione che da Alessandria a Grosseto, da Dalmine a Vibo Valenzia, da Monfalcone a Lecce, dilaga in tutta la penisola rimbalzando di municipio in municipio, di borgo in borgo, lungo un’unica traiettoria disegnata dal nuovo revisionismo della destra.

La storia perde senso

Atti amministrativi comunali, risoluzioni di consigli regionali, delibere delle commissioni toponomastiche locali e il presenzialismo di sindaci e assessori a cerimonie per i martiri della Repubblica sociale. Alla periferia delle istituzioni pubbliche, là dove governano i partiti di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, si riscrive la storia del Novecento. E le distinzioni tra fascismo e  antifascismo, dittatura e libertà,  ideologia violenta e  tolleranza democratica rischiano di confondersi in una nuova memoria collettiva in cui “i morti non hanno colore politico” (copyright l’assessora veneta Elena Donazzan, Fratelli d’Italia), “i bimbi di Auschwitz e quelli delle foibe sono uguali” (copyright Salvini), e l’Almirante “fucilatore di partigiani” riacquista la sua verginità nell’immortale gesto di rendere omaggio a Berlinguer.

La storia perde senso, per adattarsi a una nuova narrativa edulcorata in cui i conti con il passato si risolvono nel comune lutto per la perdita umana.  Non valgono più le bussole della coscienza democratica, la differenza tra giusto e sbagliato, la consapevolezza che “dietro il più idealista dei militi delle Brigate nere c’erano le camere di tortura, i rastrellamenti e l’Olocausto” e dietro il partigiano più spietato “la lotta per una società più libera e pacifica”, come ci ricorda Italo Calvino in una pagina de I sentieri dei nidi di ragno. Il paradigma vittimario cancella le differenze. E dietro la bandiera della riconciliazione si nasconde spesso un revanscismo agguerrito che bilancia in un’equazione impossibile i martiri della Shoah e le vittime del comunismo: questi i morti tuoi, questi i morti miei, palla al centro e si riparte.

Il nuovo vocabolario della destra

E’ un revisionismo meno gridato rispetto a quello degli anni Novanta, quando bisognava cambiare le fondamenta costituzionali della “prima Repubblica” in nome dell’“anti-antifascismo”.  Ora di antifascismo non si parla più, sostituito nel nuovo vocabolario della destra dalla parola “antitotalitario”. E’ accaduto l’anno scorso a Vicenza, dove su proposta dell’assessore Giovine – lo stesso che produsse l’encomio sulle cose buone realizzate da Mussolini – è stata abolita la clausola dell’antifascismo per l’uso degli spazi pubblici, a favore di una pronuncia antitotalitaria: come a dire, il provvedimento vale per i nostalgici di Mussolini ma anche per voialtri che la menate con il partigianato, perché siete pur sempre eredi dei comunisti.  Una  mozione analoga è stata approvata a Dalmine, alle porte di Bergamo, municipio guidato da una maggioranza di centrodestra.  Sono sempre più numerosi i comuni che ricorrono al paradigma memoriale antitotalitario approvato dall’Europa, con la sua contestata omologazione tra nazismo e comunismo. Il consiglio comunale di Asti è arrivato a revocare la cittadinanza onoraria concessa nel 1924 a Mussolini soltanto in cambio dell’adozione dell’intera risoluzione europea, “con la conseguente erogazione dei finanziamenti soltanto alle ricerche di ispirazione antitotalitaria”, dice Mario Renosio dell’Istituto storico della Resistenza. Cosa significa concretamente in un paese in cui non è mai esistito un regime comunista? Uno studio sulla Brigata Garibaldi, storica formazione del partigianato rosso, potrebbe essere considerato politically uncorrect?

Vengono meno le distinzioni tra giusto e sbagliato, tra libertà e dittatura E i conti con il passato si confondono nel comune lutto per la perdita umana

Larma dellantitotalitarismo

L’equivoco è chiarito bene da Filippo Focardi, direttore scientifico dell’Istituto nazionale Parri (con la rete di tutti gli istituti locali)  e autore di un recente libro sui nuovi revisionismi (Nel cantiere della memoria. Fascismo Resistenza , Shoah, Foibe, Viella editore). “La risoIuzione europea è stata molto incoraggiata dai paesi dell’Europa orientale vissuti per decenni sotto i regimi comunisti e che oggi non hanno torto a rivendicare una maggiore considerazione per il carico di oppressione subita. Ma è inaccettabile la riduzione della complessa vicenda del comunismo internazionale a un’unica dimensione criminale. Il comunismo italiano ha avuto una storia diversa, contribuendo alla costruzione e alla difesa della democrazia nel nostro paese. Berlinguer non può essere equiparato a un aguzzino della Stasi e neppure alla terribile nomenclatura dell’Est”. Inaccettabile dunque la riscrittura della storia italiana che mette sullo stesso piano i nipotini di Mussolini con quelli di Gramsci. “Se dovessimo dare retta ai tanti comuni retti dalla destra che adottano il paradigma europeo, un gesto come quello del presidente Sarkozy che all’atto di insediamento lesse le ultime parole scritte da un partigiano comunista risulterebbe eversivo o terribilmente inappropriato. E stiamo parlando del presidente della destra repubblicana francese!”.

Lassessora allistruzione del Veneto ha celebrato gli artefici di stragi nazifasciste E ovunque nascono strade per Almirante, autore del manifesto della morte

Dalla parte di Salò

Donazzan & Meloni

Ma da noi una Droit repubblicana non c’è, o è ancora molto fragile. E se l’ondata neorevisionistica degli anni Novanta proponeva di abolire la festa del 25 aprile come anniversario troppo di parte, oggi la tendenza dell’attuale destra è celebrarlo: dalla parte dei camerati. E’ accaduto quest’anno in Veneto, dove l’assessora regionale Donazzan ha partecipato alla cerimonia in memoria dei militi del Corpo di Sicurezza Trentino, artefici di rastrellamenti, distruzioni e stragi al soldo dei nazisti. Criticata dal giornale dell’Anpi, Patria Indipendente, che vigila su questi smottamenti, l’esponente di Fratelli d’Italia ha replicato che tutti i morti meritano rispetto. Non contenta dell’omaggio nazifascista, ha poi ritenuto opportuno intonare ai microfoni della Zanzara le note di Faccetta nera, la canzone della colonizzazione fascista in Africa. L’assessora Donazzan guida in Veneto l’Istruzione. A Codevigo, nel padovano, tra aquile mussoliniane e stemmi littori è comparso il sindaco di Fratelli d’Italia, il quale poi si è giustificato: ho solo risposto sì a un invito.  A  Miane, nella provincia Treviso, il primo cittadino ha dovuto rinunciare all’ultimo istante a un’analoga cerimonia per i militi di Salò, fermato per tempo da una contromanifestazione dell’Anpi: un suo rappresentante era già pronto per la commemorazione in camicia nera.  A Gorizia l’acme è stato raggiunto nel 2019 quando una delegazione di reduci della X Mas è stata ricevuta in municipio, in un tripudio di gagliardetti e saluti romani. Il Covid, fortunatamente, ha sospeso il lugubre rituale.

La verità di Stato sulle foibe

Nella mappa della revisione storiografica, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia sono le regioni più spumeggianti, con una crescente produzione di risoluzioni consiliari che si concentrano sulla questione delle foibe. L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di condannare i negazionisti – ottimo proposito!  – se non fosse che nella categoria vengono incluse le più alte autorità scientifiche in materia, a cominciare da Raoul Pupo, bacchettato per la sua guida realizzata insieme all’Istituto storico della Resistenza di Trieste. La strada è quella tracciata nel 2019 dal consiglio regionale friulano, seguito quest’anno da quello veneto. Il criterio delle due risoluzioni è il medesimo: esiste sulle foibe una verità ufficiale che definisce entità del fenomeno (sciaguratamente ingigantito)  e sue caratteristiche (sotto la categoria di “pulizia etnica”). Chi si discosta dalla storia sancita per legge viene escluso dai finanziamenti. In realtà si è trattato di iniziative propagandistiche a cui non è seguita alcuna conseguenza pratica. In Friuli la distribuzione dei fondi è regolata da una legge voluta in articulo mortis dalla precedente giunta di cento-sinistra proprio per evitare le “schifezze di confine”, come le chiamano nella comunità scientifica. E, in Veneto, l’appello del consiglio regionale è rimasto finora inascoltato. Resta il valore simbolico di una campagna revanscista che utilizza le foibe in una chiave vittimistica per pareggiare i conti tra crimini del fascismo e crimini del comunismo.

Lultimo no a Liliana Segre è arrivato a giugno da Arzignano La sua memoria è ritenuta di parte” e deve essere bilanciata da memoria opposta

I no a Liliana Segre

In questa ossessione parificatrice si può arrivare a negare la cittadinanza a Liliana Segre perché testimone di Auschwitz e quindi espressione d’una memoria ritenuta assurdamente di parte, che deve essere bilanciata con la memoria di un crimine di segno politico opposto. Dopo Sesto San Giovanni,  Piombino (poi pentita)  e Gorizia, qualche settimana fa anche Arzignano nel Vicentino ha detto di no alla senatrice a vita: “La sua opera non è legata alla nostra comunità”, s’è giustificato il sindaco, rendendo ancora più grave il rifiuto. La variante del “no” consiste nell’accogliere l’omaggio a Segre, ma a condizione di bilanciarlo con l’omaggio a Giorgio Almirante. Ci ha provato lo scorso anno il comune di Verona: ma a far saltare l’improvvido gemellaggio è stata la stessa senatrice a vita che ha denunciato la sua incompatibilità con il segretario di redazione della Difesa della Razza. Allora la proposta di intestare una strada al leader missino fu opportunamente messa via, salvo rinascere poche settimane a Zevio: a venti chilometri dal centro storico di Verona è sorta via Almirante. Basta aspettare.

I nomi delle strade

Sbaglia chi liquida la guerra degli indirizzi come una battaglia da strapaese, sul genere dei romanzi di Guareschi. I nomi di strade e piazze rappresentano il nostro patrimonio civile, ciò che decidiamo di mantenere o di buttare via della nostra eredità culturale, come racconta Deirdre Mask nel suo bellissimo Le vie che orientano (Bollati Boringhieri).  Willy Brandt, futuro cancelliere della Germania Ovest, ricordava il giorno in cui i nazisti avevano preso il potere nella sua città natale. “A Lubecca il 20 marzo del 1933 molte persone vennero messe in custodia cautelare. Di lì a poco cominciarono a cambiare i nomi delle strade”.  I personaggi e gli eventi storici ricordati nelle segnaletiche rappresentano la storia in cui ci riconosciamo, o come direbbe Paul Ricoeur – evocato da Liza Candidi nell’introduzione – “un debito che significa nel presente”. Nei confronti di chi siamo debitori, secondo la destra postfscista e sovranista? Il primato dell’odonomastica appartiene ad Almirante, nel totale oblio delle sue responsabilità ne La difesa della razza e poi da capo di gabinetto nella Repubblica Sociale Italiana:  fu proprio lui a redigere il famigerato manifesto della morte che decretava la fucilazione immediata dei partigiani. L’avrai, camerata Almirante la via che pretendi da noi italiani è il profetico titolo ispirato a Piero Calamandrei scelto da Carlo Ricchini per il volume che ricostruisce quelle vicende (4 Punte edizioni). Ma le schede celebrative – come quella del comune Nicotera, in provincia di Vibo Valenzia – preferiscono ricordarne l’eroismo militare in Libia, i viaggi in terza classe e quell’omaggio a Berlinguer che lo consegna all’Olimpo dei savi. Al comune di Terracina – ma non è il solo – è venuta l’idea di proporre l’accoppiata toponomastica tra i due leader antagonisti, mentre a Lecce è stata adottata la singolare formula: al segretario missino una delle strade centrali, Berlinguer e Pertini confinati in periferia. E a proposito del presidente partigiano: poco prima della festa della Liberazione, quest’anno, ha dovuto sloggiare da una strada di Torano, in provincia di Rieti, per cedere il posto a Nazario Sauro, irredentista. E a Genova – città medaglia d’oro della Resistenza – il partigiano “Attila” Firpo è stato scalzato da Quattrocchi, mito locale di italianità.

Gli istituti storici della Resistenza sono sfrattati o commissariati In Umbria lIsuc ( Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea ) ha celebrato il 25 aprile con un gesto di amicizia tra partigiani e saloini

La Resistenza sfrattata o commissariata

Gli istituti storici della Resistenza osservano il fenomeno con inquietudine, anche perché sono stati i primi a subire tagli finanziari da parte delle amministrazioni di destra (non solo da loro, in verità) e in qualche caso un vero sfratto (a Sesto San Giovanni, a Lodi e a Grosseto). In Umbria, la regione che ha patrocinato la festa del libro con CasaPound, l’Isuc è stato commissariato. E il nuovo timoniere, di fede leghista, ha pensato bene di celebrare quest’anno il suo primo 25 aprile con una cerimonia di pacificazione tra partigiani e saloini: ricordare la vittoria dell’antifascismo deve essergli apparso scortese o troppo di parte. Sarà questa la nuova vulgata nazionale, in caso di vittoria politica delle destre?  Occorrerà porsi il problema, prima che sia troppo tardi.

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Se cade la pregiudiziale antifascista | di JACOPO ROSATELLI
Il governo Draghi è il primo nella storia repubblicana che esplicitamente nasce senza nemmeno una parvenza di pregiudiziale antifascista.

Una riflessione di Martin Gak (“Breivik e i suoi apostoli: a dieci anni dalla strage di Utoya”) sulla violenza assassina a cui abbiamo assistito a Utoya il 22 luglio 2011 e poi in decine di episodi simili. Secondo Gak si tratta di un “jihadismo ariano” che …

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A dieci anni dalle stragi di Oslo e Utøya, una parte dell’estrema destra globale considera Breivik – e i suoi emuli – come dei “martiri” di una nuova guerra santa.

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Indro Montanelli: un pessimo storico e un giornalista disonesto

di Daniele Fulvi

A vent’anni dalla sua morte è tempo di ammettere che Indro Montanelli non merita in alcun modo la fama bipartisan di cui gode. Con una costante e sistematica manipolazione di storia e cronaca Montanelli ha alterato la memoria storica del nostro Pese, contribuendo in maniera determinante a normalizzare l’ideologia fascista.

Nel luglio di vent’anni fa, all’età di 92 anni, moriva Indro Montanelli, figura di primo piano del giornalismo italiano del Novecento. Da molti considerato come un giornalista dalla schiena dritta, intransigente e fautore del libero pensiero, Montanelli stesso si era costruito questa fama definendosi una voce libera e poco incline a seguire gli ordini di un “editore-padrone”. Addirittura, si racconta che nel 1987 egli strinse la mano ai suoi aggressori brigatisti, dopo essere stato gambizzato. Tale fama sembra aver appannato il giudizio di molti suoi lettori e seguaci, e ancora oggi si fa fatica a discutere in maniera critica e razionale l’eredità dei suoi scritti e del suo pensiero. Pensiamo al dibattito più o meno recente sull’opportunità di rimuovere la statua commemorativa di Montanelli a Milano: tutti i maggiori partiti si sono schierati in difesa del monumento (da Di Maio a Sala, fino ad arrivare ovviamente a Salvini e Meloni), mentre chi ha provato ad avanzare critiche a Montanelli (e al montanellismo) è stato accusato di voler faziosamente criminalizzare la libertà di pensiero e di espressione – che in Montanelli troverebbe il suo più grande difensore.

Perciò, questo articolo si propone non tanto di fare un processo post-mortem al giornalista toscano. Al contrario, l’intento è quello di rendere onore al vero, mettendo in luce la reale portata del pensiero di Montanelli, ovvero mostrandone le incoerenze e smentendo le numerosissime falsità storiche su cui esso si basa. In un certo senso, questo articolo rende finalmente giustizia al montanellismo, riconoscendo senza mezzi termini quello che era il suo obiettivo fondamentale: la totale normalizzazione del fascismo – tramite la manipolazione di verità storiche e l’utilizzo di aneddoti e fallacie argomentative spacciate come buon senso. Quindi, qui non si forniranno punti di vista sulle varie polemiche intorno alla figura del giornalista, ma ci si limiterà a dimostrare come l’intero pensiero di Montanelli in ambito politico e sociale sia fondamentalmente inattendibile e ingannevole, e che egli non meriti la sconfinata fama di cui gode. Tutt’al più, si può considerarlo come un soldato che non ha mai smesso di combattere la sua battaglia per normalizzare il fascismo agli occhi degli italiani – battaglia nella quale ha regolarmente utilizzato armi quali disonestà intellettuale e alterazione dei fatti storici.

CONTINUA su https://micromegaedizioni.net/2021/07/16/indro-montanelli-un-pessimo-storico-e-un-giornalista-disonesto/

In “bottega” cfr Indro Montanelli, fascista (tra l’altro) e Breivik ha perso, vincendo

UNA NOTA SUGLI «ARDITI DEL POPOLO» E SUI «PROLETARI IN DIVISA»

Gli Arditi del Popolo erano un’organizzazione paramilitare antifascista di veterani ex militari della “Grande Guerra”, molti dei quali ex Arditi, fondata a Roma il 17 giugno 1921 dal reduce di guerra (ex tenente) e anarchico Argo Secondari. Nelle sue file anarchici, comunisti, socialisti. e anticapitalisti uniti per proteggere la popolazione dalla violenza squadrista dei Fasci italiani di combattimento. In “bottega” ne abbiamo scritto:Guido Picelli, «Gli arditi del popolo» di Luigi Balsamini e Antonio Cieri nella Parma del 1922.

Qui sotto un interessante ragionamento storico [trovato in rete].

I PROLETARI IN DIVISA: UN’ EREDITÀ DEGLI ARDITI DEL POPOLO 

di Eraldo Capitini

“Proletari in divisa si ribellano perché hanno capito che anche la caserma, come la prigione è un’arma del padrone” 

Pino Masi, «Prendiamoci la città» 

Nessun gruppo della Nuova Sinistra e, in generale, tra quelli nati ed affermatisi con e dopo la Contestazione, fece esplicito riferimento agli Arditi del popolo. Ormai le loro simbologie e le loro movenze si presentavano troppo ambiguabili. Il mito della Resistenza, e dell’Antifascismo ad essa associato, era stato inoltre tramandato essenzialmente dal Pci e da questo era stato assorbito anche dalla galassia marxista-leninista. A partire dagli inizi degli anni Settanta del Novecento, con il riorganizzarsi del neofascismo, si poneva però nuovamente il problema della difesa, unito a quello dell’offensiva rivoluzionaria, al tempo nell’ordine delle cose. 

Fu allora senza dubbio Lotta Continua ad attuare un riavvicinamento alla tradizione ardito-popolare. Lo fece innanzitutto sul piano simbolico, inserendo nella propria testata la foto della Barricata di via Nino Bixio, nella Parma del 1922. Ma c’è stato un aspetto fattivo e significativo più di ogni altro, vale a dire la fondazione dei Proletari in divisa (Pid) – nel quadro del programma politico e sociale Prendiamoci la città – riguardante i soldati di leva. All’epoca c’era da un lato il Pci che tentava di democratizzare dall’interno Esercito e Forze dell’ordine (si pensi al periodico destinato ai militari «Democrazia e Forze armate») dall’altro la Controcultura finalizzata a liberare l’individuo dagli obblighi di leva attraverso l’obiezione di coscienza. La sinistra rivoluzionaria, però, sentiva forte la necessità di organizzare i giovani superando rifiuti morali e i pregiudizi, nel nome della necessaria preparazione militare. Lotta continua ebbe fondamentalmente questa intuizione. Non basta organizzare l’operaio-massa, occorre coinvolgere le nuove figure presenti, in condizione temporanea o permanente che fosse, nel tessuto sociale, soprattutto urbano: i disoccupati, i detenuti, gli occupanti di case e, infine, i soldati di leva. Su questo impulso nacquero i Pid, a cui aderirono altre realtà dell’estrema sinistra, mentre altre ancora diedero vita a organizzazioni analoghe. 

I Pid svolsero un importante lavoro di controinformazione e agitazione nelle caserme. Li si vede nei cortei o nei festival con, appunto, la divisa dei corpi d’appartenenza ed i fazzoletti calati sul volto, per non rischiare ritorsioni al rientro in caserma. È stato questo lo scenario che più si è accostato agli Arditi del popolo nell’Italia del Dopoguerra, almeno sino al tutto sommato recente recupero della storia ardito-popolare.  

Con il riflusso anche l’esperienza Pid vide esaurirsi la proprio parabola. E nell’ambito della sinistra prevarrà il rifiuto morale della vita militare, sino all’abrogazione totale della leva obbligatoria, al crepuscolo del Secolo breve.

2/8/2021 https://www.labottegadelbarbieri.org

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