Gambero Italia

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Nella classifica dei sistemi sanitari più costosi, è ben noto che gli USA occupano stabilmente da decenni la posizione più alta, con una spesa sanitaria che rappresenta il 16,4%  del PIL e con una spesa sanitaria pro-capite di 8.713 dollari. I gradini più bassi del podio dei sistemi sanitari “ricchi” sono occupati da Svizzera (11,1% del PIL e 6,325 $ procapite) e Olanda(11,1% del PIL e 5,862 $ procapite). L’Italia, come si nota nelle Figure 1 e 2, è molto distanziata dai primi: 8,8% del PIL e 3.017 $ procapite.

Figura 1.  Spesa sanitaria pro-capite (dollari). 2013.  Paesi OCSE

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Figura 2. Spesa sanitaria come % del PIL.  2013. Paesi OCSE

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I motivi dell’eccessiva spesa sanitaria USA sono stati ampiamente studiati e si possono riassumere nei seguenti punti (vedi post La spesa sanitaria americana): la frammentazione del sistema in una miriade di assicurazioni e di provider; l’uso, spesso inappropriato,  di alte tecnologie;  l’eccessiva enfasi riposta sulle specialità e lo scarso ricorso ai servizi di cure primarie; gli alti prezzi dei farmaci e le alte tariffe delle prestazioni sanitarie; gli esorbitanti  costi delle attività amministrative; l’eccesso di morbosità nella popolazione USA (obesità, diabete, etc).  Svizzera eOlanda, che hanno il pregio, a differenza degli USA, di avere un sistema sanitario universalistico e solidale, condividono con la nazione a stelle e strisce alcune caratteristiche: un sistema assicurativo privato frammentato e altamente competitivo, un forte carico di attività amministrative (marketing compreso), l’ampio ricorso al pagamento a prestazione (fee-for-service) come metodo di remunerazione dei professionisti.

Va notato che tra i 10 paesi che, dopo gli USA, spendono di più per l’assistenza sanitaria in rapporto al PIL (oltre il 10%) ben 7 appartengono al modello Bismarck (sistemi universalistici basati su una molteplicità di assicurazioni private o sociali, a seconda dei paesi) – Svizzera, Olanda, Germania, Francia, Giappone, Belgio e Austria – e solo 3 al modello Beveridge (sistemi universalistici basati su un assicuratore unico e pubblico – single-payer) – Svezia, Danimarca e Canada -.

Per completare il quadro va infine osservato che complessivamente la maggioranza dei sistemi sanitari Beveridge – dall’Australia all’Islanda, dall’Italia al Regno Unito e all’Irlanda – si trovano nelle retrovie della classifica della spesa sanitaria rispetto al PIL, al di sotto della media OCSE. A conferma della tesi che i sistemi sanitari single-payer sono più economici e sostenibili di quelli basati sul mercato assicurativo, e anche con migliori risultati di salute, vedi speranza di vita alla nascita e mortalità evitabile (Figura 3).    

Figura 3. Indicatori di spesa sanitaria e di salute – Paesi selezionati – Anno 2012 – Fonte OCSE

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Single-Payer: Bernie Sanders vs Hillary Clinton

Inaspettatamente il tema del sistema sanitario single-payer ha fatto irruzione nella campagna elettorale americana, in particolare nelle elezioni primarie in campo democratico, che oppongono l’inossidabile Hillary Clinton all’outsider Bernie Sanders.  Quest’ultimo infatti sta conducendo una battaglia a favore di un’assicurazione sanitaria unica, single-payer appunto, magari estendendo a tutti i benefici di Medicare (l’attuale assicurazione pubblica a tutela della popolazione anziana), raccogliendo un alto consenso proprio su questo punto (Medicare for All) tra l’elettorato democratico (Figura 4).

Figura 4. Opinione dei Democratici su Medicare-for-All

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La rivista New England Journal of Medicine dedica un lungo articolo al rilancio del tema “single-payer” in sanità[1]. Un tema che è emerso più volte nella storia della politica sanitaria americana, e altrettante volte è stato affossato dall’invincibile armata della lobby delle assicurazioni. Per la prima volta subito dopo la seconda guerra mondiale, nel 1945, da parte del Presidente democratico Truman, poi negli anni 70 con la proposta del senatore Ted Kennedy, infine lo stesso Obama con la sua proposta di riforma sanitaria aveva previsto l’istituzione di un’assicurazione pubblica (public option) che sarebbe entrata in competizione con le assicurazioni pubbliche. Questo progetto fu affossato per la feroce opposizione della lobby assicurativa che influenzò non solo i parlamentari repubblicani (operazione scontata), ma anche una parte di quelli democratici (operazione meno scontata). Alla fine Obama, in minoranza, dovette rinunciare a quel progetto che la lobby assicurativa temeva più di ogni altra cosa, considerandolo una sorta di cavallo di troia, come l’anticamera di un sistema sanitario single-payer.

“In un paese dove circa 30 milioni di persone sono prive di assicurazione – si legge nell’articolo delNEJM -, dove le assicurazioni sono sempre più avare a causa dei crescenti livelli di franchigia e di co-pagamenti, dove anche i pazienti assicurati possono andare incontro a enormi spese e al rischio di bancarotta familiare, dove una miriade di assicurazioni e di differenti sistemi di pagamento genera una strabiliante complessità, e dove il denaro è speso più nell’amministrazione che nella cura delle malattie cardiache e nel cancro, non deve sorprendere di udire la richiesta di un cambiamento radicale.” Poiché Bernie Sanders mette di continuo a confronto il modello USA con quello single-payer canadese, l’autore aggiunge: “ Le lezioni che vengono dal sistema sanitario canadese sono tanto chiare, quanto poco considerate. Avere un’unica assicurazione governativa riduce enormemente i costi amministrativi e la complessità. Concentra il potere di acquisto riducendo i prezzi, consente un controllo di bilancio sulla spesa sanitaria e garantisce a tutti i residenti – indipendentemente dall’età, dallo stato di salute, dal reddito e dall’occupazione – una copertura per i servizi sanitari essenziali. Medicare (questo il nome dell’assicurazione pubblica canadese) non impone né franchigie, né ticket agli assistiti. L’esperienza canadese dimostra che  Il controllo della spesa non richiede la partecipazione alla spesa dei pazienti. Il sistema canadese non è certo perfetto. Come tutti i paesi deve fare i conti con le tensioni che riguardano i costi, l’accesso ai servizi e la qualità delle cure. Attualmente il Canada è alle prese con la pressione fiscale, le liste di attesa e le rimostranze del pubblico. Tutto ciò tuttavia impallidisce rispetto ai problemi degli USA.”

Contro “Medicare for All”, proposto da Bernie Sanders, si è schierato l’intero fronte anti single-payer, dalle assicurazioni all’industria biomedica, e alla fine anche Hillary Clinton, che dapprima si era dichiarata possibilista, si è schierata apertamente contro, dichiarando la proposta “unrealistic”.   Il cambiamento di rotta (la Clinton in passato era stata una sostenitrice del modello single-payer) è motivato, secondo alcuni, dalla massa di finanziamenti ricevuti da parte dell’industria sanitaria per la sua campagna elettorale (vedi Hillary Clinton single payer).

In Europa i sistemi sanitari single-payer sono nel mirino

In Europa il fronte anti-single-payer è in piena attività. Nel mirino ci sono finiti i sistemi universalistici, medello Beveridge, come quello spagnolo, britannico e italiano, cha hanno fortemente sofferto a causa delle politiche di austerità. Ma – come hanno scritto Martin McKee e David Stuckler[2] – la crisi è stata l’occasione, il pretesto per dare una spallata al sistema. Come è successo in Spagna, dove nell’aprile del 2012 con un decreto reale il sistema universalistico basato sulla fiscalità generale è stato sostituito con un sistema assicurativo[3]. Come sta succedendo in Inghilterra e in Italia. Si parte dal definanziamento del servizio pubblico, se ne riduce l’efficienza, si allungano le liste di attesa, si innalzano i ticket. Una crescente parte degli assistiti è costretta a pagare per ricevere una prestazione sanitaria, una parte rinuncia a curarsi, altri ancora si muniscono di un’assicurazione privata.

In Inghilterra la British Medical Association (BMA, che è anche proprietaria della rivista medicaBMJ) sta offrendo una polizza sanitaria privata al suo staff, suscitando la reazione scandalizzata di uno degli autori di punta della rivista, Des Spence, medico di famiglia di Glasgow. “Polizze sanitarie private sono offerte ai dipendenti da molte organizzazioni come il General Medical Council e il quotidiano The Guardian, storico difensore del NHS – scrive Des Spence. E non è accettabile la giustificazione che rivolgendosi al privato si riduce la pressione sul NHS, che può così dedicarsi ai ceti meno abbienti.  No: quando importanti istituzioni si allontanano dall’assistenza “standard” ciò mina le fondamenta del NHS. Solo chi ha influenza ha il potere di assicurare che le liste di attesa siano tenute sotto controllo e che il NHS debba rendere conto a tutti i cittadini. Ognuno deve avere l’interesse che il NHS è al lavoro per tutti.  Supportando la medicina privata, la BMA perde legittimazione e credibilità quando si pone in difesa del NHS. La medicina privata inoltre offre cure non necessarie, abusa nell’overdiagnosi, e non sottostà alla supervisione e al controllo del NHS. I medici che lavorano sia nel settore pubblico sia in quello privato sono in potenziale conflitto d’interessi nel mantenimento delle liste d’attesa. Ancora molti della destra politica (e, pare, anche The Guardian) sembrano ciechi su queste conseguenze. Come può la BMA sostenere la pratica privata?”[4].

Figura 5. Spesa sanitaria pubblica come % del PIL.  2013.  Paesi selezionati (+ Italia 2019 e Inghilterra 2020)

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La Figura 5 mostra il divario, o meglio l’abisso, che separa i sistemi sanitari single-payer (la Spagna non più..) da quelli basati sulle assicurazioni riguardo alla spesa sanitaria pubblica (quella cioè pagata da cittadini e imprese sotto forma di tasse o di contributi) come percentuale del PIL. Il divario, o meglio l’abisso, è di circa due punti % di PIL. Significa, ad esempio, che se l’Italia avesse la stessa percentuale della Francia la sua spesa sanitaria pubblica passerebbe dagli attuali 111 miliardi di euro agli oltre 130 miliardi di euro.

E la situazione è destinata a peggiorare. John Appleby del King’s Fund prevede per l’Inghilterra che la spesa sanitaria pubblica come % del PIL si riduca fino al 6,6% nel 2020[5]. La politica del gambero vale anche per l’Italia dove il recente Documento di Economia e Finanza ha stabilito che la la spesa sanitaria pubblica come % del PIL si riduca fino al 6,5% nel 2019[6].

Insomma, il fronte anti single-payer sembra averla vinta. Del resto bisognava preparare il campo – cioè svuotarlo da una forte presenza del settore sanitario pubblico – in vista della prossima approvazione del TTIP[7,8,9] (vedi Risorse), il trattato che consentirà lo sbarco in Europa dell’industria sanitaria e assicurativa americana.

Risorse

De Vogli R, Renzetti N. Il potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla salute pubblica [PDF: 220 Kb]. Epidemiologia e prevenzione doi: 10.19191/EP16.2.AD01.037

Bibliografia

  1. Oberlander  J. The Virtues and Vices of Single-Payer Health Care. N Engl J Med 2016; 374: 1401-1403.
  2. McKee M, Stuckler D. The assault on universalism. BMJ 2011; 343:1314-17.
  3. Garcia Rada A. New legislation transforms Spain’s health system from universal access to one based on employment. BMJ 2012; 344:e3196.
  4. Des Spence. The BMA and its staff’s private health cover. BMJ 2013, 347:f5199.
  5. Appleby J. How does NHS spending compare with health spending internationally? Kingsfund.org.uk, 20.01.2016
  6. DEF 2016: da una perfetta sintonia tra Stato e Regioni sempre meno risorse per la Sanità Pubblica. Comunicato stampa, 11 aprile 2016
  7. Stefano Guicciardi. TTIP e TISA: la salute in vendita. Saluteinternazionale.info, 18.03.2015
  8. Maciocco Gavino. TTIP e dintorni. Il liberismo in sanità: per chi suona la campana
    Saluteinternazionale.info, 29.10.2014
  9. Federico Vola e Sara Barsanti. La sanità e il TTIP (trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti). Saluteinternazionale.info, 24.10.2014

Gavino Maciocco

26/4/2016 www.saluteinternazionale.info

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