Gioia Tauro, portuali traditi dall’azienda e dallo Stato

Gioia Tauro, portuali traditi dall’azienda e dallo Stato

La vertenza contro il licenziamento di circa 400 lavoratori al porto di Gioia Tauro è lo specchio di una Italia le cui istituzioni sono viziate da subalternità ad un sistema economico capitalista multinazionale. Stiamo parlando di una evidente complicità dello Stato con le multinazionali che hanno voluto così ridurre di un terzo il personale dello scalo portuale gioiese, quello scalo che lo Stato ha voluto come sito per il trasbordo delle armi chimiche siriane motivandone la scelta con la preparazione ed efficienza del personale che qui lavora.

Prima di proseguire bisogna dire della posizione strategica di questo porto, uno dei più grandi d’Europa, ubicato nel cuore del Mediterraneo, una posizione strategica per cui il possedimento, nel corso dei secoli, ha prodotto diverse invasioni dell’Italia meridionale.

Sembra davvero molto strano che questo scalo lavori poco, così poco che 1200 lavoratori appaiano troppi e bisogna decurtarli ad 800 unità. Eppure il lavoro sembra diminuire davvero, ma il mancato sviluppo e investimento in questa infrastruttura e l’averla utilizzata esclusivamente per le tradizionali operazioni di transhipmet sembra suggerire di dover pensar male, e di dover ipotizzare che vi sia la possibilità che il fallimento sia una strategia commerciale che sta piegando diversi scali portuali italiani (una volta sogno e invidia di tutte le nazioni europee, nordafricane e mediorientali) a dispetto di altri scali del continente che registrano una certa crescita (sarebbe interessante verificare chi sono le diverse società che gestiscono i porti in Europa e chi sono le persone che le dirigono). Ma giungiamo alle complicità dello Stato in questo sfacelo che si è compiuto sulla pelle di centinaia di lavoratori.

Il panico seminato dai licenziamenti in arrivo è sfociata in una vertenza durata mesi e che ha visto portare la discussione su diversi tavoli istituzionali. Istituzioni che sin dal principio si sono dimostrate favorevoli al licenziamento: occorre ricordare, ad esempio, che il Presidente della Regione Calabria si era pronunciatodicendo di non capire perché i lavoratori si agitano tanto perché il licenziamento sarebbe stato un bene per loro e per lo sviluppo del porto. Un’affermazione, questa, che poggiava le basi su l’istituzione di una Agenzia del Lavoro (inventata all’uopo e che non sembra funzionare granché), finanziata dalle casse pubbliche e non dall’azienda, che per tre anni avrebbe pagato un emolumento ai licenziati con l’impegno, al bisogno, di chiamarli al lavoro, nonché di riformarli e reinserirli al lavoro in nuove infrastrutture che avrebbero potenziato lo scalo gioiese. Come se i calabresi credessero ancora a queste promesse di potenziamento infrastrutturale che vanno avanti sin dagli anni ’70 e mai realizzate. Ma il clou arriva con l’intervento del Ministro dei Trasporti, costretto ad occuparsi della situazione dopo alcune ore del blocco autostradale da parte dei portuali esasperati dalla mancanza di risposte da parte delle istituzioni pubbliche. Il Ministro, dopo una serie di tavoli che si concludevano con la speranza per i lavoratori che quello seguente fosse quello risolutivo, getta di colpo la spugna senza che nulla sia risolto: i licenziamenti scendono da 400 a 377 con la benedizione dei sindacati confederali che firmano l’accordo. Come se non bastasse, a distanza di qualche mese dal blocco autostradale, durato poco ore e conclusosi senza la commissione di atti delinquenziali e con la garanzia di transito per i mezzi di emergenza e delle persone sofferenti, arrivano ai lavoratori multe per qualche migliaia di euro o l’avviso di garanzia foriero di processo penale. E per quest’ultima cosa il Presidente della Repubblica non ha mai risposto alla richiesta di amnistia presentata da Rifondazione Comunista che ne ravvisava i presupposti nella stessa richiesta.

Lo Stato di Renzi e Gentiloni è complice del licenziamento e, come altrove, reprime ogni forma di dissenso. A Gioia Tauro lo Stato ha dimostrato non voler tutelare i propri figli e di renderli subalterni alle perfide logiche del capitale. Un fatto grave, specie perché registratosi in un territorio dove la Magistratura denuncia una forte presenza della criminalità organizzata che, la sociologia dimostra scientificamente, prolifera in zone dove lo Stato si dimostra assente o incapace di tutelare i diritti della popolazione, come quello del Lavoro sancito dalla Costituzione.

A Gioia Tauro si è ravvisata la necessità di riorganizzare le masse e di risvegliare il sentimento di solidarietà, perché se al porto, in Calabria, e in Italia, non basta uno sciopero di diversi giorni con l’adesione del 100% fra operai e colletti bianchi, l’intera popolazione lavoratrice deve fare causa comune per la difesa dei propri diritti.

Gioia Tauro insegna che oggi c’è bisogno di socialismo!

Gaetano Errigo

2/12/2017 www.lacittafutura.it

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