Gli alluvionati dell’Emilia-Romagna sono stati lasciati soli

Nelle zone colpite dall’alluvione molte famiglie sono ancora sfollate e anche quelle che sono rientrate nelle loro case ancora aspettano gli aiuti economici promessi dal governo

Èstato il vicino ad avvertirla che entro un’ora e mezza sarebbe arrivata la piena. “‘L’acqua salirà fino a un metro e mezzo da terra, dobbiamo avvisare subito tutti’, mi ha detto davanti al cancello di casa”, ricorda Franca Masironi, 62 anni, residente di Conselice, uno dei paesi dell’Emilia-Romagna più colpiti dall’alluvione di maggio. Masironi abita nella via principale della cittadina di novemila abitanti, in provincia di Ravenna.

“Questa casa è sfortunata”, scherza. “Durante il fascismo fu incendiata perché la famiglia di mio marito era antifascista, poi è stata danneggiata nell’alluvione del 1956 e nell’alluvione di maggio è stata una delle prime case ad allagarsi e una delle ultime a liberarsi dall’acqua e dal fango”.

Il 17 maggio – avvertiti dal vicino di casa, che è anche un impiegato del comune – Masironi e il marito hanno raccolto le loro cose, hanno spostato i mobili al primo piano e poi si sono trasferiti: prima a casa di una figlia, in un’altra zona della città, poi in serata hanno dovuto lasciare anche quel rifugio.

“Mio marito aveva bisogno di cure e l’ospedale di Lugo era irraggiungibile, quindi per qualche giorno ci siamo spostati a Marina di Ravenna, dalla nostra figlia più grande”, racconta.

Il ricordo più brutto sono le notti, dopo due settimane di piogge, passate con gli occhi spalancati, senza elettricità, aspettando la piena. “Il buio e la paura erano spaventosi”, ricorda. A un mese dall’alluvione, Masironi e la sua famiglia sono tornati a casa, sulle pareti è cominciata a venire fuori una patina grigiastra di muffa. Una sabbia sottile ricopre i pavimenti. “Più pulisco e più esce questa polvere, una sabbia”, racconta.

E poi c’è l’ odore disgustoso che sale dai tombini: “Ci dicono che ora l’acqua è potabile, ma noi non ci fidiamo, continuiamo a bere acqua in bottiglia. Ci sono zanzare e mosche come non ne avevamo viste mai, la natura si è ripresa tutto quello che l’uomo gli aveva tolto. Ora temiamo che questa situazione possa avere delle conseguenze anche per la nostra salute”.

E poi le porte di legno hanno cominciato a gonfiarsi: “Ma ora non ho i soldi per cambiarle, piuttosto le toglierò e farò senza”.

Senza rimborsi

Il marito è pensionato, prende novecento euro al mese. E ha problemi di salute. Franca Masironi, invece, da due anni è disoccupata: aveva un negozio di gastronomia che durante la pandemia ha dovuto chiudere. “Siamo rimasti davvero senza soldi e ora il governo ci offre dei sussidi per i danni che abbiamo ricevuto dalla piena. Ma per avere dei rimborsi, prima dobbiamo anticipare le spese. Famiglie come la mia non hanno più soldi da anticipare”, assicura Masironi, secondo cui le istituzioni non sono state abbastanza presenti nei territori che hanno avuto più danni. “Molto hanno fatto i volontari, ma per il resto, ci siamo sentiti abbandonati”, racconta.

Nell’alluvione che ha colpito le province di Bologna, Forlì, Cesena e Ravenna a maggio del 2023 i morti sono stati quindici, gli sfollati oltre 36mila e si stima che i danni siano di circa 8,8 miliardi di euro. Dal 1 al 18 maggio sono caduti su un’area di 16mila chilometri quadrati la quantità di acqua che di solito cade in sei mesi.

A più di un mese di distanza dal cataclisma, la situazione sembra essersi normalizzata. “Ma invece l’emergenza continua, sotto altre forme”, spiega Marco Fars delle Brigate di solidarietà attiva, un’organizzazione che ha raccolto e coordinato circa mille volontari, impegnati nelle attività di sostegno alla popolazione alluvionata fin dai primi giorni dell’emergenza.

“A Forlì per esempio ci sono dei condomini che hanno avuto dei danni gravi alle fognature e che hanno continuato ad allagarsi anche dopo l’alluvione”, racconta. Ma il problema principale riguarda chi sta rientrando nella sua casa, ma non ha soldi per ristrutturare: “Ci sono dei cittadini che non possono ricomprarsi mobili e utensili, hanno bisogno di due o tremila euro per rientrare in casa e per esempio attrezzare la cucina. Ma non hanno quei soldi e lo stato non sta facendo nulla per loro, quindi li stiamo aiutando come possiamo”, racconta Fars.

In un paese come Conselice, circa trecentocinquanta famiglie hanno chiesto aiuto alle Brigate di solidarietà per rientrare nelle loro case, oppure per compilare i moduli di richiesta dei contributi pubblici.

“La burocrazia è un problema a sé, non tutti sanno come scaricare questi moduli e compilarli. Stiamo fornendo l’aiuto legale ai cittadini, aprendo sportelli di consulenza, non è per niente semplice”. Ma per Fars le istituzioni stanno sottovalutando la portata dei danni materiali prodotti dall’alluvione.

“Al netto dei conflitti tra amministrazione regionale e governo centrale, mi sembra che ci sia in generale una sottovalutazione del problema. I danni che ho visto sono inusitati: l’acqua è arrivata fino al secondo piano delle abitazioni. C’è un tema sia di gravità dei danni, sia di estensione del territorio colpito nel triangolo Cesena, Forlì, Ravenna. È un’area enorme”, denuncia Fars. “Non c’è stato un intervento straordinario e rapido, che invece sarebbe necessario”, conclude. I comuni coinvolti dai dissesti sono stati cento, 23 fiumi e corsi d’acqua sono esondati, mentre altri tredici hanno superato il livello di allarme.

E poi ci sono state migliaia di frane: 376 le principali tra la collina e la montagna. Il 22 giugno il presidente di Confindustria Romagna Roberto Bozzi ha espresso il timore che molti imprenditori possano abbandonare la regione non sentendosi più protetti: “Le assicurazioni stanno pagando sicuramente tanti soldi alle imprese, ma è altrettanto vero che oggi come oggi, come era successo per il terremoto del 2012, bisogna riassicurare le aziende del territorio. Molti imprenditori tenteranno di scappare dall’Emilia-Romagna, perché non si sentono protetti”.

Nell’area colpita dall’alluvione ci sono 130mila imprese, che danno lavoro a 443mila persone. A subire i danni maggiori è stato però il settore agricolo: la Romagna produce il 30 per cento della frutta e della verdura del paese. Nel comparto agricolo 12mila le imprese hanno subìto danni per un totale di 1,1 miliardi tra le perdite di produzione, i terreni danneggiati e gli animali coinvolti dall’alluvione.

Rischio spopolamento

“A Conselice abbiamo fatto un intervento capillare, strada per strada, perché nei primi giorni dell’alluvione si pensava di dover trasferire tutta la popolazione”, racconta Raffaella Verdiani dello sportello legale Alterego. “Ma ora a distanza di più di un mese, le persone se ne stanno comunque andando, tanti stanno mettendo in vendita le case, perché dentro quelle case non è più possibile vivere”, continua Verdiani.

“Il governo pensa che l’emergenza sia finita, invece per noi è appena cominciata un’altra emergenza: sono chiusi i dormitori e la distribuzione dei pasti e le persone stanno rientrando nelle loro case in cui non ci sono mobili, non c’è l’allaccio all’elettricità e al gas, non ci sono elettrodomestici”, continua. I bisogni della popolazione sono tanti e c’è chi ha perso tutto. “Molti hanno perso le cucine, ma mancano anche i letti, le lenzuola”. Per fare fronte alla situazione il governo ha approvato un decreto, pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 1 giugno, che prevede lo stanziamento di 1,6 miliardi per sostenere i danni soprattutto alle imprese nelle zone alluvionate. Ma alcuni analisti hanno sottolineato che i fondi effettivamente stanziati sono stati di meno rispetto a quelli annunciati. Inoltre lo scontro tra la regione, amministrata dal centrosinistra, e il governo centrale, di centrodestra, sta ritardando la nomina del commissario straordinario per i danni dell’alluvione, che non è ancora avvenuta.

“A Conselice abbiamo messo su un ufficio legale, perché i moduli sono di diciassette pagine. E comunque i primi rimborsi non arriveranno prima di agosto, sarà un’estate difficile”, conferma l’operatrice legale.

Infine ci sono le ferite psicologiche: “All’inizio c’era una grande mobilitazione, cittadini e volontari si sono dati da fare per reagire all’emergenza. Ma oggi siamo in un’altra fase: quella della ricostruzione, in questo momento le energie calano e c’è un momento di tristezza, di paura del futuro”, spiega Arianna Cappelli, coordinatrice di Emergency.

L’ong è intervenuta in particolare a Faenza, ma anche in provincia di Ravenna, coordinando più di diecimila volontari a partire dal 20 maggio e ha aiutato circa duemila nuclei familiari.

“Siamo stati coinvolti nel coordinamento logistico della distribuzione dei beni di prima necessità casa per casa, è un servizio che stiamo ancora fornendo con due furgoni. Servono ancora molte cose: i cittadini che hanno perso tutto hanno bisogno di un supporto per acquistare i beni di prima necessità e i prodotti di pulizia”. Ma poi c’è anche un bisogno di supporto psicologico: “Molte persone realizzano solo adesso quello che gli è capitato e non dovrebbero essere lasciate da sole”.

Per Barbara della Casa delle donne di Ravenna, l’alluvione ha riaperto le vecchie ferite della pandemia: “Le persone hanno avuto paura e si sono sentite nello stesso stato di precarietà e incertezza, con la differenza che in quel caso il pericolo veniva anche nella casa”. Per questo la Casa delle donne ha provato a organizzare dei momenti di elaborazione collettiva: “Mancano completamente delle occasioni di elaborazione del trauma collettivo e la presa in carico delle ferite psicologiche delle persone”.

Annalisa Camilli

26/6/2023 https://www.internazionale.it/essenziale/

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