I DIRITTI CHE VOGLIAMO DALLA A ALLA Z…AN

Chi è cittadino di serie A non si vede rifiutare un nulla osta per sposarsi all’estero, nessuno gli impedisce di riconoscere il proprio figlio se lo vuole, non rischia la propria incolumità fisica quando esce in coppia. Il cittadino di serie A è maschio, è bianco, è eterosessuale, è cisgender, è fisicamente abile e magari pure alto, muscoloso e con un sacco di capelli. Anche se per essere un cittadino di serie A non c’è davvero bisogno di altezza, muscoli e capelli, basta essere, appunto, un maschio eterocis.

I cittadini di serie B sono tutti gli altri: i gay, le lesbiche, le etero, le persone disabili, bisessuali, pansessuali, migranti, transgender e transessuali… in pratica tutte le altre e tutti gli altri. Questi sono soggetti che il sessismo patriarcale, che fa da collante alla nostra società, intrappola e relega a soggetti dei cui corpi, dei cui diritti e della cui dignità il patriarcato dispone senza vergogna.

E così accade che in questo paese fratelli investono sorelle perché innamorate di un ragazzo trans, genitori picchiano e allontanano da casa figli omosessuali, donne di qualsiasi età non si possono fare una passeggiata di notte perché rischiano di subire molestie, persone transessuali fanno fatica a trovare un impiego – e come sappiamo, non solo loro: purtroppo, in base agli ultimi dati Istat, anche le donne cis sono rimaste disoccupate e dimenticate – a Sanremo viene presentata una canzone sulle teorie riparative che vince il secondo posto – ci riferiamo al 2009 quando Povia cantò Luca era gay –  e, secondo gli ultimi dati OCSE (2019) sul benessere e sviluppo sociale collettivo, l’Italia ha un punteggio da penna rossa nel grado di accettazione dell’omosessualità (solo 3 su 10, sotto la media europea). 

Questa ultima analisi OCSE ci fa rabbrividire. Le persone omosessuali non devono chiedere il permesso di esistere e nessuno può decidere se accettarle o meno. Eppure i dati peggiorano: la scarsa accettazione delle persone lgbtqia+ le espone a evidenti rischi di discriminazione, incluso sul mercato occupazionale laddove con lo stesso curriculum vitae, le persone lgbtqia+ hanno circa il 30% di probabilità in meno di essere chiamate per un colloquio di lavoro rispetto a quelle eterosessuali. 

Una fotografia efficace della situazione italiana per quanto riguarda diritti e discriminazioni delle persone lgbtqia+ ci viene fornita dalla Rainbow Map curata da Ilga Europe, che inserisce l’Italia nel 2020 al trentacinquesimo posto in Europa. Nello stesso anno l’agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali ha pubblicato la European LGBTI Survey 2020 (con dati relativi all’anno precedente).  

Basata sull’esperienza di 140mila persone da 35 paesi, quindi sulla percezione delle persone LGBTI, racconta di una comunità che non si sente sicura. Rispetto all’Italia il  62% del campione afferma di non dichiarare apertamente mai o quasi mai il proprio orientamento sessuale,  il 38% evita  di tenere per mano il o la partner in pubblico per paura di essere aggrediti o molestati. Inoltre il 41% del campione sostiene che negli ultimi 5 anni pregiudizi e intolleranza siano aumentati.

È in questo quadro desolante che la cultura dominante alimenta il pregiudizio, il pregiudizio diventa stigma e la persona con lo stigma diventa una preda: una preda come soggetto individuale e come soggetto politico. Come soggetto individuale, perché in un paese che ha sdoganato l’odio per il diverso chiunque pensa di essere in diritto di insultare una persona lgbtqia+, o disabile. Come soggetto politico, perché il legislatore fa propria la narrazione patriarcale dominante e quindi discrimina attivamente le persone lgbtqia+, le persone disabili, le donne tutte. 

Proprio quel legislatore che dovrebbe proteggere tutte le persone, anche quelle che continua a considerare di serie B. E tuttavia non può che essere la legge a dare alla preda le armi che le servono per difendersi dall’aguzzino patriarcale, perché ciò che auspichiamo è che lo Stato dichiari forte e chiaro: l’omolesbobitransfobia fa schifo, il sessismo fa schifo, l’handifobia fa schifo. 

Ma anche in questo caso la LGBTI Survey della FRA dell’Unione Europea è impietosa: il 92% del campione ritiene che il proprio Paese non si impegni per nulla o quasi per nulla «in una lotta efficace ed effettiva contro l’intolleranza e il pregiudizio».

Il 10 ottobre insieme a tant* ci siamo ritrovati in piazza della Scala per dire basta, Ora Basta!. Chiedevamo che fosse approvata la pdl Zan. Una proposta che nel suo percorso parlamentare è cresciuta, potremmo dire, in modo intersezionale. Nata per contrastare l’odio omolesbobitransfobico ha incluso poi il contrasto alla misoginia e all’abilismo. Adesso il pericolo è che, costituitosi il nuovo governo gattopardesco, la proposta, pur approvata alla Camera, venga dimenticata da tutti. Alcuni nomi tra i componenti del nuovo governo, tanto tra i “politici” che tra i “tecnici” non fanno presagire nulla di buono.

La difficoltà con cui la politica italiana, da sempre e comunque non da meno di vent’anni, affronta il problema della discriminazione intersezionale, a cominciare da quella verso le persone lgbtqia+, è segno di quanto questo paese è ancora guidato da una mentalità anni ‘50 che non ha capito il concetto di laicità dello Stato. Il dibattito pubblico sulla legge Zan prima della sua approvazione alla Camera si è incentrato sulla libertà di espressione in modo polemico e strumentale, facendo sviare l’attenzione rispetto alle misure sostanziali e le politiche attive che il disegno di legge introduce per rimuovere le discriminazioni di questi gruppi. Si è continuato a pretendere la libertà di insultare e agire con violenza su persone, senza focalizzare l’attenzione sul fatto che queste violenze in Italia esistono. Per fare un esempio, l’introduzione e il finanziamento di centri antidiscriminazione e case rifugio per le vittime di omolesbobitransfobia è un’ottima previsione, che rivela una triste verità: di queste case e di questi centri nel paese c’è proprio bisogno. 

Lo stesso Zan per convincere gli onorevoli colleghi della destra a usare il loro voto segreto bene, diceva loro che in altri paesi europei, a cominciare dalla Francia, le leggi contro l’omofobia oltre ad esistere da anni sono state promulgate da parlamenti liberali di centro destra. Da noi invece l’omofobia è sia di destra che di sinistra. Noi vediamo il dito e non la luna: ci limitiamo a lamentare l’assenza di libertà d’espressione in un paese dove si può dire, e si dice, di tutto. 

In quei contesti politici in cui non si può essere mica apertamente omofobi nel 2021, viene spesso tirata in ballo la questione che se ci sono crisi economiche non è il caso di perdere tempo con i diritti civili. A sinistra si fanno spesso differenze fra questioni civili e sociali, ma noi la differenza tra civile e sociale non la capiamo: una persona disabile che non trova lavoro ha un problema civile o sociale? Un ragazzo omosessuale che viene buttato fuori casa o è discriminato al lavoro ha un problema civile o sociale? Una donna costretta e rimanere a casa a occuparsi dei figli e degli anziani ha un problema civile o sociale? Una persona trans che non può permettersi i trattamenti cui ha diritto ha un problema civile o sociale?

E’ in questa dimensione – considerare i diritti come tali, senza etichette che fatalmente autorizzano una folle gara di priorità – che il ddl Zan mira a restituire dignità a una parte della popolazione. Rendendo punibili penalmente i comportamenti d’odio e promuovendo percorsi di tutela e emancipazione. Purtroppo, però, la politica di questa nuova ondata non mostra di vedere la tutela delle persone lgbtqia+, delle donne, dei disabili come una priorità.

Noi non ci arrendiamo. Continueremo a chiedere l’approvazione definitiva della pdl Zan, ma temiamo che sia davvero a rischio e non possiamo pensare di dover aspettare altri 20 anni prima che questo paese introduca leggi serie e misure concrete volte a rimuovere le discriminazioni. Per partire da noi -e insieme a diverse realtà associative lgbtqia+ dai territori- abbiamo iniziato dalla nostra Regione, chiedendo, con una campagna che contiene anche una petizione, che il Consiglio regionale discuta e approvi la proposta di legge Nanni sull’omolesbobitransfobia. Questa pdl non può chiaramente modificare il codice penale, ma prevede l’introduzione di politiche attive che promuovano la partecipazione delle persone lgbtqia+ alla vita collettiva: misure sul lavoro, sulla formazione, sulla scuola, sulla salute, sulla comunicazione, sulla cultura, e sulla difesa delle persone lgbtqia+ che vivono in Lombardia.

Che nessuno ci venga a dire che il paese ha altre priorità perché noi non siamo mai stat* una priorità per questo paese e il risultato è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono guardarlo. Le persone lgbtqia+, le donne, le persone disabili, hanno gli stessi obblighi dei cittadini di serie A ma non gli stessi diritti o le stesse opportunità. Non siamo bersagli, non siamo prede, non siamo accessori. Non vogliamo più pagare il prezzo di qualcosa che non abbiamo mai acquistato.

23/2/2021 https://www.intersezionale.com

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