I malesseri del neoliberismo verde

La grande ondata di proteste agricole che attraversa tutta l’Europa riflette l’enorme difficoltà di portare avanti la transizione ecologica nel settore restando ancorati ai diktat del sistema economico dominante. Quella che mostrano con evidenza i blocchi stradali dei trattori è una crisi capitalistica da manuale. L’industrializzazione e la modernizzazione, durante la seconda metà del XX secolo, hanno aumentato la produttività rurale e trasformato l’Europa in una potenza agricola che esportava le proprie eccedenze. Dall’inizio di questo secolo, però, quel modello è rimasto stagnante. E buona parte degli agricoltori europei vivono intrappolati in questa logica produttivistica: cercano di investire in macchinari più moderni senza ottenere aumenti significativi di produttività, intanto aumentano i loro debiti e le emissioni di anidride carbonica

o spettro di una rivolta contadina incombe sull’Europa. Nelle ultime settimane gli agricoltori hanno moltiplicato le “trattorate”, i blocchi stradali e altre azioni di protesta in numerosi Paesi europei. Germania, Francia, Polonia, Paesi Bassi, Romania, Italia… È lungo l’elenco degli Stati in cui si è verificato questo tipo di mobilitazioni, avvenute nei giorni scorsi anche in Spagna. Sebbene le proteste dei sindacati agricoli siano un classico, sorprende la loro rapida diffusione in tutta Europa. Un effetto valanga che mostra la dimensione strutturale del malessere nelle campagne.

“Si tratta di un movimento sociale di una portata che non vedevamo dalla crisi lattiero-casearia del 2009. Allora ci furono già grandi mobilitazioni”, ricorda Edouard Lynch, storico del mondo agricolo e professore all’università Lumière-Lyon 2, in una dichiarazione a El Salto. Dai media mainstream e da buona parte della classe politica – dal centro all’estrema destra – s’è imposta un’interpretazione parziale e interessata: si tratta di una lotta tra contadini e ambientalisti. “Mi sembra molto semplicistico dire che tutto ciò è dovuto alle normative ambientali”, afferma l’economista Maxime Combes. Più che un rifiuto della transizione verde del settore primario, questa indignazione è il frutto delle incoerenze del neoliberismo verde.

In realtà, il settore primario europeo sta attraversando una crisi capitalista da manuale. Agricoltori e allevatori muoiono di successo. L’industrializzazione e la modernizzazione, durante la seconda metà del XX secolo, hanno aumentato la produttività rurale e trasformato l’Europa in una potenza agricola che esportava le proprie eccedenze. Ma dall’inizio di questo secolo quel modello è rimasto stagnante. E buona parte degli agricoltori europei vivono intrappolati in questa logica produttivistica: cercano di investire in macchinari più moderni senza ottenere aumenti significativi di produttività, intanto aumentano i loro debiti e le emissioni di anidride carbonica.

La PAC è governata da criteri produttivistici e antisociali

A questo si aggiungono le incoerenze delle politiche pubbliche nel Vecchio Continente. Il settore riceve ingenti aiuti, soprattutto i 41,4 miliardi dalla Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea. Tuttavia, questi sussidi sono distribuiti in modo diseguale e con una logica (basata sul numero di ettari) che sta agli antipodi della giustizia sociale, oltre ad essere, quei sussidi, insufficienti a promuovere una transizione verde nel settore. Nel 2020, lo 0,5% delle più grandi aziende agricole europee ha ricevuto il 16,6% dei fondi PAC, con aiuti individuali superiori a 100mila euro, mentre il 75% delle piccole e medie aziende agricole ha ricevuto solo il 15%, con meno di 5.000 euro ciascuna.

Nonostante le considerevoli somme di denaro pubblico che riceve, il settore primario si distingue per la sua deregolamentazione. L’interventismo sui prezzi e sulle eccedenze, istituito con la creazione della PAC nel 1962 secondo criteri keynesiani – misura ispirata al New Deal di Franklin Delano Roosevelt – è andato scomparendo negli ultimi decenni di egemonia neoliberista. Inoltre, con la firma degli accordi di libero scambio, sono state eliminate le tariffe sui prodotti alimentari esteri.

Questa liberalizzazione ha danneggiato i produttori a vantaggio delle aziende alimentari e della grande distribuzione. Neanche i consumatori ne hanno tratto particolare beneficio. L’esempio del prezzo del latte in Francia è di una chiarezza cristallina. Nel 2001 i produttori venivano pagati 0,25 euro al litro, mentre nel 2022 il prezzo era sceso a 0,24. Negli ultimi due decenni, però, il prezzo di un litro in bottiglia nei supermercati è salito da 0,53 a 0,83. I margini dell’industria agroalimentare sono aumentati del 64% e quelli della grande distribuzione del 188%, secondo un recente studio della Fondation pour la Nature et l’Homme.

“Serve denaro pubblico” per la trasformazione ecologica

Il modello agricolo europeo poggia su basi tanto fragili quanto contraddittorie. Le sue incoerenze rendono difficile realizzare un’ambiziosa transizione verde, nonostante le promesse dei governi e della Commissione Europea al riguardo. “Gli Stati non danno per scontato che, se vogliono realizzare la trasformazione ecologica, devono investire più denaro pubblico”, dice Lynch, che ricorda che “la modernizzazione agricola dagli anni ’60 in poi è stata realizzata con grandi investimenti nazionali ed europei”.

Spinti quindi dalla modernizzazione del settore, gli aiuti pubblici sono diventati uno strumento di sopravvivenza per una professione tanto diseguale quanto precaria. Il reddito netto medio degli agricoltori in Francia è inferiore al salario minimo. Il 18% di loro vive al di sotto della soglia di povertà, una percentuale nettamente superiore al 13% del totale della popolazione attiva. “Ad eccezione dei grandi viticoltori e dei produttori di cereali, una parte significativa del mondo contadino non può vivere del proprio lavoro”, spiega Combes, buon conoscitore del settore primario e membro dell’AITEC, a proposito della situazione dell’agricoltura francese, che è non molto diversa da quello degli altri Paesi europei.

“Quando arrivo alla fine del mese, non ho più alcuna entrata netta. Vivo grazie allo stipendio di mia moglie”, riconosceva Yves, 58 anni, coltivatore di grano biologico intervistato da El Salto ad Agen, una cittadina nel sud-ovest della Francia dove dal 22 gennaio sono iniziati i blocchi stradali e le azioni di protesta quotidiane. “Hanno dato aiuti affinché potessimo fare agricoltura biologica, ma ora l’offerta è maggiore della domanda”, lamentava. La crisi del cibo biologico esemplifica i limiti del neoliberismo verde. L’elevata inflazione degli ultimi anni ha fatto calare la vendita di questi alimenti più costosi. Nel caso della Francia, la sua quota di mercato è scesa al 6%, la stessa percentuale degli Stati Uniti.
“Il messaggio che danno agli agricoltori è che soprattutto non dovrebbero convertirsi alle colture ecologiche, perché se lo facessero avrebbero grossi problemi”, avverte Aurélie Catallo, esperta di politiche agricole europee. I dirigenti “hanno dimenticato di promuovere un’evoluzione simultanea della domanda e dell’offerta” di alimenti biologici, aggiunge questa esperta dell’IDDRI, un laboratorio di idee di Parigi. Lei ricorda il caso di una legge approvata nel 2022 in Francia che stabiliva un minimo del 20% di questo tipo di cibo nelle mense statali (scuole, ospedali, amministrazione…), un obiettivo che, per il momento, si è rivelato impossibile da raggiungere.

Secondo Catallo, “il fatto che il sostegno della Pac continui a essere distribuito in base agli ettari impone la logica del produttivismo, ma non è possibile realizzare una transizione agroecologica producendo il massimo possibile. “Ai contadini non viene detto che non siamo più negli anni Settanta e che la sfida ora è una dieta più sana che rispetti l’ambiente”. Obiettivo che, al momento, è lontano dalla realtà. Il settore primario produce il 20% delle emissioni di CO2 della Francia, mentre la Spagna ha il triste privilegio di salire sul podio dei Paesi europei che utilizzano più pesticidi.

Prima neoliberista che verde

Sebbene l’attuale malcontento nelle campagne rifletta le incoerenze del neoliberismo verde e la difficoltà di realizzare una transizione ecologica se persiste il problema della bassa remunerazione dei contadini, la prima reazione della classe dirigente a queste proteste rurali è stata prevedibile: se devono scegliere tra il neoliberismo e l’ecologia, scelgano il neoliberismo.

“Faremo in modo che gli interventi sul clima facciano rima con la crescita”, ha detto la settimana scorsa il primo ministro francese Gabriel Attal durante il suo discorso di politica generale. Nonostante la sua giovinezza – a 34 anni è il capo del governo più giovane della storia della Quinta Repubblica – Attal ha fornito una risposta alla rabbia delle campagne che rappresenta un viaggio nel passato. Le concessioni fatte ai due principali sindacati agricoli – difensori incondizionati dell’agricoltura industriale a differenza di altre organizzazioni, come la Confédération Paysanne, che continuano con le proteste – hanno lasciato che l’agricoltura biologica fosse il grande sacrificato.

Per prima cosa, il governo di Emmanuel Macron e Attal ha rinunciato alla progressiva eliminazione del sussidio fiscale per il diesel rurale. Poi ha sospeso l’applicazione di un piano di riduzione dell’uso di pesticidi, promosso nel 2008 dal conservatore Nicolas Sarkozy, che finora aveva prodotto pochissimi risultati. Ha anche convinto la Commissione Europea ad abrogare il 4% di terreni incolti come uno dei pochi criteri ambientali nella ripartizione della PAC. Con meno concessioni che in Francia, anche l’esecutivo tedesco di Olaf Scholz ha ceduto alle rivendicazioni produttivistiche dei principali sindacati agricoli. In Germania, il sussidio per il carburante rurale non verrà applicato quest’anno, ma progressivamente.

“Il grosso problema è il Green Deal e la sua visione chiaramente basata sulla decrescita, perché questo ci farà ridurre la nostra produzione in un momento in cui le importazioni non smettono di aumentare”, ha detto a fine gennaio il presidente della FNSEA – la principale organizzazione agricola in Francia -, Arnaud Rousseau, noto per possedere più di 700 ettari e per avere interessi che sono opposti a quelli dei piccoli e medi agricoltori. Il quadro discorsivo auspicato dall’estrema destra, la campagna contro l’ecologia, non solo è stato accettato da una parte dei sindacati agricoli, ma anche dai partiti e dai media mainstream.

Il rifiuto del Mercosur, una posizione elettorale?

Tutto questo è stato poi accompagnato da una certa dose di banale nazionalismo – dalla difesa, da parte di Pedro Sánchez, il capo socialista del governo di Madrid dell’“imbattibile” pomodoro spagnolo fino alla promessa di Attal di promuovere una legge sulla “sovranità alimentare” – per rispondere all’indignazione rurale. Sebbene frenare il commercio globale e dare priorità alla produzione locale sia un’opzione difesa sia dai sindacati agricoli di destra che di sinistra, le dichiarazioni delle ultime settimane rischiano di rimanere semplici parole.

“La Francia non accetterà in alcun modo questo trattato”, ha detto Attal la settimana scorsa, riferendosi all’accordo di libero scambio che l’Unione Europea sta negoziando con il Mercosur (cioè con i principali paesi dell’America Latina). Malgrado questa dimostrazione di fermezza nei discorsi, le ONG temono che si tratti di una posizione di pura facciata, soprattutto in vista delle elezioni europee del 9 giugno in cui l’estrema destra minaccia ancora una volta di trarre vantaggio elettorale dalla rabbia delle campagne.

Sebbene Macron avesse già espresso il suo rifiuto del trattato con il Mercosur nel 2019, infatti, l’accordo ha continuato a essere negoziato.Già nel 2021 il governo francese aveva dato segnali che avrebbe finito per accettarlo. “L’UE è bloccata da enormi contraddizioni ed è disposta a danneggiare l’agricoltura pur di favorire le esportazioni industriali e di servizi”, dice Combes, che cita altri accordi di libero scambio (Cile, Kenya o Nuova Zelanda) recentemente adottati. “Tutto questo fa crescere la sensazione che possa essere proprio l’agricoltura a essere sacrificata”, conclude.

Enric Bonet

6/2/2024 https://comune-info.net/

Fonte e versione originale: El Salto

Foto: Katell Ar Gow (CC BY-NC)

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