IGNORANTI O INCONSAPEVOLI?

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Secondo un’analisi sviluppata dal 2014 al 2017 da Ipsos, la terza più grande compagnia globale attiva nelle ricerche di mercato, è l’Italia il Paese più ignorante al mondo, pare che non abbiamo la più pallida idea della realtà dei fatti che ci circonda e le nostre percezioni sono le più lontane dai fatti rispetto a quelle degli altri 12 Paesi analizzati con 28 domande e 50mila interviste.

Pare, con tutte le ovvie perplessità che possono suscitare inchieste condotte su un numero ridotto, sia questo il nostro stato cognitivo e deduttivo sulle nostre condizioni di vita, di lavoro e di approccio al sistema politico e comunicativo che ci governa. ragionandoci un po’ su questo risultato, senza atteggiamenti di derisione o di sufficienza, ci sono tutti i presupposti per una seria riflessione che ci permetta di certificare o meno se questa inchiesta ci fotografa obbiettivamente, meglio di qualunque selfie autoreferenziale. Una riflessione che ci dovrebbe portare a una domanda propedeutica a una risposta univoca: siamo ignoranti o inconsapevoli?

Tenendo conto che la stragrande maggior parte di noi è spesso incoerente verso gli altri, come verso noi stessi, può capitare, anche in questo caso di riflessione del nostro stato cognitivo e deduttivo, che  non ci si renda conto della proprio stato, e non riusciamo a leggere per definire i comportamenti in merito alle percezioni che comunque viviamo, spesso archiviandole come attimi insignificanti, mentre rappresentano la finestra su un modo che cambia a prescindere dalla nostra presenza, e cambia ridisegnandoci ruoli e funzioni nella situazione oggettiva nella quale stiamo vivendo ma che ignoriamo, spesso con sudditanza consapevole , ma che subiamo. Ad esempio, chi è consapevole del progressivo impoverimento delle classi lavoratrici, dipendenti, pensionati, piccoli artigiani, commercianti, e autonomi; dell’affossamento dell’istruzione a qualsiasi livello, della sparizione graduale della sanità pubblica? Certo ci sarà molta consapevolezza degli effetti di questo terremoto nelle fondamenta della convivenza civile ma, purtroppo, ne ignoriamo volutamente le cause vivacchiando nelle macerie di un’Italia sempre più trasformata in agglomerato di baracche come rifugio da difendere contro altri che stanno peggio di noi e che consideriamo nemici da abbattere prima che rubino il tozzo di pane rappreso nella dispensa.

Qualcuno li legge i dati sulla povertà? sono micidiali eppure questo governo eletto (consapevolmente?) a furor di popolo ci regalerà la Flat-Tax, cioè la diminuzione delle tasse ai ricchi che non significa altro che un nuovo gigantesco incremento delle drammatiche disuguaglianze esistenti in Italia da decenni.

Ignoriamo che la povertà assoluta ha colpito nel 2017 quasi 6 milioni di persone e quella relativa quasi 10 milioni?

Nel mentre, come dimostra Bankitalia, le dieci famiglie più ricche che nel 2006 avevano una ricchezza pari a quella di 14 milioni di persone, dieci anni dopo ce l’hanno pari a 18 milioni di persone.

L’Italia di tanti anni fa, quando non arrivavano i barconi degli immigrati , e nessun italiano ammazzava nessuno perchè di altro colore? Certo, anche se lo faceva si preoccupava di farlo sparire sciogliendolo nell’acido o rinforzando i piloni per l’edilizia.

Quando nessun italiano stuprava nessuno, e se una donna veniva stuprata  aveva comunque la fortuna di essere obbligata a sposare il suo stupratore con il matrimonio riparatore altrimenti tu stuprata dovevi vergognarti che se noi italiani lo sapevamo ti trattavamo come puttana, seppur costretta.

E come non ricordare quando non c’era l’allarme terrorismo (sempre solo allarme di terrorismo islamico anche se non hanno fatto scoppiare nemmeno un petardo!) e tanti italiani neri (di testa politica e funzionari dei servizi segreti dello Stato) per anni hanno fatto saltare per aria centinaia di innocenti, bambini, vecchi, donne, tutti, piazzando bombe nelle piazze, nelle banche, nei treni ad agosto, o magari in autostrada.

E che diciamo dell’emozione che ci regalavano i sequestri di persona compiuti da italianissimi, tanto premurosi con i parenti del rapito da spedire loro  pezzettini alla volta?

Ma vogliamo parlare del lavoro che nessuno ci rubava? Va beh, c’erano i terroni che rubavano il lavoro a quelli del nord, ma italiani da sopportare perchè lavoravano come negri, abitavano nei garage e catapecchie con affitti residenziali, lavoravano in condizioni di schiaviste finchè non sono ribellati alzando la falce e martello.

Ecco, parliamo della percezione che abbiamo del lavoro in Italia. Siamo capaci di una riflessione sul lavoro che uccide tre persone al giorno, italiani e  migranti, o siamo ignoranti come ci dice l’inchiesta citata all’inizio?

O siamo inconsapevoli che solo nei primi sette mesi del 2018 sono state 587?

Una strage quotidiana che assorbiamo con noncuranza o con qualche lacrima  ipocrita, perchè odiare i potenti è faticoso, molto facile invece odiare quelli che stanno peggio di noi.

Allora l’Italia delle classi popolari starà sempre peggio? Siamo all’anno zero della civiltà politica e quindi della convivenza civile, come base di speranza e di lotta per condizioni di benessere sociale, a partire dalla riconquista dei diritti sociali e del lavoro?

Un’inchiesta nelle periferie di quattro grandi città italiane (Milano, Firenze, Roma e Cosenza) fatta da un gruppo  di ricercatori “ Lavoro e politica. Un’inchiesta sulle classi popolari” ci regala una speranza su chi è il popolo, cosa vuole, come si rappresenta.

Nell’Italia devastata dalla crisi imposta alle classi popolari, le questioni del lavoro (mancanza o peggioramento delle condizioni), della sanità (assenza di servizi o sempre più costosi) e della casa (degrado infrastrutturale o affitti non più sostenibili)  rappresentano i problemi vitali.

Il lavoro, la sua mancanza e la sua precarizzazione, rappresenta il primo pensiero, reso ancor più doloroso dalla mancanza di speranza di migliorare le proprie condizioni con il coinvolgimento delle organizzazioni, sociali, sindacali o politiche, a ennesima dimostrazione della coercitiva scelta dell’individualismo, quindi del sentirsi solo come individuo.

Inconfutabile come risultato delle politiche antipopolari dei governi dell’ultimo ventennio e dell’opera di convinzione fatta dai mezzi di comunicazione stampata e televisivi sull’antipolitica come liberazione delle classi dominanti dal controllo popolare attraverso la partecipazione.

Ma, paradossalmente, il “popolo” vuole più politica, vuole più Stato e quindi più potere pubblico, avendo riscontrato sulla propria pelle gli effetti dell’ideologia della privatizzazione nei rapporti di lavoro e nei servizi pubblici. Quindi vuole soluzioni concrete, che cambino concretamente le condizioni della vita quotidiana.

Si registra una speranza  ma al momento non assume nessuna forma collettiva concreta, nessun riferimento politico convincente e di lunga durata.

Quindi si vota, però autoescludendosi dall’essere protagonista con la delega acritica al ”nuovo” che viene imposto, perchè, comunque, si deve votare.

Franco Cilenti

Editoriale del numero 5 settembre 2018 www.lavoroesalute.org

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