Il 25 aprile di Carlo

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Nella nostra famiglia la storia della Resistenza e la festa del 25 Aprile hanno sempre avuto una grande importanza.
Carlo naturalmente è cresciuto con questi valori che facevano parte del suo modo di intendere la vita.
Un diritto è un diritto, e si difende da chiunque, da qualsiasi parte arrivi l’attacco. E lo ha dimostrato fino all’ultimo momento.
Fare finta di niente, girare la testa dall’altra parte, voleva dire cedere alla prepotenza, tradire quei valori e perdere un pezzetto di democrazia.
Carlo sentiva profondamente il dolore del prossimo e pativa le ingiustizie subite dai deboli, dagli emarginati. Aiutava – come gli era possibile, anche solo fermandosi a fare due parole – immigrati del centro storico di Genova, homeless, tossico-dipendenti, persone in disagio sociale.
A noi è rimasta la testimonianza della sua voce registrata mentre legge alcune lettere di giovanissimi partigiani condannati a morte dai nazifascisti (è possibile ascoltare l’audio qui:
https://www.carlogiuliani.it/archives/tag/25-aprile).
Non sappiamo dove tutto questo l’avrebbe portato, cosa avrebbe fatto una volta diventato adulto. Perché è stato ammazzato, a 23 anni, il 20 luglio 2001, mentre tentava di difendere sé stesso e gli altri da una pistola carica puntata ad altezza d’uomo, dopo ore di cariche delle FFOO contro un corteo pacifico e autorizzato che si è trovato a dover reagire a una violenza ingiustificata.

La famiglia di Carlo

Dalla Sentenza del processo di primo grado contro 25 manifestanti si legge:

L’arbitrarietà delle condotte dei pubblici ufficiali costituisce causa di giustificazione delle condotte di resistenza ascrivibili ai privati non solo durante le prime due manovre (lo sgombero dello slargo di Corso Torino e la carica sul corteo), ma anche durante la contrapposizione nelle laterali Vie D’Invrea e Casaregis. Si deve infatti considerare come l’insieme di quelle condotte arbitrarie non ha leso soltanto beni di carattere primario quali l’incolumità e la libertà personale, ma anche i diritti di quei cittadini a riunirsi e a manifestare liberamente il proprio pensiero. In quanto previsti e garantiti dalla Carta costituzionale anche questi ultimi devono essere considerati come beni di carattere primario. Le persone che hanno reagito alle cariche ed alle percosse dei Carabinieri non hanno agito solo uti singuli ma proprio in quanto manifestanti, in un contesto di spiccata consapevolezza della portata politica della manifestazione alla quale partecipavano.

[…] Orbene, la ricostruzione compiuta in precedenza circa la genesi degli scontri non lascia dubbi sul fatto che questi hanno avuto origine da tre diverse manovre del contingente di Carabinieri del Battaglione Lombardia, tutte egualmente caratterizzate dal connotato dell’arbitrarietà. La reiterazione, la portata, le modalità di queste manovre sono state tali da provocare allo scontro una massa considerevole di persone, fino a quel momento pacifiche. Diversamente da quanto sostenuto dal P.M., in Via Tolemaide nei minuti immediatamente antecedenti la carica l’ordine pubblico non si poteva ritenere turbato. Anzi la presenza di un corteo ordinato, composto da cittadini che esercitavano pacificamente un proprio diritto era la dimostrazione che in quel luogo e in quel momento esisteva una situazione “normale” di vita cittadina, quindi di rispetto dell’ordine che si doveva pertanto ritenere ristabilito dopo il passaggio, circa un’ora e mezza prima, dei manifestanti del Blocco Nero. Questa situazione è poi cambiata per iniziativa del contingente di Carabinieri, non dei manifestanti, che non possono essere ritenuti responsabili del turbamento dell’ordine pubblico conseguente a scontri da loro non cercati, né provocati.”

Elena Giuliani

Testimonianza pubblicata sul numero di aprile del mensile Lavoro e Salute

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