Il Covid colpisce tutti, ma alcuni di più: considerazioni sul mercato del lavoro della Germania

Fino alla metà degli anni settanta l’immigrazione verso la Germania era caratterizzata dalla cosiddetta politica del reclutamento. Attraverso accordi bilaterali, a partire dal 1955 con l´Italia e, in seguito, con la Turchia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, il Marocco, la Jugoslavia e la Tunisia,  furono reclutate forze di lavoro per l´industria tedesca. Nel 1973 con l´aumento della disoccupazione e la contrazione della produzione di massa, conseguente alla crisi petrolifera, il governo tedesco decise un blocco del reclutamento (Anwerbestop), che colpì prevalentemente i lavoratori stranieri  nei Paesi che non facevano parte della CEE e che non godevano della libera circolazione.  Dopo una fase di stagnazione per la crisi finanziaria ed economica, si  produsse una ripresa della migrazione interna europea.  Per molti cittadini europei in cerca di lavoro la Germania è diventata   il principale paese di destinazione,  anche per gli incentivi offerti da nuovi programmi di reclutamento. L’economia tedesca necessita di tecnici, ha però anche bisogno di forza lavoro nei segmenti bassi del settore dei servizi, spesso evitati dalla popolazione locale, caratterizzati da bassi salari e precarietà. Ed infatti se i nuovi migranti sono in parte impiegati come professionisti in settori innovativi, si sta anche formando un nuovo proletariato dei servizi.

Italiani e Turchi in Germania

Dal confronto di alcuni indicatori relativi al lavoro riferiti alla comunità tedesca e a quelle italiana e turca, si ricavano alcune interessanti considerazioni.  Queste due ultime comunità hanno sperimentato nel passato un percorso migratorio simile, avvenuto nell’ambito di accordi bilaterali. Entrambe sono state protagoniste della politica del reclutamento, ma gli italiani, a differenza dei turchi, hanno potuto approfittare, a partire dal Trattato di Roma (1957), della graduale integrazione Europea e della libera circolazione, contribuendo  alla cosiddetta nuova mobilità europea.  Diversamente la Turchia ha mostrato, negli anni recenti un saldo migratorio positivo nei confronti della Germania. Tanti giovani di origine turca, con buon livello di istruzione, di seconda o terza generazione, si sono trasferiti nel loro paese di origine, in molti casi al seguito di ditte tedesche che si avvalevano così delle loro competenze e capacità.  Qualità che a causa di atteggiamenti discriminatori nei confronti dei turchi spesso non vengono adeguatamente apprezzate in Germania. Per completare l’analisi, e dare uno sguardo più ampio, il confronto è stato esteso agli altri paesi PIGS1, che hanno risentito della crisi economica e che hanno visto una ripresa della emigrazione. 

I cosiddetti “nuovi mobili” europei arrivati in Germania negli ultimi anni hanno approfittato, nonostante le tipologie dei posti di lavoro,  del “secondo miracolo economico” del Paese.   L´impatto che  la pandemia ha avuto sulla economia tedesca, ha però svelato la debole  inclusione di ampie fasce dei nuovi migranti all´interno del mercato del lavoro tedesco. Il Covid perciò colpisce tutti, ma alcuni vengono colpiti più fortemente.

Covid e aumento della disoccupazione

La maggior parte degli stranieri in Germania è impiegata nel terziario e in alcuni comparti i nuovi mobili europei sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia: la gastronomia, il turismo, la logistica, il commercio, il settore dei servizi digitali, culturali o sociali. Negli anni passati, il buon andamento del mercato del lavoro attraeva un numero crescente di italiani e la loro disoccupazione diminuiva. La situazione è radicalmente cambiata con l’inizio della pandemia, e la disoccupazione tra gli italiani, e tra gli immigrati provenienti da Grecia, Spagna e Portogallo, è fortemente aumentata come risulta dalle iscrizioni negli Uffici di Collocamento. L’aumento è stato particolarmente forte tra i lavoratori con meno di 30 anni; inoltre la disoccupazione è aumentata molto di più (tra il 40 e il 50%) tra i provenienti dai PIGS che non per i tedeschi e per i turchi (aumento tra il 20 e il 25%)2. Si conferma dunque la funzione “cuscinetto” dei nuovi immigrati in settori fortemente legati al ciclo congiunturale e che, nell’anno trascorso, hanno pagato un prezzo assai più elevato degli altri in termini di posti di lavoro.

Interessanti sono, per gli italiani, i dati secondo la qualifica: nel maggio 2020 le persone laureate erano le più colpite, con un aumento del 55,3% di iscrizioni tra i disoccupati rispetto al Maggio del 2019, un aumento maggiore di quello verificatosi tra i non qualificati (41,5%). Non è però dato di sapere in che misura i laureati svolgessero mansioni adeguate alla loro qualifica; tra di loro è elevata la quota dei cosiddetti “precari creativi”, assunti con dei mini contratti, mini-job, a part-time o non regolarmente, e quindi privi di indennità di disoccupazione o di altri benefici introdotti dal Governo a sostegno dell’economia, come il Kurzarbeitgeld.

Precarizzazione e vulnerabilità della nuova immigrazione

Come abbiamo osservato, dalla Tabella 1 si desumono incrementi della disoccupazione molto simili tra tedeschi e turchi, e in alcuni mesi questi ultimi hanno avuto incrementi della disoccupazione inferiori a quelli dei primi. Una discrepanza si osserva invece a confronto con i dati degli italiani e di quelli dei Paesi PIGS attori della cosiddetta nuova mobilità europea.   Un motivo è la differente posizione sul mercato del lavoro dei turchi, non così concentrati in quei settori che ora risentono di più della crisi: a fine 2019 solo il 5% era occupato nel settore della ristorazione (settore particolarmente colpito dalla crisi) contro il 15% degli italiani.  Le reti sociali della comunità turca hanno contribuito a formare delle “élites” non solo economiche (si pensi al fondatore della ditta farmaceutica  BioNTech figlio di un operaio turco della Ford di Colonia) ma anche politiche, con diversi rappresentanti nel Parlamento tedesco e  nei parlamenti regionali, o come Sindaci di città. Insomma, le seconde e le terze generazioni hanno dimostrato di poter emergere in diversi settori socio-economici. Tuttavia, la maggior resilienza della comunità turca a fronte delle difficoltà dell’ultimo anno, non deve ingannare: sotto il profilo strutturale la loro posizione nel mercato del lavoro è debole e il loro livello di disoccupazione – benché aumentato moderatamente – è assai maggiore di quello degli italiani3.

Se si poteva presumere  che gli italiani, come “cittadini europei”, avessero anche una posizione di privilegio assicurandosi posti di lavoro “stabili”, i  dati  confermano che la cosiddetta nuova migrazione  ha trovato lavoro in settori che ora risentono altamente della crisi pandemica. Posti di lavoro che spesso non offrono il minimo di garanzie previste dal sistema sociale o che non consentono l’accesso alle misure introdotte per contenere i disagi sociali provocati dalla pandemia. Si tratta spesso (utilizzando una nuova espressione) di “expat” vulnerabili. Ma gli italiani, nonostante tutto, vengono ancora accumunati all’immagine positiva (anche se a volte stereotipata) del made in Italy, del  life style legato alla cucina,  al gusto, alla moda e al design, che se non altro assegna loro almeno una “inclusione a livello simbolico”.


Note

1 Acronimo per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

2 Grecia, Spagna e Portogallo hanno avuto incrementi della disoccupazione dello stesso ordine di grandezza dell’Italia.

3 Nell’agosto 2020, la % dei disoccupati era pari al 6,2% per i tedeschi, 11,9% per gli italiani e 18,4% per i turchi.

Edith Pichler

4/12/2020 https://www.neodemos.info

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