Il doppio gioco di Erdogan: condanna Israele ma sta massacrando allo stesso modo i curdi

Dopo che, venerdì scorso, nove militari turchi sono stati uccisi nel corso di alcuni scontri con il PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan), l’esercito di Erdogan ha dichiarato di aver “neutralizzato” (ovvero ucciso) diverse decine di militanti curdi negli ultimi giorni, in una serie di operazioni che hanno tutta l’aria di essere spedizioni punitive più che rappresaglie di autodifesa. Nel corso degli attacchi, infatti, l’obiettivo primario dell’esercito turco è stata la popolazione civile, con il sistematico bombardamento di diverse infrastrutture e abitazioni. Tuttavia, Erdogan non ha esitato a manifestare pieno sostegno alla Palestina e ad Hamas sin dall’inizio dell’aggressione a Gaza. Il doppio standard del presidente turco, che da un lato si schiera (a parole) con i palestinesi e con Hamas e dall’altro porta avanti il massacro ininterrotto della popolazione curda, è più che mai evidente. Di fatto, la Turchia è uno dei pochissimi Paesi al mondo ad aver espresso pubblicamente pieno sostegno ad Hamas e l’unico della NATO a sostenere una tale posizione. Tuttavia, i rapporti commerciali con Tel Aviv, inclusa la vendita di armi, non si sono mai interrotti. Secondo alcuni analisti, il sostegno alla Palestina è del tutto strumentale e finalizzato unicamente a far conquistare a Erdogan consenso interno e rendere Ankara un punto di riferimento per i Paesi a maggioranza musulmana.

Lo scorso sabato, l’esercito turco ha fatto sapere di aver “neutralizzato” 45 militanti tra il nord della Siria e dell’Iraq. «La Turchia non permetterà mai la creazione di una “terra del terrore” ai suoi confini meridionali, con qualsiasi pretesto e per qualsiasi motivo» ha dichiarato il presidente turco Recep Tayyp Erdogan in quell’occasione. Attacchi aerei con droni sono stati portati a termine durante tutto il fine settimana nelle regioni di Hakurk, Metina, Gara e Qandil nel nord dell’Iraq, e nella regione di al-Hasakah e del Rojava, in Siria . Sono stati colpiti decine di obiettivi, tra i quali bunker e rifugi. Le incursioni in Siria hanno preso di mira anche il YPG (l’Unità di Protezione Popolare), considerato un’ala del PKK. Questa mattina, il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya ha dichiarato che 18 persone sono state arrestate, «per aver inneggiato a un’organizzazione terroristica» e «aver diffuso informazioni fuorvianti» sulle operazioni condotte dalla Turchia in Iraq.

Eppure, ad essere colpite sono state soprattutto le strutture civili, oltre che i siti petroliferi. Sale matrimoni, centrali elettriche, campi, coltivati, aree industriali, abitazioni sono solo alcuni degli obiettivi presi di mira dalle bombe sganciate dai droni turchi. Le stazioni sono state prese di mira più volte e hanno subito attacchi anche le centrali elettriche che riforniscono i pozzi d’acqua. L’erogazione di quest’ultima è stata interrotta in numerosi villaggi, così come l’energia elettrica. Attacchi di questo genere costituiscono crimini di guerra e, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, potrebbero portare le zona sull’orlo della “catastrofe umanitaria”. Così, nel finesettimana la popolazione curda ha inondato le strade di numerose province per denunciare gli attacchi turchi nelle aree del nordest della Siria. Numerosi manifestanti portavano cartelloni che recavano le scritte “No ai droni turchi”, “No al silenzio internazionale” e “Denunciamo gli attacchi dello Stato fascista”.

L’aggressione turca contro la popolazione curda è tornata ad intensificarsi lo scorso ottobre, dopo che due agenti sono stati feriti nel corso di un attacco ad Ankara all’inizio di quel mese – il primo dal 2016, la cui paternità è stata rivendicata da un ramo del PKK. Durante queste aggressioni, la popolazione civile diventa obiettivo primario. Di fatto, quanto la Turchia sta portando a termine contro i curdi (operazione a più riprese definita da alcuni un vero e proprio “genocidio”) non è così diverso da quanto Israele sta facendo in Palestina – anche se, va detto, su di una scala nettamente più ridotta. Eppure, Erdogan sostiene, almeno a parole (e da molto prima del 7 ottobre 2023), la causa palestinese, arrivando persino a dare asilo a diversi militanti di Hamas in cerca di protezione, almeno secondo le accuse di Israele. Il doppio standard è più che evidente: mentre da un lato Hamas viene definito un «gruppo di liberazione» che lotta per i diritti sulle proprie terre, i curdi sono «terroristi» sui quali sganciare bombe. Secondo alcuni analisti, questa posizone avrebbe garantito al presidente turco di guadagnare consensi tanto sul fronte interno quanto su quello esterno, in particolare nel mondo arabo (di fatto è quanto accaduto con Pakistan, Afghanistan e diversi Paesi dell’Africa subsahariana a maggioranza musulmana). Inoltre, nonostante le posizioni espresse a parole nel corso degli anni, le relazioni economiche tra i due Paesi non si sono di fatto mai interrotte e Ankara continua a rifornire Israele di armi e pezzi di ricambio. Un doppio gioco lapalissiano, al quale il presidente turco non sembra però dare troppo peso.

Valeria Casolaro

15/1/2024 https://www.lindipendente.online/

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