Il fascismo finisce al lager di Arbe

Un vero processo di riconciliazione sul confine orientale passa per il riconoscimento dei crimini fascisti in quei territori. Mattarella compia un passo verso la verità storica

Ricorre in questi giorni l’ottantesimo anniversario della fine ingloriosa del fascismo. Nel luglio del 1943 quel regime criminale che aveva umiliato l’intero paese portandolo sull’orlo dell’abisso se ne andava accompagnato dall’odio dei tanti italiani che avevano patito a causa sua. Ma non solo gli italiani potevano finalmente gioire quel giorno. L’esercito fascista aveva combattuto guerre d’aggressione e di occupazione al di fuori dei propri confini per tutto il Ventennio: la «riconquista» della Libia negli anni Venti, la campagna d’Etiopia e la guerra di Spagna dalla metà degli anni Trenta, poi l’Albania, la Francia, la Grecia, la Jugoslavia e l’Unione sovietica nella Seconda guerra mondiale. Due generazioni di uomini adulti erano stati costretti a commettere crimini orrendi per conto di un regime violento e razzista, che conduceva una politica di dominio ispirata a un nazionalismo esasperato e brutale. Tutto ciò che il nostro paese ha subito durante l’occupazione nazista dopo il 1943, era stato compiuto dalle truppe italiane nei decenni precedenti: rastrellamenti, saccheggi e distruzioni; catture di ostaggi e fucilazioni per rappresaglia; torture di partigiani e massacri di intere comunità; campi di concentramento e morte per fame per decine di migliaia di vittime inermi.

La tragedia del fascismo finiva in farsa, quel 25 luglio di ottant’anni fa. Ma poche settimane dopo cominciava una nuova stagione di stragi e massacri, inaugurata ancora da Mussolini e della sua ideologia criminale, stavolta rivolta contro il suo stesso popolo, e di nuovo al fianco dei nazisti. Eppure, per quanto possa apparire stupefacente, un oblio ostinato e quasi altrettanto criminale ha cancellato per decenni le colpe di quel regime e la sua natura strutturalmente violenta. Ancora oggi non esistono date commemorative o luoghi della memoria dedicati ai crimini di guerra fascisti e nessun rappresentante delle nostre istituzioni ha mai partecipato a celebrazioni in ricordo delle vittime inermi uccise al di fuori dei nostri confini. Domina ancora – lo si sente ripete ogni giorno, nelle chiacchiere da bar come nei discorsi dei politici –  lo stereotipo degli italiani brava gente: un esercito di straccioni, ma buoni di cuore, mai brutali con le popolazioni assoggettate. Un’immagine consolatoria, ma essenzialmente falsa. E che finisce per giustificare il fascismo che ha mandato quei soldati al massacro, e a massacrare; finisce per rappresentare quel regime e quell’ideologia criminale come innocente, innocua, tutto sommato bonaria. 

Tra pochi mesi, ricorre un altro anniversario, altrettanto importante. L’8 settembre non rappresenta solo l’Armistizio del 1943, l’invasione nazista e l’inizio della lotta partigiana, ma segna anche la liberazione di centinaia di migliaia di persone dai campi di concentramento italiani. 

Ad Arbe, sull’isola di Rab, si trovava il peggiore di questi lager, dove persero la vita circa 1.500 persone, in gran parte donne, vecchi e bambini. Quest’anno sull’isola si terrà una grande cerimonia, alla quale sono stati invitati i presidenti delle tre repubbliche di Slovenia, Italia e Croazia. È essenziale che il nostro più alto rappresentante istituzionale sia presente. Si tratterebbe infatti del primo riconoscimento ufficiale dei crimini commessi ad Arbe, un’occasione ideale per confrontarsi onestamente con quel passato inglorioso, per chiedere scusa ai popoli che hanno subito l’oppressione fascista e innescare un vero processo di riconciliazione sul confine orientale. Continuare a ignorare quella tragedia, sottrarsi al confronto con le altre autorità di paesi aderenti all’Unione europea, avrebbe un significato amaro e grottesco. Vorrebbe dire giustificare, negare o ignorare volutamente le responsabilità storiche del fascismo; significherebbe che la nostra Repubblica non è ancora in grado, dopo ottant’anni, di condannare un regime antidemocratico e criminale che ha commesso innumerevoli crimini e ha condotto il paese allo sfascio. 

«Chi controlla il passato, controlla il futuro», era uno degli slogan del Partito Unico di 1984 di George Orwell. Ecco, continuare a raccontare il Ventennio mussoliniano in maniera così equivoca, ignorando la sofferenza inflitta dal fascismo a intere popolazioni, tra cui quella italiana, significa consegnare la nostra storia agli eredi politici di quell’ideologia. Significa, in definitiva, permettere loro di impossessarsi del nostro passato e di ipotecare il nostro futuro. 

Eric Gobetti è uno studioso di fascismo, Seconda guerra mondiale, Resistenza e storia della Jugoslavia nel Novecento. Autore di due documentari (Partizani Sarajevo Rewind), esperto in divulgazione storica e politiche della memoria, ha recentemente pubblicato I carnefici del Duce (Laterza). A settembre organizza ad Arbe un corso di formazione per docenti.

25/7/2023 https://jacobinitalia.it

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