IL PD E IL DRAGHISMO

Così come avevo ritenuto opportuno esprimere assoluta contrarietà al Conte I – frutto di una mescolanza tra fascio/leghisti ben determinati a resuscitare e diffondere beceri sentimenti razzisti e xenofobi e un M5S in balia di orientamenti ondivaghi “Né di destra, né di sinistra”, come amavano declamare – consideravo legittimo operare dei distinguo rispetto a ciò che, successivamente, aveva prodotto l’alleanza tra Pd e M5S.
Nella seconda esperienza, che nulla comunque aveva a che vedere con il modello classico del Centrosinistra, consideravo doveroso dissociarmi – in ossequio a un minimo di onestà intellettuale – dal tentativo (di molti) di porre sullo stesso piano, attraverso un mix di disinformazione e strumentalizzazione, strumenti quali il “bonus monopattini”, il “cashback” e i famigerati banchi con le rotelle al c.d. “Reddito di cittadinanza”.

Ciò perché – pur non riconoscendo ai due alleati di governo la volontà e la determinazione per operare scelte politiche rivolte a ridurre l’ormai insostenibile divario tra ricchi e poveri, la crescente diseguaglianza sociale e, relativamente ai temi a me più cari, la dilagante precarietà del lavoro e la costante erosione dei diritti e delle tutele a favore dei lavoratori – riconoscevo nel Rdc un segnale concreto per tentare, in qualche modo, di incidere sulla vita di milioni di cittadini e, tra questi, sul crescente numero di “working poor” (1).

Con il governo Draghi si apre, invece, una stagione rispetto alla quale i consensi e gli apprezzamenti “a scatola chiusa” per il neo Premier si sprecano.

Dal “Grazie Presidente”, non si sa bene di cosa, della senatrice Bellanova, al suo Capogruppo Davide Faraone che, al massimo dell’esaltazione (o della stupidità, secondo alcuni) definisce Draghi “Il nostro Mes”.

Passando attraverso il senatore Pd Ricci, che ha scoperto in Draghi “un grande ambientalista” che rappresenta “una risorsa irrinunciabile per il nostro Paese” e il suo Capogruppo, Andrea Marcucci, per il quale Draghi “è il futuro del nostro Paese”.

Non è da meno il giudizio del Capogruppo Pd alla Camera, Graziano Delrio, secondo il quale “nel discorso di altro profilo di Draghi si ritrovano tante idee del Pd”.

Dulcis in fundo, il sin troppo ottimistico (e, a mio avviso, prematuro) “L’Italia è in buone mani” di Zingaretti!

Tutti giudizi dei quali, credo e spero, saranno presto chiamati a rendere conto al loro elettorato!

Tra i mielosi e persino patetici apprezzamenti “a prescindere” rivolti a Draghi, non potevano quindi non assumere grande valenza e significato politico, da un lato l’assordante supina accondiscendenza degli eredi dell’ex Pci, ex Pds ed ex Ds e, dall’atro, le voci di alcuni dissenzienti.

Tra queste, credo meritino di essere riportate le dichiarazioni del Capogruppo M5S alla Camera, Carla Giuliano, di Danilo Toninelli e della compagna Paola Nugnes.

La prima ha tenuto a precisare che il (suo) voto favorevole al nascente governo non corrisponde a una “cambiale firmata in bianco” e che resterà alta la vigilanza sul rispetto degli impegni presi con i cittadini italiani; soprattutto relativamente al delicatissimo tema della Giustizia.

Da parte sua, il tanto biasimato e, talvolta, deriso ex Ministro dei Trasporti è riuscito nella (non difficile, in verità) impresa di dare una breve lezione di politica “di sinistra” a Zingaretti e ai suoi degni compari.

Infatti, nel suo breve intervento al senato, Toninelli oltre a comunicare che il suo voto favorevole era dettato solo dal rispetto di quanto deciso2 dalla maggioranza del Movimento, ha invitato il Premier in pectore a dare risposte a tutto il popolo italiano e non solo alle élite.

Gli ha – brutalmente ma efficacemente – chiesto se vuole stare “dalla parte di chi fa le leggi salvabanche o da quella di chi salva i truffati? Da che parte starà nel dossier Atlantia? Dalla parte dei potentissimi o di chi si è visto crollare il ponte sotto i piedi?”

Toninelli ha continuato il suo intervento – che, per quello che può valere, sottoscrivo integralmente – invitando Draghi a scegliere di stare “dalla parte del popolo italiano, non come quando portò a compimento la scelta politica antitaliana delle privatizzazioni indiscriminate”.

L’ex ministro ha concluso lanciando un inequivocabile messaggio al Premier:” La sua storia è caratterizzata da una straordinaria carriera al fianco dei potenti della terra, adesso vediamo se si schiererà al fianco degli italiani”!

La compagna Paola Nugnes, per concludere, dopo aver espresso assoluta contrarietà al neo governo e a quello che sarà il ruolo preminente dei c.d. “tecnici” nelle decisioni finali che spetteranno esclusivamente al Premier – con i ministri “politici” impegnati in una sterile pantomima – esprime il convincimento secondo il quale non c’è da temere una “macelleria sociale” perché Draghi, da buon keynesiano (e allievo di Federico Caffè), sa bene che occorre che le persone tornino a consumare, in Italia come in Europa.
Se ciò fosse vero, sarebbe motivo di parziale conforto.

A differenza, però, di quello che pensa Paola Nugnes – che insieme a Elena Fattori rappresenterà l’unica opposizione di sinistra al governo Draghi – ritengo che esistano sufficienti motivi per essere abbastanza pessimisti.

Motivi che sono dettati da un particolare che corre il rischio di passare (spesso) inosservato ma che ha invece un’enorme valenza simbolica. In questo senso, a prescindere dai trascorsi e dal curriculum di Mario Draghi – che già nulla di buono lasciano presagire in termini di visione socialista della società e del mercato – mi atterrisce il pensiero che ogni qualvolta il neo Premier si riferisce alle imprese usi il termine “esigenze (3)”, mentre paiono non appartenere al suo lessico termini quali: eguaglianza, precarietà, bisogni e, perché no, esigenze; ma dei lavoratori e della gente comune!

Evito di commentare la dichiarazione di Landini (4):” Con Draghi possiamo far uscire l’Italia dalla precarietà del lavoro”, rilasciata a “La Repubblica” (in data 8 febbraio) in vista dell’incontro con il Presidente incaricato.
Personalmente, mi sarei limitato a un laconico: “Valuteremo dai fatti”!
Temo, in definitiva, che l’Esecutivo appena insediatosi ci porrà presto nella condizione di dovere, nonostante tutto, rimpiangere il Conte II

NOTE

  • Coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa nonostante abbiano un lavoro. Secondo i dati Eurostat del 2017, oltre un italiano su dieci versava in questa condizione; si trattava del 12.3 per cento contro una media europea del 9,6. Tale condizione interessava il 16, 2 dei lavoratori temporanei e il 5,8 di coloro che avevano un lavoro fisso. In particolare, giovani che non riescono a rendersi indipendenti, donne e stranieri.
  • Toninelli rientrava in quel 41 per cento di iscritti al M5S che si era espresso contro un governo guidato da Mario Draghi.
  • Con riferimento non casuale, ricordo che già il Decreto legislativo 10 settembre 2003, nr. 276, applicativo della famigerata legge 30/2003 – strumentalmente richiamata quale legge Biagi – all’art. 1 prevedeva di promuovere la qualità del lavoro attraverso contratti di lavoro compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori. Una formula – esigenze rispetto ad aspirazioni – che, evidentemente, esprimeva già quello che, in realtà, è poi avvenuto!
  • Che considero avventata e prematura.

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

20/2/2021

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