La disinformazione nell’epoca delle fake news e della propaganda

La notizia falsa dell’estate 2019 è Charlottea: una nave fantasma tedesca che sarebbe stata attiva nel soccorso di migranti nel Mediterraneo centrale. La notizia della sua presenza è stata diffusa il 31 luglio via Twitter da account legati alla galassia sovranista e neofascista italiana e velocemente ha raggiunto centinaia di utenti, è stata ripresa da siti come Vox e La sassata che parlavano di un presunto “attacco” all’Italia da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel.

In un primo momento è stata descritta come una barca a vela, poi come una nave di trenta metri che batteva bandiera tedesca e aveva spento i transponder per non essere visibile. Gli account sovranisti hanno accusato addirittura i servizi segreti tedeschi di aver ordito un complotto ai danni dell’Italia. A ricostruire la vicenda sono stati il giornalista di Radio radicale Sergio Scandura e il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa.

Scandura – che monitora da tempo le navi e gli aerei attivi nelle acque internazionali di fronte alla Libia in cui avvengono la maggior parte dei naufragi e dei soccorsi di migranti – ha contattato l’ong SeaEye che in quel momento con la nave umanitaria Alan Kurdi aveva soccorso quaranta persone nello stesso tratto di mare. Da SeaEye hanno fatto sapere che le lance di salvataggio usate durante i soccorsi si chiamano Charlotti e che probabilmente i sovranisti hanno scambiato uno dei rhib (gommone rigido di salvataggio) per una nave: il quarto gommone della Alan Kurdi si chiama Charlotti 4 e quindi Charlottea non sarebbe altro che uno dei gommoni di salvataggio di SeaEye.

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Il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa ha ricostruito la vicenda su Twitter e ha smentito la presenza di una nave umanitaria tedesca chiamata Charlottea a partire dalla foto del gommone ottenuta da Scandura, ma nel frattempo la notizia si è diffusa sui social network e addirittura il ministro dell’interno Matteo Salvini in un tweet ha parlato di cinque navi umanitarie presenti nella zona di ricerca e soccorso libica (in realtà erano presenti in quel momento solo due navi umanitarie in quell’area: la spagnola Open Arms  di Proactiva Open Arms e la tedesca Alan Kurdi di SeaEye).

Non è la prima volta che le notizie false sulla questione dei soccorsi in mare, ma in generale sull’immigrazione, si diffondono rapidamente sui social network: un altro caso eclatante nel luglio 2018 fu quello dello smalto rosso di Josefa. Una donna del Camerun soccorsa dalla nave di un’ong in fin di vita nel Mediterraneo centrale, dopo essere stata abbandonata dalla cosiddetta guardia costiera libica, era stata accusata di essere un’attrice perché aveva le mani troppo curate e lo smalto rosso sulle unghie. Gli autori della bufala sullo smalto rosso di Josefa erano gli stessi che hanno fabbricato la notizia della nave tedesca Charlottea.

Qualche riflessione: in entrambi i casi lo schema di diffusione delle notizie è molto simile e in generale sembra riconducibile a un fenomeno più vasto che ha a che fare con la propaganda di alcuni gruppi dell’estrema destra e con il meccanismo della formazione del consenso nell’epoca dei social network. Lo schema è il seguente: le notizie false di solito sono diffuse da account che si presentano come quelli di semplici cittadini e non di attivisti. Quegli account sembrano però legati a una serie di altri account internazionali, che sullo stesso argomento riescono a produrre anche cinquanta tweet al giorno.

I post con le notizie false sono ritwittati da bot automatici fino a quando non agganciano dei profili reali che a loro volta li condividono. Spesso politici e commentatori compiono l’ultimo passaggio: il salto della notizia falsa dal social network ai mezzi d’informazione tradizionali. Personaggi famosi, commentatori e influencer ripetono in tv la notizia falsa che hanno intercettato online, e in questo modo tante false notizie riescono ad arrivare al grande pubblico che non ha accesso a internet. Molti mezzi d’informazione tradizionali hanno attivato dei servizi di verifica dei fatti (fact checking) per difendersi dalle false notizie. Ma tutti gli esperti concordano sul fatto che la smentita di una falsa notizia non ha mai la stessa diffusione della notizia falsa e che anzi il rischio è quello di amplificare la diffusione della notizia falsa.

Meccanismi simili sono osservabili in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alle Filippine passando per la Russia, come recentemente ricostruito dal giornalista Peter Pomerantsev nel suo libro This is not propaganda: adventures in the war against reality. Scrive Pomerantsev: “Maggiore informazione avrebbe dovuto significare più libertà, invece i potenti hanno avuto più mezzi per combattere e ridurre al silenzio i dissidenti. L’accesso a più informazioni avrebbe dovuto portare a un dibattito pubblico più informato, invece non siamo mai stati così incapaci di prendere decisioni. Viviamo in un mondo in cui la manipolazione ha fatto un passo in avanti, un mondo di pubblicità nascosta, account automatici, fake news, troll, Putin e Trump”.

L’economia delle false notizie
Le false notizie tuttavia non sono una novità dei nostri tempi, sono sempre esistite. Lo storico Marc Bloch nel suo saggio Riflessioni di uno storico sulle false notizie di guerra rifletteva sulla loro diffusione durante la prima guerra mondiale. Bloch sottolineava che la diffusione di una notizia falsa non è mai casuale, ma è sempre legata a rappresentazioni collettive preesistenti alla sua diffusione:

Una notizia falsa nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; essa non è casuale se non in apparenza, o, più precisamente, tutto ciò che v’è di fortuito in essa è l’incidente iniziale, assolutamente casuale, che scatena il lavorio delle capacità d’immaginazione, ma questa messa in moto non ha luogo se non perché le immaginazioni sono già pronte e in silenzioso fermento. Un avvenimento, una percezione distorta per esempio, la quale non andasse nel senso in cui già propendono gli spiriti di tutti, tutt’al più potrebbe costituire l’origine d’un errore individuale, ma non una falsa notizia popolare e ampiamente diffusa. Se ho l’ardire d’utilizzare un termine cui i sociologi hanno dato un valore secondo me troppo metafisico, ma che è comodo e dopo tutto ricco di senso, la falsa notizia è lo specchio in cui “la coscienza collettiva” contempla le sue fattezze.

Le notizie false hanno beneficiato notevolmente negli ultimi anni della diffusione dei social network e della polarizzazione politica che ne è derivata. Il professore di economia delle istituzioni dell’università Tor Vergata di Roma Vincenzo Visco Comandini ha analizzato da un punto di vista economico la diffusione delle false notizie e il loro rapporto con la propaganda e la politica. Nel suo Fake news, pluralismo informativo e responsabilità in rete Comandini spiega che:

Il legame tra uso dei social network e presenza di fake news ha diverse ragioni, sia economiche sia culturali. La prima ragione è che, grazie a internet, le barriere all’ingresso nell’industria dei media si sono ridotte quasi a zero, essendo oggi tecnicamente molto semplice creare siti web e, se il numero dei contatti ricevuti è sufficiente, ricavarne utili con la pubblicità. Quando una fake news, originariamente pubblicata su un certo sito, è discussa e creduta vera o interessante fra i componenti di un social network, lo stesso sito, se si genera l’effetto virale di diffusione dell’informazione, riceve una notevole quantità di visite che consente al suo gestore di realizzare profitti. La seconda ragione è l’accentuata polarizzazione politica dell’elettorato, osservata in tutto il mondo occidentale, in cui prevale la tendenza degli appartenenti ad un certo schieramento politico o ideologico a sviluppare forti sentimenti negativi nei confronti degli avversari.

Tra le altre ragioni della diffusione delle fake news online c’è la sfiducia crescente dei cittadini nei confronti dei mezzi d’informazione tradizionali, la debolezza del modello di business dei giornali, che non riescono più a stare sul mercato, ma anche il sistema di funzionamento stesso dei social network che si finanziano con la pubblicità e hanno quindi tutto l’interesse a tenere gli utenti il più a lungo possibile sulle loro piattaforme.

“Su internet, grazie soprattutto ai motori di ricerca e ai social network, la distinzione tra informazione vera e propria – il contenuto cercato dall’utente – e informazione pubblicitaria tende a farsi meno netta, fino in alcuni casi a scomparire. In questo caso l’obiettivo dei gestori dei servizi e degli inserzionisti non è di ingannare i consumatori, ma di rendere loro più rilevante e meno fastidiosa possibile la pubblicità. Non a caso gli algoritmi che trovano i contenuti cercati dall’utente sono gli stessi che selezionano la pubblicità a lui dedicata. Ciò non di meno l’effetto ottenuto, se aumenta l’efficacia delle inserzioni sul web, superando di molto quelle sulla carta stampata o anche sulla tv, crea però un fraintendimento nel consumatore, che non è sempre in grado di distinguere tra informazione e pubblicità”, scrive Comandini. Internet ha soprattutto trasformato gli elettori in potenziali consumatori.

Dietro alla produzione di fake news, dunque, possono esserci ragioni economiche, ideologiche o psicologiche, spiega Comandini. Dal punto di vista economico, l’obiettivo dei produttori di notizie false è realizzare profitti con la pubblicità rivolta a chi va sui loro siti web. Paul Horner, per esempio, aveva dichiarato di aver creato fake news a favore di Trump per ricavare profitti nonostante sostenesse di essere personalmente un suo oppositore.

Sul piano ideologico, alcuni produttori di fake news sostengono di aver cominciato la loro attività per aiutare Trump, altri per combattere con tutte le armi disponibili lo schieramento politico avversario. Diversi giornali hanno pubblicato inchieste che mostrano la capacità della Russia di creare siti e gruppi finalizzati alla produzione e diffusione di notizie false in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi. “Nell’epoca del web e dei social network, chi si sente politicamente schierato rischia di attivare, anche involontariamente, meccanismi di disinformazione su notizie di cui ignora l’origine”, conclude Comandini.

Infine c’è una motivazione psicologica: la notizia falsa spesso produce più condivisioni e più like delle notizie vere e questo provoca in chi le condivide una certa soddisfazione narcisistica che spinge gli stessi utenti a continuare a condividere notizie che non sono vere. Questo ragionamento, ancora di più, si applica ai discorsi di odio.

Fake news e propaganda
L’influenza delle fake news sulle elezioni politiche è ancora argomento di discussione tra gli esperti, ma gli studi più recenti mostrano che un effetto diretto delle notizie false è la polarizzazione dell’opinione pubblica e la radicalizzazione delle posizioni politiche. Uno studio svolto dall’Internet institute dell’università di Oxford sull’opinione pubblica statunitense evidenzia che gli elettori conservatori sono quelli che sono più frequentemente attratti dalle notizie false che hanno come fine quello di rafforzare l’identità e compattare il gruppo.

“Questo fenomeno suggerisce che nei periodi non elettorali le fake news sono usate per rafforzare, quasi esclusivamente nello schieramento conservatore, l’identità polarizzata ed autoreferenziale dei suoi appartenenti”, spiega Visco Comandini. “Uno studio, condotto dalla società di ricerca Alto data analytics che utilizza un software simile a quello di Google indicizzando per rilevanza i contenuti e le fonti nelle discussioni, ha recentemente analizzato, nel periodo 1 febbraio-31 luglio 2017, più di un milione di commenti generati da 98mila utenti di Twitter che discutono sull’immigrazione in Italia. Anche in questo caso si conferma la polarizzazione estrema del dibattito, in cui gli utenti che hanno posizioni contrarie all’immigrazione, inferiori per numero rispetto a quelli a favore dell’immigrazione (17mila contro 35mila), risultano però molto più attivi (in media 26,5 contro 5,4 tweet per utente)”.

Gli utenti ad alta frequenza (circa settemila con almeno dieci commenti al giorno) producono la maggior parte dei commenti online: lo 0,1 degli utenti produce circa il 10 per cento dei contenuti. Da soli 240 account hanno prodotto settecentomila interazioni.

Di questi utenti ad alta frequenza quasi la metà (42 per cento) appartiene all’area di estrema destra e ha prodotto il 44 per cento dei commenti. Al secondo posto c’è il Partito democratico con il 34 per cento di utenti e il 31 per cento di commenti, al terzo posto il Movimento 5 stelle con il 22 per cento di utenti e il 23 per cento di commenti. In generale, in Italia il dibattito risulta polarizzato, con una serie di siti specializzati nella diffusione di contenuti non verificati e fake news che vengono condivisi da gruppi di utenti molto attivi nel tentativo di influenzare l’opinione pubblica.

Gli utenti attivi contro l’immigrazione sono sensibili alla classica associazione immigrazione-insicurezza-terrorismo e alle teorie del complotto come l’ingerenza di stati stranieri, delle élite mondiali oppure la teoria del complotto di matrice neofascista nota come teoria della grande sostituzione, secondo cui le popolazioni europee e quelle americane sarebbero vittime di un complotto per sostituirle gradualmente con le popolazioni africane. La grande sostituzione, postulata dal filosofo neofascista francese Renaud Camus, è stata citata dall’attentatore di El Paso, in Texas, e da quello di Christchurch, in Nuova Zelanda, per motivare i loro attacchi armati contro gli immigrati.

Il ricercatore del King’s College di Londra Gregory Asmolov in un suo recente studio sul controllo di internet da parte della Russia parla di “propaganda partecipativa”, cercando di spiegare come la vecchia propaganda sia stata rivitalizzata da nuovi strumenti come i social network: “La propaganda non è solo uno strumento per far cambiare opinione, al momento in un mondo digitale, la propaganda è un modo per partecipare ai conflitti politici dal salotto di casa. Ma è anche, incredibilmente, uno strumento che spezza i legami tra amici e parenti che hanno opinioni diverse”.

Annalisa Camilli

8/8/2019 www.internazionale.it

giornalista di Internazionale

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