La galassia palestinese con cui Israele non accetta di confrontarsi

La crisi di Gaza è sanguinosa, antica e complicata. La chiave di lettura deve confrontarsi con attori dalle mille facce, come quelle dell’universo palestinese. Che è assai più frastagliato di quanto comunemente si pensi. Non solo Fatah e l’ANP di Abu Mazen, Hamas di Ismail Haniyeh e la Jihad Islamica di Ziyad al-Nakhalah, ma anche molti altri gruppi, meno conosciuti e in costante ascesa.

Tra Gaza e Cisgiordania

La discriminante principale è la loro collocazione territoriale: Gaza o la Cisgiordania. E il motivo è riconducibile allo stesso assetto di potere, con cui Israele controlla questi due territori.

La Striscia di Hamas

Nel primo caso, che riguarda direttamente il ruolo di Hamas, la Striscia è praticamente ‘sigillata’ e il gruppo di potere palestinese può (o, meglio, poteva) esercitare la sua autorità amministrativa, senza interferenze dirette. Dentro Gaza, in maniera formalmente lecit, Hamas riusciva a muoversi agilmente. E i soldi? In parte erano quelli ufficiali che arrivavano attraverso i canali degli accordi internazionali sottoscritti. Gli altri aiuti piovevano a milioni di dollari dal Qatar, con la benedizione, come sostiene la stessa stampa israeliana, nientemeno che di Bibi Netanyahu.

Prigione ad autogoverno

Hamas regnava a Gaza, dopo aver vinto le elezioni di Gaza del 2006 e aver cacciato brutalmente, a raffiche di mitra, i membri superstiti (e sconfitti) dell’Autorità nazionale palestinese. Organizzazione estremistica, etichettata come ‘terrorista’ dall’Occidente, ben prima dei massacri del 7 ottobre, Hamas era paradossalmente alleata della destra nazional-religiosa israeliana, alla quale la accomunava il suo rifiuto di un modello di ‘pace a due Stati’. Insomma, l’esistenza di Hamas, per Netanyahu e i suoi compagni di governo, era la migliore garanzia che i palestinesi non avrebbero mai avuto uno Stato tutto loro.

Sicurezza a rischio arroganza

Esisteva, è vero, un problema sicurezza. Ma da questo punto di vista, l’establishment israeliano è sempre stato molto supponente, considerandosi migliore di tutti gli altri e dicendosi in grado, quasi con arroganza, di saper badare a se stesso. Così, più soldi e 20 mila permessi di lavoro transfrontalieri, secondo gli strateghi del Likud al potere, avrebbero potuto tenere a bada Hamas e i suoi bollenti spiriti rivendicativi. Naturalmente, lo ‘Shabbat nero’ del 7 ottobre, ha fatto cadere tutto questo teorema e ora i conti si dovranno fare alla fine della guerra.

Cisgiordania preda dei coloni

Diversa e per certi versi ancora più complicata, la situazione per i palestinesi in Cisgiordania, politicamente parlando il vero fronte caldo del conflitto. Qui il fenomeno è chiaro da almeno un paio d’anni: coloni ebrei usati a prendersi le terre altrui e Autorità nazionale palestinese messa all’angolo, stretta tra la prepotenza israeliana e la rabbia disperata dei residenti arabi. Data cruciale il maggio 2021, quando la breve guerra a Gaza contro Hamas ebbe ripercussioni nei Territori occupati. Una spaccatura tra i residenti arabi di Nablus, Jenin e altri centri di storica cultura palestinese, e l’amministrazione dell’ANP, vista come un braccio di Tel Aviv.

Oltre l’Intifada

Ecco come gli analisti israeliani di Haaretz raccontano questa metamorfosi della ribellione araba: «Gli eventi del maggio 2021 hanno cambiato ogni cosa. Sono passati quasi due decenni dalla seconda Intifada e la nuova atmosfera si è diffusa rapidamente in tutta la Cisgiordania. In particolare, nell’ex capitale del terrorismo di Nablus, culminando con l’emergere dei ‘Leoni di montagna’ nell’agosto successivo». Chi sono? È tutta la nuova generazione di rivoltosi che non si riconosce più nell’Autorità nazionale palestinese, rispondono preoccupati gli analisti israeliani. E che si rifiuta di prendere ordini anche da Hamas.

‘Grande Fratello’

In base agli Accordi di Oslo, la polizia dell’ANP deve agire, in pratica, sotto le direttive delle autorità di Tel Aviv. «Coordinamento della sicurezza con l’esercito israeliano», che ha fatto crollare la popolarità e l’immagine dell’ANP e del suo leader, Mahmmud Abbas. Un fatto che è diventato chiaro lo scorso febbraio, quando a Nablus i soldati israeliani hanno ucciso 11 palestinesi.  Ai loro funerali con migliaia di persone, gli slogan più gridati erano quelli contro Fatah e l’Autorità nazionale palestinese, accusate di essere complici al soldo di Netanyahu. In quell’occasione i ‘Leoni’ sono riusciti a far sollevare, a orologeria, tutti i centri abitati palestinesi della Cisgiordania.

Leoni di montagna

Per l’Intelligence israeliana, i ‘Leoni’ sono una minaccia da non sottovalutare. Non hanno un’organizzazione strutturata, non hanno canali di comunicazione codificati,  sono difficili da identificare e da catturare. Per questo l’esercito di Tel Aviv spara nel mucchio e fa retate di massa. Ne pesca qualcuno, me se ne inimica mille altri. Ari Flanzreich, giornalista ebreo autore dello splendido articolo sulla complessità dell’universo palestinese, conclude la sua analisi citando un vecchio arabo, un reduce da mille rivolte, che così descrive i giovani ‘Leoni’:

«Se qualcuno uccidesse tuo padre o tuo fratello, lo dimenticheresti? Ebbene, questi sono i figli rimasti dopo quei lutti. E non hanno dimenticato».

Piero Orteca

19/12/2023 https://www.remocontro.it/

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