La guerra fa base a Pisa

Coltano, frazione di Pisa, appena 2 metri sopra il livello del mare. A seconda di quale strada si attraversi per raggiungere questa minuscola località tra i comuni di Pisa e Collesalvetti, si può ancora vedere il complesso di idrovore grazie alle quali l’Opera nazionale combattenti potè compiere il processo di bonifica di questi terreni a larghissima maggioranza agricoli, nel 1922. Qualche anno prima, nel 1903, il premio Nobel per la fisica Guglielmo Marconi pensò che quella piana ancora paludosa fosse perfetta per sperimentare la trasmissione radio a onde lunghe e così nacque la stazione radio delle prime connessioni globali: nel 1931, da quel fazzoletto di terra già riserva di caccia de’ Medici, partì infatti il segnale che illuminò il Cristo Redentore di Rio de Janeiro. 

Forse c’è chi ha sentito parlare di questa storia di avanguardia tecnologica, ma scommettiamo che ben poche persone avessero sentito nominare Coltano fino all’inizio di quest’anno, quando è stato approvato il decreto firmato dal Presidente del Consiglio Draghi e dal ministro della Difesa Guerinicon oggetto «Individuazione delle opere destinate alla difesa nazionale». In particolare, l’urgenza, evidentemente insopprimibile, di realizzare il maxi-centro per il Gruppo intervento speciale del 1° Reggimento Carabinieri paracadutisti «Tuscania» e del Centro cinofili, centri di eccellenza dell’Arma dei Carabinieri. 

Oggi, grazie alla fervente opera di denuncia e mobilitazione di un intero territorio, il caso della nuova base militare che il governo punta a erigere a pochi passi dalla torre pendente occupa le discussioni dei movimenti antimilitaristi, transfemministi ed ecologisti di tutta Italia. 

Precedenti, genesi, silenzi, bugie 

Il rapporto tra le amministrazioni comunali pisane e la militarizzazione del territorio meriterebbe un voluminoso dossier, nel quale ricostruire innanzitutto i «triangoli delle pèrmute», denunciati a più riprese dai movimenti cittadini, queste geometrie del profitto, del cemento e della finta rigenerazione urbana che hanno investito in particolar modo le caserme sottoutilizzate e/o gli spazi militari in disuso. A Pisa la caserma Bechi-Luserna, la caserma Artale e l’ex distretto Curtatone e Montanara tornano periodicamente in auge per i supposti tentativi di vendita o riqualificazione da parte del comune. Settimane e settimane sulle cronache locali a millantare ora progetti di housing sociale, ora di vendita e riorganizzazione logistica, ora di progettazione a beneficio della popolazione studentesca, poi tutto ripiomba nel silenzio, quello delle inerzie e delle miopie amministrative, e su quei volumi sottoutilizzati o abbandonati plana inesorabile l’incuria, financo l’oblio. 

L’estrema vicinanza della base militare di Camp Darby non può che essere un elemento centrale nel descrivere le asimmetrie di potere che investono i processi di pianificazione del territoriorispetto al peso degli interessi particolari che gli attori pubblici intendono salvaguardare.

Già il 2 giugno 2018 i territori di Pisa e Livorno hanno espresso un’ampia mobilitazione contro il tentativo di allargamento della base americana e soprattutto contro il potenziamento delle infrastrutture militari (raddoppio della ferrovia, potenziamento del canale dei Navicelli per il collegamento con il porto di Livorno,abbattimento di quasi mille alberidella pineta protetta dal parco) che avrebbero reso Camp Darby il punto strategico più efficiente in Italia per la raccolta e lo smistamento di armiverso i fronti siriani, libici, yemeniti. Anche in questo caso si trattava di un progetto tenuto sostanzialmente nascosto alla città, portato avanti dal blocco di consenso multi-partitico tra Regione Toscana, comune di Livorno (allora Movimento 5 Stelle) e Comune di Pisa, da poco passato da quella che sembrava l’inossidabile egemonia del centrosinistra alla guida leghista del sindaco Michele Conti. 

Lunga è la scia di ambiguità, silenzi e soprattutto menzogne che ci conduce all’oggi, alla fine di marzo di quest’anno, quando Diritti in Comune, la coalizione che a Pisa dal 2013 aggrega la lista civica Una Città in Comune, Rifondazione comunista e Possibile e che esprime il consigliere comunale Francesco Ciccio Auletta, si imbatte nel decreto attuativorelativo alla realizzazione della base in Gazzetta ufficiale. Il verbo «imbattersi” non è utilizzato a caso e molto ci dice sulla trasparenza dell’azione del governo locale Conti: è proprio durante la quotidiana disamina dell’Albo Pretorio che le forze politiche della sinistra di opposizione alla giunta leghista scoprono il documento, avviando di conseguenza il lavoro di inchiestae accesso agli atti. Nel corso dei mesi è emerso l’articolato, ma alla fin fine banale, gioco di rimbalzi di responsabilità tra rappresentanti dei poteri pubblici: in un lungo servizio di Repubblica.tv si possono ascoltare le voci degli alti rappresentanti del Partito democratico toscano affermare che nulla sapevano del progetto e contemporaneamente le parole del presidente dell’Ente parco, che racconta di aver ricevuto gli incartamenti relativi alla realizzazione della base dallo scorso annoe di aver espresso fin dal mese di aprile 2021 parere assolutamente negativo a procedere, rispetto all’impatto della nuova costruzione sui terreni protetti. 

Le prese di distanzadal progetto che si sono sollevate dal governo locale come da quello regionale si sono disintegrate di fronte alla sobria verità delle fonti: è infatti disponibile e scaricabile l’intera documentazione che attesta che il progetto fosse noto da tempo a tutti i livelli di governo e che sia stato volutamente tenuto nascosto. 

Vengono convocate le prime assemblee pubbliche, per mettere al corrente la città di che cosa si sta progettando alle sue spalle, «nel silenzio della crisi generale». Successivamente sono fioccate anche le proposte per un’altra dislocazione della base, per non ledere il patrimonio naturale del parco, così come una serie di proposte di mitigazione dell’impatto, queste addirittura da parte dell’Ente parco, che hanno articolato una dinamica di spezzettamento e baratto che si riconnette al quadro più ampio di interessi attorno alle sopra-citate caserme. I beni e la salute pubblici come figurine da scambiare, per completare l’album del cemento. 

Il progetto

Pochi dati che riassumono l’impatto del nuovo sito militare: l’investimento preventivato in termini economici è pari a 190 milioni di euro di soldi pubblici, sottratti al Fondo di Coesione Sociale 2021-2027, per un totale di 440.000 metri cubi di cemento, che comprendono la realizzazione di nuove piste di atterraggio, centri di addestramento, caserme, magazzini per armi ed esplosivi, oltre che gli edifici preposti alla gestione della base, le villette a schiera per i militari del reggimento Tuscania, piscine, palestree altri servizi di natura squisitamente privata. Il tutto determinerebbe l’occupazione di 73 ettari di territorio, all’interno del Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli. 

Non stiamo parlando di una caserma di provincia, ma di una vera e propria cittadella militare, autonoma, situata strategicamente fra la base di Camp Darby e l’aeroporto militare di Pisa; una posizione non casuale che farebbe di Pisa la piattaforma logistica militare più importante d’Europa. 

Un impatto devastante in primis sotto il profilo idrogeologico: cementificare 73 ettari di terreno in una zona così umida significa scommettere che i terreni circostanti saranno in grado di sopportare le acque di scorrimento non più trattenute. Coltano non può permetterselo. 

In secondo luogo, il traffico di mezzi di trasporto sull’area, aerei e su gomma, comporterà un aumento dei livelli di inquinamento acustico e di emissioni di CO₂ che dall’Agenda 2030 allo stesso Pnrr, su cui si basano i decreti di facilitazione alla realizzazione della base, ostenta di voler diminuire. Ancora, a livello agroalimentare, il territorio subirebbe importanti perdite in termini di produzione dicolture biologiche, proprio quei cereali dei quali la guerra in Ucraina ci sta rammentando la centralità. 

Convergere per bloccare la base, insorgere per il cambiamento

La lotta nelle stanze dei bottoni si è allacciata alla mobilitazione di un’eterogenea compagine di attiviste, cittadini, lavoratrici e lavoratori agricoli del territorio che ha espresso fin da subito l’intelligenza politica e strategica della convergenza. Il Movimento No Base – Né a Coltano né altrove è nato a metà aprile dalla prima assemblea pubblica a Coltano che ha visto la partecipazione di oltre trecento persone in presenza e centinaia online e che ha colto il terreno di intersezionalità delle lotte offerto dalla specifica opposizione alla costruzione della base. 

Le motivazioni che sottendono la realizzazione della base hanno a che fare con l’utilizzo della guerra come dispositivo di produzione e riproduzione. Pensare di essere più al sicuro se aumenta l’apparato militare intorno a noi veicola un’idea di sicurezza legata al controllo sociale e a non al riconoscimento e soddisfacimento dei bisogni. Pensare che si possa continuare a sacrificare il bene collettivo per sedere al tavolo dei signori delle guerre è la litania di un sistema di espropriazione, accumulazione e valorizzazione del quale non ci dilunghiamo qui a ripercorrere il nesso irriducibile con le guerre di espansione, fin dalle sue origini. 

E la convergenza si salda proprio in risposta a questo modello di sviluppo e di relazioni politiche fallimentare e si fonda su un’idea di politiche pubbliche e di curacapaci di ridefinire il nesso lavoro-ambiente, ambiente-territorio, territorio-partecipazione-organizzazione. 

Il 2 giugno a Coltano si prepara una manifestazione nazionale contro la base e soprattutto contro un sistema che drena risorse economiche pubbliche per investire sull’economia di guerra, che gioca sul terreno della tutela di interessi particolari e della massimizzazione dei profitti, innanzi a un sistema-paese in ginocchio, nella morsa del carovita e del welfare smantellato, privo di politiche industriali capaci di riarticolare le scelte produttive in termini di essenzialità e sostenibilità. 

Un corteo che sfiderà il sole pre-estivo per riprendersi il protagonismo negato dalle istituzioni, per rimettere in discussione i rapporti di forza con un accorato appello alla pace. 

È evocativo riprendere l’immagine della stazione radio Marconi, che peraltro da anni giace in disdicevoli condizioni di abbandono. Che il no alla base, né a Pisa né altrove, si propaghi senza sosta, mobilitando dalla prima all’ultima persona che si organizza e lotta per la pace e la giustizia sociale e ambientale. 

Francesca Gabbriellini è dottoranda in Storia all’Università di Bologna.

Daniele Iannello è un attivista del Movimento No Base.

30/5/2022 https://jacobinitalia.it

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