Conte non è un paladino

LA NECESSITA’ DI UNA SCELTA CORAGGIOSA A SINISTRA

Se apriamo un giornale oggi o accendiamo la TV, Conte, presidente del M5S dal 2021, già Conte I, Conte II,  poi Conte-Draghi, e infine  “Conte dimezzato”, ci appare nella sua nuova veste di barricadiero,  paladino della pace, degli ultimi,  unica vera sinistra parlamentare di opposizione, partito con rinnovate velleità ecologiste e difensore unico delle masse popolari.
Ma riavvolgiamo il nastro e ricominciamo da capo, per quanto gli italiani abbiano poca memoria siano gente appassionata, che si muove di pancia, sono convinta che con un’analisi puntuale sappia ricordare e discernere i fatti dalla mistificazione dei fatti.

Dall’inizio della scorsa legislatura il Movimento 5 Stelle ha perso il 54% dei suoi deputati e il 45% dei suoi senatori, perché? Chi è il M5S?

Ben 40 parlamentari sono stati espulsi perché hanno votato contro, o si sono astenuti, nel voto di fiducia al Governo Draghi.
Alcuni senatori erano stati già cacciati dal M5S nel Conte I, nel 2018, per il voto contrario al decreto Genova che conteneva il nefasto art. 25 sul condono mascherato di Ischia, dopo il terremoto dell’agosto 2017 di Casamicciola; altri, poi, vennero espulsi per non aver votato i famosi decreti sicurezza e immigrazione di Salvini, due decreti nefasti, che videro Conte rivendicare con un “sorriso a 32 denti” la chiusura dei porti italiani (le foto girano ancora sui social). Sì, perché lui è l’avvocato degli italiani, ma le altre persone possono pure restare in mare senza ottenere giustizia, visto che ha sostenuto senza se e senza ma che per la Diciotti Salvini non dovesse essere processato, poiché a fermare quella nave “fu azione di tutto il governo”!

Qualcuno fu cacciato dal partito anche nel 2019, per essersi opposto alla cessione delle fonti dell’acqua del meridione ad una SPA, primo passo verso un gestore unico privato e chissà, forse, francese.

Ma torniamo a noi, torniamo alla guerra, al governo Draghi, alle 55 fiducie che il M5S (con Conte Presidente dal 2021) ha votato a Draghi, con tale convinzione che ha espulso ben 40 parlamentari contrari a quel governo. Il governo delle banche, atlantista e neoliberista, guerrafondaio, sempre avversato dai suoi e dai programmi sfoderati nelle vaste e urlate campagne elettorali populiste.
Un appoggio esterno? Un’opposizione costruttiva? No, il M5S è stato nel governo Draghi il partito di maggioranza relativo con ben 4 ministri e 8 sottosegretari, tra cui il ministro Di Maio agli Affari esteri.
Quel ministro che il 24 febbraio 2022 chiuse, nei fatti, per parte italiana, la via diplomatica per la risoluzione della guerra in Ucraina, con il suo discorso per niente distensivo alle Camere.
Il ministro cinque stelle, agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale, fece il primo discorso in aula sulla guerra, al fianco del Presidente Draghi e fu subito un’apertura alle ostilità, spalancando le porte della Nato all’Ucraina. Le porte della Nato sono sempre aperte, disse testuale: “La Nato non può certamente rinunciare al principio della ‘porta aperta’”. Si può quindi datare con queste parole, del ministro cinque stelle, il mattino del 24 febbraio 2022, la linea guerrafondaia del governo Draghi, proseguita poi con i 5 decreti (sui 55) su guerra e armi che il governo ha ottenuto dal Parlamento a maggioranza 5 Stelle. Conte ha sempre detto di sì alla guerra, anche a costo di espellere un altro importante senatore, Vito Petrocelli, presidente della Commissione esteri  che si rifiutò di votare il decreto Ucraina, proprio quello sull’invio delle armi e sulla delega al governo di segretezza e di decisione su futuri invii di armi, anche pesanti,  senza il voto Parlamentare.

Siamo costretti a dare ragione a Crosetto quando dice che sulle armi il governo Meloni segue le linee dettate dal governo Draghi e che Conte, se ora è contrario, se la deve prendere con se stesso.

Il Movimento 5 Stelle aveva 4 ministri e 8 sottosegretari nel governo Draghi. È stato certamente il partito con più ministri di quell’esecutivo dopo gli otto indipendenti, tutti gli altri partiti di maggioranza ne avevano meno, dalla Lega a FI e al PD fino a Articolo 1 e IV, quindi senza ombra di dubbio era il partito di maggioranza relativa, il maggior complice del governo Draghi, con 164 deputati e 77 senatori.

D’altro canto, la posizione ora all’opposizione, al di là dei tanti proclami di piazza e sui mass-media, cambia poco, sulla guerra la mozione 5 Stelle non chiede nei fatti uno stop alle armi, ma che ci sia “anche “una via diplomatica.

Oggi il M5S non è altro che lo specchio di un ennesimo ripensamento di Conte, funzionale alla sua “risalita” elettorale, chiede timidamente che il governo passi per il Parlamento su futuri invii di armi. Contraddicendo ancora una volta il voto dato al governo solo pochi mesi fa.
Ma Conte, come è noto, è solito “ripensarci”.
Ci ha ripensato sui decreti Salvini, lacrime e sangue all’interno del suo partito, affermando, due anni dopo averli promulgati a forza, che quei decreti “hanno messo per strada decine di migliaia di migranti” e che “Salvini con i decreti sicurezza ha fallito”; ci ha ripensato sull’aumento della spesa militare, che  i suoi due governi Conte I e Conte II hanno portato da 21 a 24,6 mld (+17 per cento);  si è pentito, anzi si è “dimenticato”,  o non lo aveva capito, di aver votato per la delega al governo sulle armi, il decreto Ucraina; si è pentito di aver dato la fiducia a Draghi, per ben 55 volte, non votandogli la 56esima (con una lista di condizioni poste sul tavolo da lista della spesa). Una fiducia non concessa ma neanche negata, letteralmente non votarono, ma non hanno mai nei fatti tolto la fiducia. Ci ripensa, oggi, sull’invio di armi, senza la decisione del Parlamento.

Ma noi siamo un popolo con la memoria corta, siamo degli smemorati che perdonano tutto, che non hanno bisogno di coerenza politica, oggi Conte con tante chiacchiere e con zero fatti è diventato, in un guizzo, con un’operazione di falsificazione propagandistica magistrale, il nuovo riferimento della sinistra, la nuova “vera” opposizione progressista, un punto di riferimento per chi non si sente rappresentato dalla destra e dal centro sinistra.

Correre dietro al M5S vuol dire dar credito a questa propaganda, cedere al gioco di un partito al servizio del sistema che vuole solo restare immutabile.

Il M5S dal 2017 è il sistema, il sistema erosore di terreno di ogni vera opposizione popolare, di ogni tentativo di costruzione di un modello alternativo, eco socialista, al pensiero unico dominante.

Il M5S è solo il nuovo, ennesimo, packaging dello stesso prodotto che ci impongono da decenni, rincorrerlo vuol dire avvalorarlo, confondendo un elettorato già confuso dalla propaganda e dalla mistificazione, e nello stesso tempo allontanare l’elettorato più attento, che sempre più, stanco e demotivato, si astiene.

A questo punto, Unione Popolare, a nostro avviso, deve fare una scelta coraggiosa e difficile. Deve puntare a tracciare un solco profondo e definitivo con le ambiguità parlamentari e di sistema, deve allargare alla partecipazione a sinistra, di partiti, movimenti e associazioni, puntare decisamente sulla propria coerenza identitaria e programmatica, distinguendosi e costruendo per davvero un’alternativa.
Deve decidersi e spingere questo masso pesante del cambiamento fino alla cima del monte, per tutto il tempo che sarà necessario, con tutto lo sforzo che ci vorrà. L’alternativa è arrendersi a mettere pezze qua e là, in un eterno loop di frammentazione e dispersione.

Paola Nugnes

7/12/2022 https://transform-italia.it

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