La questione idrica meridionale

È arrivato il 6 luglio il voto del Parlamento europeo sulla tassonomia «green». Ancora una volta i decisori politici hanno posto al centro gli interessi economici al posto della salute delle persone e del pianeta: è stata bocciata la mozione che prevedeva di escludere gas e nucleare dagli investimenti sostenibili, una scelta paradossale soprattutto in un momento come questo in cui gli effetti della crisi climatica stanno diventando sempre più devastanti ed evidenti.

In Italia la situazione è sempre più drammatica, alla siccità estrema si alternano fenomeni meteorologici estremi, come grandinate, trombe d’aria e bombe d’acqua, causa della tropicalizzazione del clima, qualcosa con cui saremo costretti a fare i conti nei prossimi anni. Proprio per questo motivo sono necessari interventi strutturali a livello sistemico, sul nostro sistema produttivo, sulle nostre abitudini quotidiane (parlo soprattutto dei paesi occidentali la cui impronta ecologica è quella che pesa di più sul pianeta) per combattere il cambiamento climatico e quindi agire il più rapidamente possibile verso la decarbonizzazione, l’esatto opposto delle scelte prese dal Parlamento europeo.

Allo stesso tempo dobbiamo prepararci ad affrontare gli effetti più devastanti della crisi climatica che andranno ad aumentare, tra queste misure è sicuramente necessario un miglioramento della rete idrica nazionale, sopratutto al sud dove le strutture esistenti sono fatiscenti e dove la perdite sono maggiori come dimostrano i dati del report acqua 2022 dell’Istat

Nonostante l’evidenza dei dati però, la riunione del Consiglio dei Ministri che ha decretato lo stato d’emergenza perEmilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto, ha dirottato gli investimenti solo per queste regioni, escludendo così l’Italia meridionale e le isole, lì dove sarebbe ancora più necessario un piano di ammodernamento delle infrastrutture idriche nelle zone che da anni vivono le situazioni di maggiore criticità. Da questo quadro emerge una questione di marginalizzazione del meridione mai risolta, di territori di serie A e territori di serie B: la crisi climatica accentua ancora di più le diseguaglianze già presenti nel nostro paese.

Estati sempre più calde e meno piovose

Le estati degli ultimi anni sono sempre più torride e meno piovose. Questo è spiegabile, quantomeno per quanto riguarda l’Europa occidentale, prendendo due fattori scientifici: da una parte il generale innalzamento globale delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici, dall’altra il fenomeno chiamato duble jet states.

Le ondate di calore negli ultimi anni, soprattutto nel periodo estivo, sono sempre più persistenti nel tempo. Oggi un nuovo studio denominato «Accelerated western European heatwave trends linked to more-persistent doble jets over Eurasia» dei ricercatori del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (Pik) spiega che il fenomeno è dovuto a un cambiamento delle correnti dei venti su larga scala:

Il nostro studio mostra che la crescente persistenza dei double jets spiega circa il 30% dell’andamento delle ondate di caldo in tutta Europa. Tuttavia, se guardiamo solo alla regione più piccola dell’Europa occidentale, spiega quasi il 100%. In questa regione, che coincide con l’uscita della rotta temporalesca proveniente dal Nord Atlantico verso l’Europa, i sistemi meteorologici normalmente provengono dall’Atlantico e quindi hanno un effetto rinfrescante, ma durante gli stati di double jets i sistemi meteorologici vengono deviati verso nord e le ondate di caldo persistenti possono svilupparsi nell’Europa occidentale.

Quello che possiamo osservare con i nostri occhi è che nell’ultimo periodo, gli effetti del cambiamento climatico stanno presentando il conto, non solo com’è accaduto pochi giorni fa con il disastro sulla Marmolada, ma anche con una crisi idrica che sta mettendo a dura prova i rendimenti agricoli. Abbiamo visto come perfino il Po, l’arteria fluviale più importante del nord Italia, sia in secca, come non si assisteva da settant’anni, le acque del grande fiume si sono abbassate a un livello tale che l’acqua salata del mare Adriatico è penetrata per 30 chilometri dal delta verso l’interno, come non era mai successo nella storia, devastando le colture e mettendo a repentaglio la vita di numerose specie e quindi intaccando inesorabilmente la biodiversità di questo habitat.

Non è soltanto il bacino del Po a essere compromesso, un po’ in tutte le regioni d’Italia da nord a sud si dà lo stesso fenomeno. La tropicalizzazione del clima però non comporta solo danni causati dalla siccità, ma anche fenomeni meteorologici inattesi, come ad esempio è il caso dei recenti episodi di tempeste, trombe d’aria e grandinate che hanno interessato il Veneto, la Puglia e il Trentino. Secondo Coldiretti sulla scala nazionale la stima è del 30% in meno di produzione causato dalla siccità estrema e da fenomeni meteorologici estremi, un danno pari a un miliardo di euro.

La malagestione delle reti idriche

In tempi di emergenza climatica, risaltano ancora di più i problemi strutturali alla rete idrica nazionale e le diseguaglianze tra nord e sud Italia. Nel recente report Istat sull’acqua il quadro che emerge rispetto allo spreco d’acqua dovuto alle carenze degli impianti idrici è allarmante. Nel 2020 sono andati persi 41 metri cubi al giorno per km di rete nei capoluoghi di provincia/città metropolitana, il 36,2% dell’acqua immessa in rete. Questo quadro si fa ancora più critico al sud e nelle isole, come si legge da report:

Nel 2020, ben 11 Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, localizzati tutti nel Mezzogiorno, hanno fatto ricorso a misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, disponendo la riduzione o sospensione dell’erogazione idrica. Ciò a seguito della forte obsolescenza dell’infrastruttura idrica, dei problemi di qualità dell’acqua per il consumo umano e dei sempre più frequenti episodi di riduzione della portata delle fonti di approvvigionamento, che rendono scarsa o addirittura insufficiente la disponibilità della risorsa idrica in alcune aree del territorio. Rispetto al 2019 il numero di Comuni interessati da misure di razionamento è aumentato di due unità, ma è rimasto sostanzialmente invariato il numero di giorni oggetto di misure emergenziali volte ad assicurare la distribuzione dell’acqua ai cittadini. Misure di razionamento sono state adottate in quasi tutti i capoluoghi della Sicilia (tranne a Messina e Siracusa), in due della Calabria (Reggio di Calabria e Cosenza), in un capoluogo abruzzese (Pescara) e in uno campano (Avellino). 

Da questo è derivato un altro problema conseguente, ossia che nelle regioni dove sussistono le maggiori criticità delle reti idriche è aumentata anche la diffidenza dei cittadini rispetto al bere l’acqua del rubinetto. Proprio nel sud Italia la sfiducia è maggiore (il consumo di acqua in bottiglia più alto si registra nelle Isole, 69,7%) e assistiamo a situazioni paradossali, come ad esempio in Sicilia, dove se da una parte l’acqua pubblica viene dispersa dalla rete idrica, dall’altra parte aumenta l’estrazione di acque minerali di 221 mila metri cubi, pari al 43% in un solo anno dal 2018 al 2019. 

Da questo possiamo dedurre che l’acqua c’è, semplicemente viene male amministrata dagli enti pubblici che ancora una volta lasciano il terreno spianato agli interessi dei privati che possono lucrare su una situazione di scarsità indotta.

Un potenziale spazio di lotta

Le potenzialità per aprire un nuovo spazio di lotta che parta soprattutto dai territori marginalizzati del Mezzogiorno ci sono tutte. Se i decisori politici decidono, ancora una volta, di tagliare fuori il sud dalla geografia politica e economica, sta ai movimenti sociali, agli agricoltori e al movimento climatico agire per garantire a tutti e tutte l’accesso a un bene primario come l’acqua.

Uno spazio politico che potrebbe connettere zone rurali e centri urbani, dai movimenti climatici giovanili come Fridays For Future, Extinction Rebellion e Ecologia Politica ai comitati per l’acqua pubblica che si sono attivati durante il referendum del 2011, che convergendo con gli agricoltori che come classe di lavoratori saranno i più penalizzati, potrebbero creare una miscela esplosiva in grado di innescare un conflitto sociale che aprirebbe spazi di possibilità per evitare che l’acqua, un bene necessario alla vita, diventi un privilegio di pochi.

Federico Scirchio, laureato in filosofia e militante di ecologia politica, si occupa di temi legati all’ecologia e alle nuove tecnologi

8/7/2022 https://jacobinitalia.it

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