La rivolta dei trattori

In Francia, gli agricoltori guidano i loro trattori verso Parigi e i media parlano di ribellione rurale. Ma questa etichetta nasconde il conflitto tra piccoli e grandi produttori

Durante l’autunno, gli abitanti delle campagne francesi hanno visto stravolgere i cartelli all’ingresso dei loro comuni e moltiplicare gli striscioni che esprimevano il disagio degli agricoltori. Nelle prefetture e sottoprefetture rurali, la comunità agricola ha messo in campo il suo solito repertorio di azioni: parate di trattori, scarico di letame davanti agli edifici ufficiali, azioni di «carrello libero» o lancio di uova contro i supermercati accusati di fare profitti troppo alti… Eppure i media nazionali hanno dato poco spazio a queste manifestazioni. Se i telegiornali nazionali e internazionali erano occupati in quel periodo, il fatto che Parigi non sia stata interessata da alcuna manifestazione, unito a un certo disprezzo per i «bifolchi» della campagna, spiega senza dubbio in parte anche questo scarso interesse dei media.

Dalla rabbia alla rivolta

Il movimento è ormai in prima pagina. L’intensificarsi delle azioni, con il blocco di strade e autostrade, prima nel sud-ovest e poi in tutta la Francia, e l’aumento delle azioni spettacolari è senza dubbio un fattore che contribuisce. Queste modalità di azione, che ricordano quelle dei gilet gialli, preoccupano sempre più le autorità. Con alcuni esponenti della protesta che minacciano di boicottare il Salone dell’Agricoltura e con l’annuncio di un blocco di Parigi, la tensione è salita di livello. Il governo teme che i blocchi su larga scala visti in Germania, Paesi Bassi, Romania e Spagna possano essere imitati in Francia [come poi è avvenuto, ndT]. Sta cercando quindi di contenere l’incendio inviando ministri e prefetti a incontrare gli agricoltori, ma finora non è riuscito a convincerli.
L’ansia del governo di negoziare contrasta con il consueto approccio macronista alle agitazioni sociali, che consiste nel caricaturizzarle e reprimerle. Questo è sorprendente, dato che le azioni degli agricoltori a volte prendono una piega violenta, come i proiettili lanciati contro gli agenti di polizia a Saint-Brieuc il 6 dicembre, o l’esplosione di un edificio Draeal Servizi decentrati dello Stato in tema di Transizione ecologica e coesione territoriale, ndT vuoto a Carcassonne, rivendicata dal Comité d’Action Viticole il 19 gennaio. Lo scarico massiccio di letame e rifiuti agricoli nelle prefetture è molto diffuso.

Mentre di solito i media sono pronti a denunciare il minimo incendio di cassonetti o le barricate erette con i motorini, questa volta sono molto più concilianti. Il doppio decesso in Ariège, dove un agricoltore e sua figlia sono stati investiti da un’auto durante un blocco stradale, sarebbe potuto servire al governo per chiedere la rimozione dei blocchi. Invece, Gérald Darmanin [ministro dell’Interno, ndT]  chiede «grande moderazione» da parte delle forze dell’ordine, che dovrebbero intervenire solo «come ultima risorsa».

Perché il movimento non viene represso (per ora)

Sebbene questo trattamento possa sorprendere, in realtà può essere compreso alla luce di diversi fattori: l’immagine pubblica degli agricoltori, le caratteristiche specifiche di questo gruppo sociale e la simbiosi tra la Fnsea (il sindacato maggioritario) e il governo.

In primo luogo, in quanto incarnazione di una Francia rurale e laboriosa, la cui utilità sociale è evidente, gli agricoltori godono di un alto livello di simpatia da parte dell’opinione pubblica. Secondo un sondaggio condotto il 23 gennaio, il livello di sostegno all’attuale movimento è pari all’82%, 10 punti in più rispetto ai gilets jaunes all’inizio della loro mobilitazione. Allo stesso modo, sebbene il numero di agricoltori sia diminuito drasticamente negli ultimi decenni e si attesti oggi a circa 400.000 unità, il voto di questo settore rimane molto ambito in tutto lo spettro politico, se non altro per evitare di apparire come un popolo urbano scollegato dal resto del paese.

In secondo luogo, gli agricoltori costituiscono un gruppo sociale difficile da reprimere. Quando le manifestazioni si svolgono in campagna, la polizia e gli agricoltori spesso si conoscono, il che rende meno probabile che la polizia li affronti. Anche gli scontri sarebbero complicati: le dimensioni imponenti dei trattori e il fatto che le loro cabine siano difficili da raggiungere proteggono gli agricoltori da una potenziale repressione. Infine, molti agricoltori sono anche cacciatori e quindi armati.

Infine, il governo è in ottimi rapporti con i due sindacati agricoli maggioritari. La Fédération Nationale des Syndicats d’Exploitants Agricoles (Fnsea) e il movimento dei Jeunes Agriculteurs, alleati in quasi tutti i dipartimenti, hanno ottenuto insieme il 55% dei voti alle elezioni del 2019 per le Chambres d’agricolture. La loro visione produttivista e orientata all’esportazione è perfettamente in linea con quella dei macronisti, che vogliono un’agricoltura sempre più meccanizzata, robotizzata e digitalizzata per aumentare la produttività. Ne sono testimonianza il sostegno del presidente della Fnsea a Emmanuel Macron in occasione della prima riforma delle pensioni nel 2019 e la creazione dell’unità Demeter, un’unità di intelligence della Gendarmeria dedicata a scovare gli attivisti ambientalisti che si oppongono all’agroalimentare. Quindi, quando la Fnsea e il Ja invitano gli agricoltori a mobilitarsi, è solo per rafforzare la loro posizione negoziale con il governo.

Le radici della rabbia

È in quest’ottica che i due sindacati hanno lanciato le loro mobilitazioni autunnali. Il loro obiettivo principale era quello di ottenere concessioni dal governo francese sulla prossima Loi d’Orientation de l’Agriculture (Legge di Orientamento dell’Agricoltura), che è stata rinviata ancora una volta a seguito delle proteste, e dall’Unione Europea sul Green Deal e sulla Legge sul Ripristino della Natura. Sullo sfondo, la Fnsea e i Ja hanno anche in mente le elezioni del 2025 per le Chambres d’agricolture. Dimostrando la loro capacità di influenzare i rapporti di forza rispetto ai vari leader politici, sperano di rafforzare ulteriormente il loro potere sul mondo agricolo. Se questa strategia ha funzionato piuttosto bene alla fine del 2023, il movimento attuale sembra essere sfuggito loro di mano. Va detto che agli agricoltori non mancano i motivi per mobilitarsi.

Tutti concordano sul fatto che nei campi è estremamente difficile guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro, anche quando si lavora instancabilmente ogni giorno. Tra la fine del 2021 e il secondo trimestre del 2023, il margine lordo dell’industria alimentare è passato dal 28% al 48%! Nel frattempo, molti agricoltori vendono i loro prodotti in perdita. Questo è particolarmente vero per il latte, dove l’industria, dominata da pochi grandi operatori come Lactalis, si rifiuta di rivelare i propri margini. La truffa è organizzata anche a monte, con alcuni grandi fornitori di prodotti fitosanitari, fertilizzanti, sementi e attrezzature agricole. Questi fornitori hanno aumentato drasticamente i prezzi negli ultimi tempi, certamente per motivi esterni come la guerra in Ucraina, ma anche per pura avidità.

Per sopravvivere, gli agricoltori sono costantemente sovvenzionati da una serie di sussidi. Aiuti agli investimenti, aiuti al reddito della Politica Agricola Comune (Pac) basati sul numero di ettari coltivati o sulle dimensioni del bestiame, aiuti per la conversione e il mantenimento dell’agricoltura biologica, aiuti per la manutenzione delle siepi… Ce n’è per tutti i gusti. Ma per ottenere la qualifica bisogna compilare una montagna di moduli e sperare che l’amministrazione riesca a elaborarli in tempo. Solo che anni di austerità e procedure sempre più complesse hanno reso la burocrazia incapace di svolgere i propri compiti. Di fatto, gli agricoltori più grandi sono spesso gli unici a ricevere gli aiuti. È quindi facile capire perché gli edifici amministrativi siano particolarmente presi di mira dai manifestanti.

In un momento in cui il conto economico è già insostenibile per i piccoli agricoltori, una nuova ondata di libero scambio li travolge. Dopo la concorrenza della Spagna su frutta e verdura e dei produttori di carne suina tedeschi e polacchi, ora dovranno affrontare la concorrenza della Nuova Zelanda, con cui l’Unione europea ha appena firmato un accordo di libero scambio. In piena emergenza ecologica, importare carne e latte di pecora dall’altra parte del pianeta era senza dubbio una priorità. L’Ue sta inoltre ultimando le misure per eliminare le barriere doganali con il Mercosur, il grande mercato comune sudamericano. Di fronte agli allevamenti industriali del Brasile o dell’Argentina, che coltivano soia o carne bovina su superfici enormi, è chiaro che l’agricoltura francese, a eccezione della fascia alta del mercato, non potrà farcela. Il fatto che questi Paesi utilizzino antibiotici, ormoni della crescita, pesticidi e ogni sorta di prodotti vietati in Europa è vagamente riconosciuto dalla Commissione europea, che indica «clausole speculari» nell’accordo, ma senza alcun dettaglio sulla sostanza. Infine, l’Ue accelera costantemente il processo di adesione dell’Ucraina, i cui prodotti agricoli hanno invaso i mercati dell’Europa centrale e hanno già portato alla rovina gli agricoltori polacchi e ungheresi.

Gli agricoltori sono davvero anti-ecologici?

Sebbene questi motivi di rabbia siano ampiamente condivisi dagli agricoltori, non costituiscono il fulcro delle richieste della Fnsea e dei Giovani agricoltori. Al contrario, i due sindacati concentrano la loro opposizione sulle misure volte alla transizione del settore verso metodi di produzione più rispettosi dell’ambiente. In particolare, hanno denunciato l’aumento di una tassa sui pesticidi e di un prelievo sull’acqua utilizzata per l’irrigazione. Finalizzate a finanziare il Piano idrico del governo e a ridurre l’irrorazione di pesticidi per preservare questa risorsa sempre più scarsa, queste due imposte sono state abbandonate a dicembre. È stata denunciata anche la graduale fine dell’esenzione fiscale sul gasolio non stradale, il carburante utilizzato dalle macchine agricole, anche se la Fnsea è un po’ in difficoltà su questo tema: in un accordo con il governo, quest’estate ha accettato l’aumento in cambio di una riforma della tassazione delle plusvalenze agricole, che avvantaggia i grandi agricoltori.
Oltre alle tasse, la Fnsea e i Ja attaccano in particolare i nuovi standard ambientali europei, come la strategia europea «Farm to fork» e il «Green Deal». La prima mira a garantire che il 25% dei terreni agricoli sia biologico entro il 2030, mentre la seconda è già stata ampiamente depotenziata. Per Arnaud Rousseau, capo della Fnsea, questa transizione – seppur timida – verso l’agroecologia porterebbe a un’«agricoltura in decrescita», che non sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare della Francia. Suscitando questa paura del ritorno della fame, la Fnsea spera di far deragliare i limitati tentativi di convertire il settore a metodi di produzione più sostenibili. Per la Fnsea, la soluzione ai problemi di produttività posti dall’esaurimento del suolo, dal cambiamento climatico, dalla proliferazione delle epidemie e dalla crisi della biodiversità risiede unicamente nel progresso tecnico, sotto forma di droni, digitalizzazione, mega-bidoni, robotizzazione e organismi geneticamente modificati (Ogm).

Il palese disprezzo del sindacato maggioritario nei confronti dell’ambiente non è tuttavia rappresentativo della visione di tutti gli agricoltori. In prima linea contro gli effetti del riscaldamento globale, prime vittime dei pesticidi e testimoni dell’impoverimento dei terreni e della crescente scarsità di acqua, molti di loro sostengono l’idea di un cambiamento di modello. Ma se il passaggio all’agricoltura biologica richiede anni e i prestiti da restituire sono spesso ingenti, nessuna transizione è possibile senza un aiuto sostanziale da parte delle autorità pubbliche. Tuttavia, gli aiuti per la transizione e il mantenimento dell’agricoltura biologica sono notoriamente inadeguati e raramente vengono erogati in tempo. Per non parlare del fatto che il mercato del biologico è destinato a diminuire del 4,6% entro il 2022 e continuerà a farlo nel 2023. Questi prodotti sono troppo costosi – soprattutto a causa dei ricarichi applicati dai supermercati – e sono sempre più rifiutati dai consumatori i cui mezzi sono stati erosi dall’inflazione.

Oltre ai prodotti biologici, le richieste di maggiore agroecologia non sono sostenute da risorse sufficienti. Ne è un esempio la campagna condotta dalla Confédération Paysanne e dal Civam in Bretagna lo scorso autunno per ottenere maggiori finanziamenti per le misure agro-ecologiche e climatiche (Maec), che incoraggiano gli agricoltori a dedicare una parte maggiore delle loro aziende ai pascoli per proteggere l’ambiente. Molti agricoltori vorrebbero adottare pratiche più rispettose dell’ambiente – ma anche del benessere degli animali – ma semplicemente non hanno i mezzi per farlo.

Fnsea, falso alleato del mondo agricolo
Invece di combinare la necessaria svolta ecologica dell’agricoltura con le misure per realizzarla – protezionismo e salari più alti per gli agricoltori – la Fnsea e, in misura minore, la Ja, preferiscono rifiutare questa transizione. Non c’è da stupirsi: pur affermando di rappresentare tutti gli agricoltori, la Fnsea difende solo i più grandi. Gli stipendi dei dirigenti del sindacato, rivelati nel 2020 da Mediapart, testimoniano il loro distacco dagli agricoltori: il direttore generale dell’epoca guadagnava 13.400 euro lordi al mese, più del ministro dell’Agricoltura, mentre l’ex presidente, che lavorava solo tre giorni a settimana, guadagnava in un mese quanto un agricoltore medio guadagna in un anno!
La personalità dell’attuale presidente del sindacato riassume gli interessi realmente difesi dalla federazione: laureato in economia, Arnaud Rousseau ha iniziato la sua carriera nel commercio di materie prime, cioè nella speculazione… Ha poi rilevato l’azienda cerealicola di famiglia di 700 ettari, perfetta incarnazione dell’agricoltura produttivista imbottita di sussidi della Pac. Oltre all’azienda agricola, Rousseau è anche amministratore delegato di un gruppo di metanizzazione, direttore del gruppo Saipol, il principale trasformatore francese di semi in oli, presidente di Sofiprotéol, una società che offre credito agli agricoltori, e presidente di una dozzina di altre società. Soprattutto, è amministratore delegato di Avril, un grande gruppo industriale che possiede, tra gli altri, gli oli Puget e Lesieur. Nel 2022, questo colosso dell’agroalimentare e degli agrocarburanti ha registrato un fatturato di 9 miliardi di euro, mentre l’utile netto è salito del 45%! Anche Xavier Beulin, ex presidente della Fnsea, è stato membro di questo gruppo tra il 2010 e il 2017.

A capo di un gruppo agroalimentare che fa soldi sulle spalle degli agricoltori, promotore del loro debito ed ex commerciante, Arnaud Rousseau ha interessi in quasi tutti i settori responsabili della scomparsa dell’agricoltura francese. Mancano solo le aziende produttrici di sementi e i rivenditori di attrezzature agricole, e il gioco sarebbe fatto. Non sorprende quindi che la Fnsea si accontenti di rilasciare scarne dichiarazioni contro gli accordi di libero scambio senza invocare azioni per sconfiggerli, o che difenda con fervore una Pac che avvantaggia solo le grandi aziende. Lo stesso vale per la difesa dei «mega-bacini» da parte del sindacato maggioritario: presentati come una soluzione alla siccità diffusa, questi bacini avvantaggiano i maggiori agricoltori, che si rifiutano di cambiare i loro metodi e sottraggono acqua ai più piccoli per produrre cibo, spesso destinato all’esportazione.

Quale sbocco per il movimento?

Di solito, quando la Fnsea e i Ja tradiscono la loro base, quest’ultima non reagisce quasi mai. Questa volta, però, sembra che i loro tentativi di controllare il movimento non stiano funzionando. A Tolosa, un rappresentante sindacale che invitava gli agricoltori a tornare a casa e a lasciare che il suo sindacato negoziasse per loro, è stato sonoramente fischiato. Nell’Haute-Saône, il blocco di uno stabilimento Lactalis con letame e rifiuti, abbastanza raro in questo tipo di movimento da meritare di essere sottolineato, è stata un’azione che probabilmente la Fnsea non avrebbe mai sostenuto. Più in generale, gli agricoltori in rivolta preferiscono non mostrare la propria appartenenza sindacale – quando ce l’hanno – e sono molto attenti a evitare qualsiasi strumentalizzazione politica.

Cosa propongono esattamente i diversi schieramenti politici? Da parte del governo, la linea non è chiara e il bilancio degli ultimi sette anni al potere è difficile da accettare. Tuttavia, è probabile che i macronisti finiscano per raggiungere un accordo con la Fnsea sugli aiuti di emergenza e sull’abolizione delle norme ambientali, nella speranza di placare la rabbia. Se saranno necessarie modifiche legislative per attuarle, non dovrebbero esserci problemi: nei loro discorsi, i Repubblicani, alleati non ufficiali del governo, sono pienamente allineati con le richieste della Fnsea.

Il Rassemblement National (Rn) è più critico nei confronti del sindacato di maggioranza, ma ne riprende la maggior parte degli argomenti nel merito. L’unica differenza degna di nota è la questione del libero scambio, fortemente osteggiata dall’estrema destra. Questo è un punto che la avvicina alla Coordination Rurale, un sindacato agricolo che da tempo si batte per una «eccezione agricola» nel contesto della globalizzazione. Se da un lato Marine Le Pen e i suoi sostenitori stanno ovviamente cercando di recuperare il movimento e di colpire direttamente l’Unione europea nelle loro critiche, con l’obiettivo di aumentare i consensi alle elezioni del prossimo giugno, dall’altro non hanno praticamente nulla da proporre in termini di regolamentazione dei prezzi, riforma della Pac, redditi agricoli o ambiente.

La sinistra riuscirà a convincere?

Per quanto riguarda la sinistra, si trova più o meno nella stessa situazione della Confédération Paysanne, incarnazione di questo schieramento politico tra i sindacati agricoli. Sebbene le manifestazioni degli agricoltori riprendano molti degli avvertimenti lanciati dalla Confédération Paysanne nel corso degli anni (i trattati di libero scambio, la follia di liberalizzare i mercati e di porre fine alle quote di produzione, l’iniquità dei sussidi, l’impossibilità di rendere l’agricoltura più verde senza un sostegno finanziario, l’adattamento delle norme alla realtà delle piccole aziende agricole, ecc.) per la sinistra, la sfida di questa fase è quella di ricostruire la propria immagine con il mondo agricolo, rompendo il discorso dell’«agri-bashing» o del bobo vegetariano urbano che si mette a dar lezioni.

I recenti interventi di parlamentari di sinistra sui media e all’Assemblea Nazionale offrono la speranza di rompere con questa immagine. François Ruffin, Mathilde Hignet (ex bracciante agricola) e Christophe Bex, oltre a Marie Pochon (figlia di un viticoltore), deputata ecologista, hanno chiaramente preso di mira i veri avversari del mondo agricolo, ovvero i distributori, gli industriali agroalimentari, le aziende agricole straniere e la Fnsea. Prezzi minimi, controllo dei margini, protezionismo, revisione dei sussidi per semplificarli e sostenere un modello più ecologico, revisione dei criteri per gli appalti pubblici nelle mense per favorire l’agricoltura francese… Le proposte non mancano. Ricordiamo che la France Insoumise ha proposto l’introduzione di un prezzo minimo per i prodotti agricoli il 30 novembre dello scorso anno, che è stato respinto per soli 6 voti. A più lungo termine, l’introduzione di un sistema di sicurezza sociale per gli alimenti, che si sta gradualmente facendo strada a sinistra e che viene sperimentato a livello locale, potrebbe fornire un nuovo quadro per far uscire l’agricoltura dal mercato.

Certo, questo può sembrare molto lontano. È probabile che l’attuale movimento finisca per spegnersi, tra la stanchezza delle persone mobilitate sulle strade in pieno inverno, la necessità di mantenere le aziende agricole per rimborsare i prestiti e il probabile accordo tra la Fnsea, il Ja e il governo per calmare la folla. Il fatto che, per il momento, questo movimento sociale rimanga molto settoriale non depone a favore della sua longevità. Tuttavia, ha già permesso di riaprire dibattiti fondamentali sul nostro approvvigionamento alimentare, sulla globalizzazione, sul lavoro e sulla distribuzione fortemente disuguale del valore. In questo modo, ha infranto il quadro liberale in cui la Fnsea vuole confinare tutte le riflessioni politiche sull’agricoltura. Questa è già una grande vittoria.

William Bouchardon è responsabile della rubrica economica di Le vent se lève, dove questo articolo è stato pubblicato prima di essere ripreso da Jacobin Latinamerica. La traduzione è a cura della redazione.

2/1/2024 https://jacobinitalia.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *